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Lo Stato non ha soldi e allora è necessario ricorrere al privato. È questa una pratica spesso proposta, a volte adottata, ma non sempre con risultati lusinghieri.
Il caso Laziomar, società privata ma con finanziamenti pubblici per un totale di circa 15 milioni di euro, è il caso emblematico per Ponza e costituisce un precedente che preoccupa. Conosciamo bene le dinamiche retrostanti. Dopo tanti anni e tante parole, il vecchio di cui chiedevamo la sostituzione ci sembra il “meno peggio” desiderabile. A questo punto speriamo di poter continuare a contare sul vecchio Tetide o sul Monte Gargano e ancora non sappiamo se potremo mantenere i servizi (e i posti di lavoro) della Snap con il Carloforte e il Maria Maddalena.
La spiaggia di Frontone, uno dei fiori all’occhiello dell’isola, non è più quella di una volta. Attualmente si permette ad alcuni isolani di lavorare, in attesa che l’“eco-mostro” ex-ENAL venga sistemato e legalizzato – con modalità complesse e non del tutto chiare -; in tal caso la società privata che ne è proprietaria, potrà “mettere ordine” anche sulla spiaggia.
A Le Forna serve un porto turistico. Ma chi è in grado di realizzarlo? Una società privata che mette i capitali. Magari aggiungendo “il risanamento a terra” con un grande albergo, residence, appartamenti a schiera, negozi, ristoranti.
Chi gestirà il tutto? Ovviamente chi dispone di capitali in grado di sostenere l’investimento. Magari con un “aiutino” di stato.
E le attività dei locali chi li potrà garantire? Trattandosi di piccole e medie imprese, per lo più a carattere familiare, non potranno in alcun modo sostenere la concorrenza. Ne risulterà la morte economica e sociale di quella parte di cittadinanza. Mentre la nascita del nuovo porto voluto da tutti gli isolani deve avere come obiettivo principale la creazione di nuove opportunità di lavoro e non rischiare di espropriarci di quel poco che abbiamo.
Su queste questioni una volta di più bisogna guardare al futuro che, alla luce di queste proiezioni, appare veramente inquietante.
Anche per la splendida spiaggia di Chiaia di Luna, si pone lo stesso problema. Trovare un imprenditore che si occupi delle opere di restauro e messa in sicurezza del tunnel romano e scegliere per la spiaggia – nelle intenzioni dell’Amministrazione – la soluzione tecnica del “ripascimento”. Quindi affidare all’imprenditore privato la gestione (se pur parziale) della stessa per 25 anni. A parte le grandi incognite di un tale progetto, non da tutti condiviso, non ci sono accenni ad eventuali attività degli isolani, anche qui di fatto esautorati [Per le nostre obiezioni sul punto in questione, sul tunnel di servizio e sul ripascimento, leggi qui].
Conclusioni
Ponza e le sue isole sono un microcosmo fragile che va tutelato e difeso nell’interesse dell’intera comunità isolana e di tutti coloro che hanno a cuore questi luoghi.
Se poi vogliamo parlare di economia possiamo senza ombra di dubbio affermare che il turismo va in cerca di posti “caratteristici” e unici; e noi che abbiamo avuto la fortuna di vivere in un posto del genere vogliamo snaturarlo?
Rendere le nostre spiagge ed in particolare Chiaia di Luna – così com’è è un unicum al mondo – simile a tanti altri luoghi, con file di ombrelloni tutti uguali, è un oltraggio al buon gusto e alla nostra tradizione. Non crediamo che l’unica soluzione possibile sia quella prospettata; altre strade esistono ed andrebbero esplorate/approfondite.
La politica di demandare a privati la soluzione dei nostri problemi è una deriva che non promette bene. Se lo Stato non è in grado di sostenere e risolvere gli interessi collettivi, qual è allora la sua funzione?
Certo la collaborazione con i privati va considerata e valorizzata nell’interesse della collettività. Una sintesi tra pubblico e privato, sotto la guida pubblica, è la via maestra verso la quale ci dovremmo avviare.
Cedere a scatola chiusa il nostro territorio in cambio di “promesse” contrattuali, ci fa porre un’opzione sul futuro con conseguenze non prevedibili al momento. Sono sotto gli occhi di tutti i risultati cui ha portato la privatizzazione dei trasporti marittimi.
Se i mali si moltiplicheranno, Ponza, dopo quella romana e quella borbonica, avrà la sua terza colonizzazione: quella dei grandi imprenditori esterni.
Ai pochi e tenaci ponzesi che avranno resistito fino ad allora non resterà che emigrare e chi non avrà neppure questa possibilità dovrà accontentarsi di qualche briciola.
Immagine di copertina: “I mischiatori di carte”, di Mario Ortolani
Ivana Scotti
13 Maggio 2016 at 07:55
Mi piace molto seguire ‘Ponza racconta’ forse perché mi riporta indietro negli anni quando, ancora ragazzina, leggevo per strada i manifesti che denunciavano cose ingiuste e problemi della nostra amata isola.
Gli anni sono passati ma le problematiche sono triplicate, se si vuole essere positivi. Soffro nel vedere morire la mia isola ogni giorno sempre di più. Soffro nel leggere i nostri lamenti che terminano sempre col dire che siamo un popolo capace solo di litigare o di pensare al dio denaro.
Io mi sento ponzese perché amo la mia terra e la mia gente con tutti i nostri difetti. Non credo che privatizzare le nostre ricchezze sia la cosa giusta. Le spiagge e tutto il nostro territorio sono un bene dell’umanità e tali debbono rimanere. Se un governo come quello attuale riesce a dare 70 milioni di euro per risistemare il carcere di Santo Stefano perché non pensare di poter ricevere un aiuto per riqualificare le nostre bellezze naturali? Certo non è sicuramente facile ma io voglio essere ancora positiva. Ciò che ci stanno proponendo è un paese snaturato e invivibile. Dobbiamo difendere il nostro lavoro perché senza dovremmo veramente andare via.
Ben venga un porto a Le Forna ma un porto che sia per l’isola e non per i soli investitori.
Io da persona ignorante vorrei chiedere: ma non sarebbe più logico far creare progetti dando delle direttive su ciò che sono innanzitutto le necessità isolane? Non sarebbe più logico far capire che la creazione di un porto deve servire anche per garantire lavoro a noi indigeni e soprattutto evitare effettivamente di ghettizzare la parte dell’isola già massacrata?
Alla riunione fatta per presentare i tre progetti di un eventuale porto mi ha colpito la frase detta da uno dei signori, che nel presentare il suo progetto disse: “con la costruzione di una bella piazza alla Cala dell’Acqua, anche (e sottolineo “anche”) i ponzesi potranno fare delle belle passeggiate la sera”.
Io non voglio una città; io voglio la mia isola e voglio risentire la VOCE del mio popolo ponzese, io voglio la mia LIBERTÀ e non per essere un fuorilegge.
Biagio Vitiello
13 Maggio 2016 at 09:11
Vorrei rispondere ad Ivana Scotti.
Condivido pienamente tutto quanto da lei esternato.
Faccio una piccola considerazione su Ponza e Ventotene. C’è molta differenza nel governo delle due isole.
Sappiamo bene come è governata Ponza, e non aggiungo altro. Mentre Ventotene è governata da un sindaco non “prestato alla politica”. Non usa “facebook” per inveire contro chi non è “della corte”. Non porta rancore a chi si oppone alle sue idee. Lavora da sempre in silenzio e per il bene della sua isola …e i frutti si vedono e si leggono. Ah dimenticavo!!!, non è un sindaco “forestiero”, ma nato e cresciuto a Ventotene in una famiglia di “politici”
vincenzo
13 Maggio 2016 at 10:53
Voglio lanciare un messaggio apparentemente criptico.
Tutto parte dall’idea di isola che l’amministratore ha:
Se crede che quest’isola la devono continuare a gestire i ponzesi residenti, si accinge a fare una politica indirizzata ad incrementare questa presenza.
Se al contrario crede che invece i ponzesi abbiano fallito per cui devono essere sostituiti, intraprenderà una politica indirizzata a sostituirli.
Le operazioni di consolidamento oppure di sostituzione non si fanno in poco tempo e certamente non seguono politiche lineari, continue ma a volte possono essere ambedue
demagogiche per cui il cittadino non capisce e non riesce più a distinguere tra chi vorrebbe consolidare e chi al contrario vorrebbe sostituire.
Lo Stato, i denari pubblici, non c’entrano niente con la visione politica dell’amministratore.