Lo “sdoganamento” del turpiloquio e la compiacenza nel pronunciare le cosiddette “parolacce” in pubblico, così come avviene anche nella TV di stato (e mi dispiace proprio che sia la trasmissione “Made in SUD” e non “Made in NORD” ad essere la sede preferita del turpiloquio in dialetto napoletano), ha riportato alla mia memoria il tempo della nostra adolescenza-gioventù, quando ci eravamo inventati dei sinonimi al posto delle famigerate anatomie “vietate”.
Eravamo io e mia sorella Luisa, Sandro Russo, Franco Zecca e sua sorella Lia con il cugino Fausto Capozzi ad aver coniato nuovi termini sostitutivi di quelli famigerati, che non perdevano però di efficacia, forza e senso.
Suonavano così: Va’ffa’ in “alfa”! Non mi rompere le “zeta”! Non romperci l’”x”! Che bella “y”! Mi stai sulle “zeta”! Che testa di “x”! Che “x” vuoi? Fatti gli “x” tuoi! E ‘sti “x”!? Però… che omega (ω)! E così via.
Tutti a ridere a crepapelle da farsi venire le lacrime agli occhi, contagiando con questo linguaggio “oratoriano” i nostri nuovi amici estivi che di volta in volta arricchivano la nostra compagnia. Tutti, ben volentieri, si adeguavano ai termini “occultati”.
E così, per tante estati, coinvolgevamo parenti amici e conoscenti in questo turpiloquio virtuale. E non ci sbagliavamo mai.
Unica eccezione tollerata era il classico ed irripetibile ’nculo a Ppaone’! (tipica espressione formiana del tempo!) che pronunciava Franco, quando, saltando dalla sedia mentre giocavamo a tressette a perdere (il “traversone”), gli entravano troppi carichi tra le carte napoletane.
Una eccezione che confermava le regole che urbanamente e civilmente ci eravamo dati.
Franco Zecca.
17 Aprile 2016 at 10:08
I tempi erano quelli che erano, nel campo del linguaggio come nei comportamenti.
Si può dire che abbiamo anticipato (?!) un modo di proferire “parolacce” in un ambiente culturalmente chiuso, che avrebbe marchiato come “volgare” una frase, un discorso, un dialogo. Un po’ come fanno gli scrittori che non vogliono farsi censurare o catalogare come “volgari”. Vedi Camilleri che di parole e frasi ne ha inventate tante. Ad es.: “non rompere i cabasisi” = “non rompere i coglioni”.
Tutto sommato quel modo di parlare (riferito alle parolacce) ci ha reso unici ed originali suscitando spesso la curiosità dei nostri interlocutori e spesso la compiaciuta approvazione degli adulti acculturati e un po’ bigotti, spesso ipocriti, che comunque ci accettavano nei colloqui come persone “sane”.