Le festività di Pasqua che ho trascorso a Ponza si possono contare forse sulla punta delle dita, almeno quelle fatte per mia scelta e non insieme ai miei genitori. Nell’età dell’adolescenza era soprattutto mio fratello Silverio a raggiungere a Ponza la sua comitiva di amici, non tanto per il giorno di Pasqua in sé ma per il lunedì del “pascone”, con le escursioni fino al Semaforo, i giochi, le merende e le abbondanti libagioni (“semel in anno”).
Ricordo invece la prima Pasqua trascorsa nella casa della Dragonara con mio figlio Flavio, che aveva circa sei mesi e una tutina di lana melange color rosso e grigio: era la prima volta che metteva piede sulla mia isola, dove ha potuto assaporare le prime vere camminate in passeggino con l’aria pulita e il profumo del mare. Solo un piccolo assaggio di quanto avrebbe potuto sperimentare a più ampio raggio di lì a qualche mese, in estate, con la scoperta del mare “dal di dentro”, le escursioni nel gommoncino legato con una corda alla vita di mamma e papà che nuotavano, il buio della notte.
C’è poi un salto lunghissimo, di tante Pasque trascorse all’estero, in un’atmosfera di continua vacanza, dove fa sempre caldo e non si distingue una festa dall’altra. E il buffet a bordo piscina differisce da una qualunque domenica solo per qualche particolare decorativo e qualche piatto tipico.
Compiuto il salto lungo parecchi anni, mi ritrovo di nuovo a Ponza per Pasqua, con mio marito Dante, una decina d’anni fa. Di quei giorni ricordo l’intensa e dolente processione del Venerdì Santo, “u fucarazzo” sulla spiaggia di Sant’Antonio. Poi, anche in questa circostanza, più che il giorno di Pasqua ricordo la Pasquetta, quando siamo andati a fare un pic nic a Le Forna, in uno dei suoi tanti angoli verdi a strapiombo sul mare. Ho impressi nella mente tutti i colori di quel giorno, con il cielo azzurro, il mare dal verde al cobalto, mosso dalla schiuma bianca delle onde, il vento.
Per il menu del giorno poi non c’è neanche bisogno di frugare nella memoria perché è quello classico: uova sode, salame, pizza rustica, casatiello (dolce) e pastiera. Senza dimenticare l’imprescindibile Coca Cola, che noi in casa definiamo in maniera forse un po’ blasfema “il sacro liquido” e che farà certamente rabbrividire i ponzesi e non solo, per i quali esiste solo il vino, almeno in alcune circostanze. Rispetto le loro idee ma è chiaro che non le condivido.
Un’altra Pasqua è alle porte, e sono di nuovo molto lontana: farò la pastiera, ho portato con me tutti gli ingredienti, ma so già che non avrà lo stesso sapore. Mi auguro che l’anno prossimo le cose vadano in maniera diversa, e di poter acquisire un altro, anche piccolo, numero di ricordi vissuti “in casa”, da poter conservare nello scrigno della memoria.