Mi sembrava un’occasione sprecata che la proposizione di un articolo su Napoli, su Roberto Saviano e la performance di Mimmo Borrelli in “Napucalisse” (da leggere e ascoltare: tutto qui) non avessero avuto echi di commenti sul sito.
Per fortuna – solidarietà e consonanza – è arrivato un breve messaggio di Tano, amico e sodale: “Solo un minuto, ma mi sembra nella scia dei misconosciuti cantastorie del nostro sud: forti e dolenti, capaci di mettere a nudo anche le anime di chi anima non ha. Continuo più tardi” – seguito a qualche giorno di distanza dallo scritto che segue.
Sandro Russo
Sconosciuto. Mimmo Borrelli totalmente a me sconosciuto; presentato, portato per mano dall’amico Saviano, irrompe come una meraviglia nel vestibolo della conoscenza e scava con violenza innocente nei miei ricordi e fa scempio fra gli scaffali di fratelli, cugini, amici, simili e reperti vari. Il primo danno lo fa rovesciando la scatola quasi vuota in cui ho sistemato la cantilena ascoltata per caso in macchina sul terzo canale della radio, tanti anni fa. Un’antica filastrocca siciliana (1) _ cantata da una voce sconosciuta, ma dai certi e riconosciuti accenti del siciliano dei bassi iblei, lembi di Magna Grecia da Siracusa a Ragusa (Noto, Rosolini, Ispica?).
Una voce asciutta, graffiante, “ignorante”, dolorosa e insieme viva per anni di cuntu a vecchi e carusi (2). Voce di puparo, voce di cantastorie, voce affabulatrice, voce che figlia nella memoria, che fa nido e radica, come cappero vocale, come musica di ossa bianche e terra rossa e pietre traforate che ancora ricordano il mare in cui sono state immerse per migliaia di millenni, e che ora asciutte di sole riposano sotto carrubbi e rovi, a sgambettare lenti annoiati bovini a zonzo per improbabili pascoli.
Quanto ho cercato per sapere di chi fosse quella voce, a chi appartenesse questa corda scesa dentro di me con un secchio arrugginito legato al manico stortignaccolo: ho chiamato la Rai, ho consultato annate di giornali, ho chiesto a Siracusa, a Catania, in ogni visita ai patri lidi. Invano. Ho deciso di lasciar dentro la scatola il ricordo, che sbiadisce, evapora, smagrisce man mano.
Cresce la polvere s’allontana il ricordo. Ma non la voce rauca, dolorosa e innocente, sorella amica e compagna della voce straordinaria di Mimmo, che si unisce in coro alle canzoni di Rosa Balistrieri _ che ha cantato come nessuno l’anima rude e riservata, dolente e nostalgica della Sicilia ed ha fatto speciali i miei ’70 palermitani.
Voci raspe voci lime, che feriscono l’anima e storcono gli occhi per vedere le ferite, i tagli, gli strappi, i buchi che il tempo ha covato nei muri delle povere case e nei cuori della povera gente. Voci indelicate, voci urticanti che trovi se viaggi nei porti del nostro Tirreno, a Catania, Napoli, Palermo, Genova, Marsiglia. E a Marsiglia non poggi perché l’amatissimo Jean-Paul Izzo ti tiene sveglio con le storie maledette dei vinti, degli ultimi, dei perdenti e ti stringe la testa perché tu possa ascoltare Pietra Montecorvino in controcanto a Mimmo, lapilli sulla pelle e lava nelle vene, tormento estatico sbocciato improvvisamente attraverso il telo in cui Turturro mi diceva del suo amore per Napoli e per dirlo meglio e per non dimenticare ha fatto cantare la strega, dalla voce che ferisce e rapisce.
Passione è un film doc-musicale del 2010 diretto da John Turturro che contiene, ‘sceneggiati’, diversi brani musicali tra cui Nun te scurda’ cantato da Pietra Montecorvino. La famiglia di John Turturro è di origine siciliana, suo padre era pugliese. Lavorando alla regia di Passione, ha voluto approfondire le sue origine italoamericane ricavandone una intensa dichiarazione d’amore verso la città di Napoli.
A muovere l’oleosa superficie montano voci, immagini, colori, riposti, schiacciati a far posto a miliardi di bit che ingolfano testa e cuore: ed emergono Peppe Barra, ed un suo spettacolo nel Castello svevo di Milazzo, in estate, con mia moglie, innamorati pazzi. Peppe scacciato dalla Rai e al posto suo mafiosi e figli di mafiosi, amanti del “bel canto” e della retorica neomelodica.
Il castello svevo di Milazzo (ME). La fortezza, e tutta l’area compresa nell’ampio recinto delle mura spagnole (città murata e borgo antico), oggi di proprietà comunale, costituisce la più estesa cittadella fortificata esistente in Sicilia con una superficie di 7 ettari
Devo chiudere, ma come faccio a lasciar fuori, dopo aver aperto, scoperchiato e scartato senza pietà alcuna, come faccio a lasciar fuori Napoli Centrale con James Senese ’ncoppa? Come faccio?
Mimmo, Pietra, Rosa, Peppe, James e fiumane di carrettieri e marinai sono i cantori veri della storia antica delle nostre isole e dei nostri porti, delle nostre terre conquistate e mai vinte.
(1) – C’era ‘na vota ‘n re, pite’, bafé, viscottu e minè
c’aveva ‘na figghia, pitigghia, bafigghia, viscottu e minigghia.
Sta figghia, pitigghia, bafigghia, viscottu e minigghia,
aveva ‘n aceddu, piteddu, bafeddu, viscottu e mineddu
Gn’ionnu st’aceddu, piteddu, bafeddu, viscottu e mineddu
Vulò supra ‘i casi, pitasi, bafasi, viscotta e minasi
Allura lu re, pite’, bafè, viscottu e minè dissi:
a cu’ trova l’aceddu, piteddu, bafeddu, viscottu e mineddu
cci dugnu a me figghia, pitidda, bafigghia, viscottu e minigghia
Iù truvai l’aceddu, piteddu, bafeddu, viscottu e mineddu,
ci rissi ‘n carusu, vavusu, fitusu, viscottu e minusu
Allura lu re, pite’, bafè, viscottu e minè ci dissi:
E iu pi ‘n’aceddu piteddu, bafeddu, viscottu e mineddu,
ti dava a me figghia pitidda, bafigghia, viscottu e minigghia?
Ah! Vattinni, vavusu, fitusu, muccusu, viscottu e minusu.
(2) – ragazzino