di Rita Bosso
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La fotografia è del maggio 1948 e ritrae una bellissima coppia sulla loggia del Giudicato, a via Umberto: lei è Francesca Iacono, sorella di Ciro mastro d’ascia, lui “appartiene” ai Musella; andranno a vivere in Sardegna. Di sicuro non sono loro, ponzaportesi, i protagonisti della scenetta che mi hanno appena raccontato.
Siamo tra la Cavatella e la Muntagnella; per allestire il pranzo di nozze le donne di casa stanno sfacchinando da giorni, hanno infornato decine di pizze rustiche, hanno impastato sacchi di farina, tirato il collo a non so quanti conigli: il pranzo deve essere almeno luculliano, di ogni portata bisogna fare come minimo il bis e, con quel che avanza, preparare tante mappatelle da consegnare agli invitati: che diamine, ci si sposa una volta sola nella vita (siamo nel 1950…)!
Per risparmiare il tour de force alcuni sposi scelgono la formula “sposa e parti”, partono per il viaggio di nozze appena conclusa la cerimonia. Posto che nel fatidico giorno faccia buon tempo; in caso contrario il vapore non parte, il viaggio di nozze va posticipato e, con esso, è rimandata anche la “consumazione”.
Ma nella maggior parte dei casi alla cerimonia religiosa segue il pranzo con i parenti e gli amici intimi, al pranzo segue il festino allargato ai semplici conoscenti e anche agli imbucati, al festino segue l’accompagnamento degli sposi alla nuova casa con canti e lazzi. Qui gli sposi dovranno rimanere chiusi per sette giorni, al termine dei quali avviene l’uscita (sfilata in pompa magna lungo il corso), finalmente una al braccio dell’altro, lei rigorosamente in abito nero per sottolineare che oramai è una signora, non più una pulzella da abito bianco e velo.
Questo e altro sarà illustrato all’esposizione IERI… SPOSI, sabato 18; questo e altro potrete leggere nel libretto omonimo, dedicato agli usi nuziali nel corso di due secoli.
Ma torniamo al pranzo luculliano, alla tavolata tra la Cavatella e la Muntagnella; al posto d’onore c’è don Gennaro Sandolo, reduce dalla celebrazione del rito nuziale; fa onore alla tavola gustando tre primi, quattro secondi, contorni e dolci. Il padre della sposa, da buon padrone di casa, gira tra i commensali: “Tutto a posto, don Genna’?”, domanda.
“Bravo, figlio mio, hai organizzato proprio un bel pranzo, come piace a me: poco, ma buono!”.
Mitico don Gennaro, dotato di simpatia e di umanità uniche, capace di rendere in maniera indimenticabile i dogmi e i misteri più oscuri… probabilmente l’unico insegnante di religione che ha impresso indelebilmente nella memoria di diverse generazioni il concetto di Spirito Santo.