di Giuseppe Mazzella
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È proprio inevitabile che le contingenze, con il loro corollario di decisioni sempre più rapide, ci debbano allontanare dalla storia, dalla nostra storia, dai caratteri del luogo e dalle vocazioni (comportamenti, etica) che si sono consolidate nel corso del tempo?
Sì e no.
Certamente non è un bene, quando il rischio è quello di rendere ogni luogo uguale ad un altro.
Se la nostra Italia, dai quasi diecimila campanili, continua ad essere un luogo magico, sempre pieno di sorprese e sfumature diverse, lo si deve alla conservazione di queste sue caratteristiche.
Anche Ponza rischia di diventare altro da sé, dal momento che sta perdendo i suoi connotati originari. In un processo rapidissimo di “turisticizzazione”, le nostre isole si stanno omologando.
Agricoltura, no grazie! A parte qualche lodevolissima inversione di tendenza, che ha già portato i suoi frutti; eppure il legame con la terra, il sapere acquisito attraverso numerose generazioni sono stati i momenti fondanti della nostra cultura.
Pesca, idem! La pesca, la nostra antica ricchezza, langue e minaccia di scomparire del tutto. Tutti sappiamo quanto i nostri pescatori hanno saputo fare e insegnare ad altri in posti lontani come la Sardegna e la Toscana. E non solo. Solo per ricordare anche un esempio illustre, c’è stato chi ha esportato all’estero l’antica arte, preparando i pescatori etiopi alla cattura delle aragoste. Un invito rivolto direttamente dal negus Hailé Selassié al nostro indimenticabile Salvatore Mazzella, più noto come Salvatore ’U Luong’.
E che accade? Quello che fino a pochi decenni fa era la prima voce nel bilancio isolano, strozzata dalla diminuita pescosità del mare e da leggi sempre più stringenti, sta lentamente morendo. Allo stesso tempo, “fuori dalle acque territoriali”, quasi senza alcun controllo e limitazione, grosse imbarcazioni estere saccheggiano il nostro mare.
L’agricoltura e la pesca sono solo due delle tante ricchezze che stiamo disperdendo senza quasi accorgersene.
A queste possono essere aggiunte l’artigianato e le tradizioni culinarie.
Isole, ancorché bellissime come le nostre, non possono vivere e vivere bene solo con il turismo estivo. È stato scritto fino alla nausea: l’agricoltura assicura lavoro e reddito e garantisce una maggiore cura del territorio, anche con il ripristino delle innumerevoli vie vicinali che costituiscono un reticolo vivo attraverso il quale alimentare una fruizione diversa, non solamente balneare.
Uno delle conseguenze è il recente P.A.I. – ma per quanto ne avremo? -, il cui contorno rosso segna come un marchio infamante il 97% delle nostre coste. Salvo poi “ricorrere ai ripari” con opere mastodontiche, costose e forse neanche troppo utili che finiranno solo per imbruttire il nostro straordinario paesaggio.
Questo per dire che il turismo, come qualsiasi altra attività, deve essere a immagine della nostra peculiarità, unica garanzia perché duri nel tempo. Ma per durare deve essere corroborata da altre attività.
La società civile si sviluppa e progredisce perché alimenta ed è alimentata da attività diversificate, che la identificano.
Immaginate se, sotto la spinta di una logica solamente funzionale, le antiche città medievali avessero distrutto il dedalo delle vie, gli antichi monumenti, le architetture nobili. Avremmo oggi non il grande patrimonio che il mondo ci invidia, ma città grigie e uguali l’una all’altra.
Lavorando sulle tracce degli antichi, non solo salvaguardando il passato, ma valorizzandolo con intelligenza, Ponza potrà rimanere Ponza per le generazioni future e non trasformarsi, come temiamo da un po’ di tempo, in un “luogo esotico organizzato” solamente estivo per un turismo che non ricerca e non ama più quello che gli antichi chiamavano il genius loci.