segnalato e commentato da Silverio Lamonica
Abdon Alinovi, classe 1923, di Eboli (Salerno) è un uomo politico italiano ed è stato parlamentare per più legislature, nelle file del P.C.I. dal 1976 al 1992, ricoprendo incarichi importanti: è stato anche Presidente della Commissione Antimafia nella IX legislatura.
Di recente ha pubblicato un voluminoso saggio di oltre 500 pagine: Rosso Pompeiano – Ed. Città del Sole, Reggio Calabria 2015
L’On. Alinovi ricostruisce, in base ai ricordi e documenti in suo possesso, la nascita del Partito Comunista e del movimento sindacale nel salernitano immediatamente dopo la caduta del fascismo: dal 25 luglio 1943 fino al 1949.
Il Prof. Giuseppe Mario Tripodi, al link: https://convenzionali.wordpress.com/2015/12/13/rosso-pompeiano/
ha pubblicato di recente una interessante recensione del saggio. Egli si sofferma sul ricordo di un discorso di Giorgio Amendola a Salerno nell’agosto del ’45, mettendo a confronto lo stile oratorio dei due personaggi: il primo “impegnava intelletto e corpo fino allo stremo”, il secondo (Alinovi) era dotato di un “timbro argentino della voce… – che impegnava – giovani e meno giovani fino allo stremo”. E poi prosegue riassumendo l’intensa vita politica dell’autore a stretto contatto con i più illustri militanti comunisti dell’epoca e con i lavoratori e le classi più umili e meno agiate.
Ho letto in internet altre recensioni in merito al libro suddetto e tutte favorevoli, tuttavia, al fine di dare un ulteriore contributo, riporto qui di seguito una “voce discordante” anche se – come vedremo – la famiglia dell’autore di questa critica, fu perseguitata durante il fascismo, perché antifascisti irriducibili, ed emarginata nel periodo post-fascista, perché non allineati con la linea ufficiale del partito di Togliatti.
Il signor Giuseppe Mannucci, figlio di Danilo noto esponente comunista livornese, perseguitato politico dal Partito Fascista e a lungo confinato, ha scritto a sua volta una corposa replica, molto severa nei confronti del libro di Alinovi, dal titolo: “Abdon Alinovi e la malinconia nostalgica dello stalinismo togliattiano”, qui di seguito riportato come file .pdf: Replica a Abdon Alinovi di Giuseppe Mannucci
Proprio su questo sito, nel febbraio scorso, pubblicai la recensione del libro di Ubaldo Baldi e Giuseppe Mannucci – “Varcando un sentiero che costeggia il mare” – Gaia Ed. – leggi qui – con il patrocinio dell’ANPPIA in cui, documenti alla mano, gli autori evidenziano la linea politica prettamente staliniana del partito comunista di allora: i “bordighiani” tra cui Mannucci, furono molto presto emarginati ed espulsi da un partito che non ammetteva il dibattito interno. Uno dei principali artefici di questa espulsione fu proprio Abdon Alinovi.
Danilo Mannucci, constatato che intorno a sé non c’era altro se non “terra bruciata”, nel 1949 con profonda marezza emigrò in Francia con tutta la famiglia.
Quale sarebbe stato il P.C.I. se quelle lotte interne senza quartiere non avessero avuto luogo? Non possiamo saperlo. Una cosa però la sappiamo: i comunisti italiani nell’immediato dopoguerra si appiattirono sulle teorie staliniane ed epurarono tutti gli elementi che dissentivano.
Successivamente, dopo la morte di Stalin nel 1953 e l’avvento di Nikita Krusciov, tracciarono una linea politica sempre più indipendente da Mosca e alla fine, tolto “quell’involucro comunista” come precisò Napolitano in un intervento successivo alla “svolta della Bolognina”, ridimensionarono, poi abbandonarono del tutto la falce e il martello. Del resto la così detta “classe operaia” si era definitivamente trasformata in “ceto medio” con altre esigenze ed ideali.
Però chissà dove ci porterà questa infinita crisi economica dove i ricchi diventano sempre più ricchi e quello che era il ceto medio, diventa sempre più povero. A mio avviso, tutto questo accade proprio perché il ceto medio, già “classe operaia”, non è tutelato più da nessuno.
Di Silverio Lamonica; in condivisione con www.buongiornolatina.it
Nota (a cura della Redazione)
Il collegamento con Ponza è indiretto; Danilo Mannucci – il cui figlio Giuseppe è molto critico sul libro di Alinovi (cfr. suo documento in .pdf) – fu confinato a Ponza dal 19 agosto 1937 fino al 13 luglio 1939, quando, abolita la Colonia Confinaria di Ponza, insieme a tanti altri compagni antifascisti, fu trasferito a Ventotene.