Partire con l’animo tormentato da una vallata delle Ande cilene per arrivare alla scoperta di una ricomposizione delle proprie antinomie interiori nel pieno del Mediterraneo è un percorso che ci riporta ad una tematica già trattata abbondantemente su questo sito: la forza culturale unificante di questo mare, il nostro mare.
Di questo viaggio avventuroso, che possiamo ripercorrere attraverso la vita di Gabriela Mistral (1889 – 1957), poeta, femminista e insegnante, si è parlato in un incontro al Museo del Mare, a Napoli, venerdì 18 marzo con i proff. Rosa Maria Grillo dell’Università di Salerno, Gabriella Dionisi dell’Università della Tuscia e Nicola Bottiglieri dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale.
Ancora poco conosciuta, eppure primo premio Nobel dell’America Latina per la poesia, conferitole nel 1945, Gabriela Mistral ha vissuto muovendosi fra due poli attrattivi entro i quali si è dispiegato il suo animo: la montagna, la Cordigliera andina, materna, sicura, luogo in cui affondano le radici della tradizione, e il mare, pieno di incognite, aperto al nuovo, all’avventura, ma anche condanna all’abbandono di chi resta, esperienza dolorosa vissuta quando, all’età di tre anni, suo padre se ne andò via di casa.
Nata a Vicuna nel 1889 come Lucila Godoy Alcayaga, ha vissuto la sua infanzia nel vicino paesino andino di Montegrande, dove, poi ha voluto la sua tomba.
Risale a quando aveva 24 anni la scelta di chiamarsi Gabriela Mistral, in omaggio ai suoi poeti preferiti, Gabriele D’Annunzio (1863-1938) e Frédéric Mistral (1830-1914); ma il senso profondo di questo pseudonimo rimanda a ben altri significati.
Il mistral, in quanto vento, è un elemento naturale assimilabile alla madre e, in Gabriela, assume un valore sacrale più forte dell’acqua: se le onde del mare cullano le barche, il vento culla il grano, l’energia vitale.
Ninna nanna
Il mare le sue mille onde
culla divino;
odo i mari innamorati
mentre cullo il mio piccino.
L’errabondo vento, a notte,
culla le spighe;
odo i venti innamorati
mentre cullo il mio piccino.
Iddio Padre i mille mondi
culla senza un brusio.
Sento il gesto suo nell’ombra
mentre cullo il bimbo mio
Ma, in particolare, il mistral è il vento caratteristico della Provenza che soffia impetuoso sul Mediterraneo, è il vento del luogo-culla dell’occitano, la prima lingua letteraria d’Europa dopo la sua uscita dal Medioevo.
Quindi, Gabriela ha scelto un nome che va alla radice delle sue appartenenze culturali, travalicando spazi oceanici e tempi secolari. E’ l’invisibile ma tangibile ponte creato dalla continuità linguistica e culturale che dall’antica Roma, passando attraverso la nascita delle lingue neolatine nel Mediterraneo e la loro diffusione nel mondo, arriva fino ad oggi riversandosi nei testi letterari ispano-americani che proprio con Gabriela Mistral cominciano a giungere in Spagna.
La traiettoria del percorso che dalle Ande porta al Mediterraneo, una volta individuata, divenne il perno intorno al quale si sviluppò la sua ricerca intellettuale e poetica per trovare il senso della sua vita, una vita che non fu proprio lineare.
Già a 15 anni si vide rifiutare la frequenza scolastica per le sue poesie, pubblicate su giornali locali, piuttosto anticonformiste, ma continuò a studiare da autodidatta acquisendo i titoli che le permisero d’insegnare. Oltre che dei temi dell’insegnamento, s’interessò anche dei diritti delle donne e a 22 anni si recò a svolgere il suo lavoro a Punta Arenas, nell’estrema Patagonia meridionale, sullo stretto di Magellano, dove rimase per circa due anni.
da: Preghiera di un’insegnante
(…)
Fa ch’io sia più madre di una madre
nel mio amore e nella difesa del bambino
che non è sangue del mio sangue
Aiutami affinché ognuno dei “miei” bambini
diventi la poesia migliore.
E nel giorno in cui non canteranno più le mie labbra,
lascia dentro di lui o di lei
la più melodiosa delle melodie
Tornata a Santiago insegnò in un liceo ed ebbe tra i suoi allievi Pablo Neruda.
Si impegnò nel dibattito sull’insegnamento tanto da essere chiamata dal governo messicano a collaborare alla riforma scolastica. Al ritorno in Cile fu insignita del titolo accademico di professore di Lingua spagnola ed iniziò per lei un periodo intenso di viaggi all’estero – Stati Uniti ed Europa – per conferenze, ma anche di lavoro presso la Società delle Nazioni.
Dal 1932 fu console cileno a Napoli, Rapallo, Madrid, Lisbona, Petropolis, Nizza, Los Angeles, Santa Barbara, Veracruz e New York.
Gabriela non godé mai delle simpatie del mondo accademico cileno proprio per l’anomalia del suo percorso formativo.
Anche la sua vita affettiva non fu lineare. Dopo l’abbandono del padre quando aveva tre anni, nel 1909 visse il trauma del suicidio dell’uomo che amava. Il dolore della morte sarebbe rimasto sempre presente nella sua produzione poetica insieme ad una forte passionalità sensuale, fantasiosa, ma anche mistica, in grado di trasfigurare i luoghi amati.
Baci
Ci sono baci che emettono da soli
la sentenza di una condanna d’amore,
ci sono baci che si danno con uno sguardo
ci sono baci che si danno con la memoria.
Ci sono baci nobili
baci enigmatici, sinceri,
ci sono baci che si danno solo con l’anima
ci sono i baci proibiti e ci sono i baci veri.
Ci sono baci che bruciano e che feriscono,
ci sono baci che turbano i sensi,
ci sono baci misteriosi che hanno lasciato
i miei sogni confusi ed errabondi.
Ci sono baci problematici che nascondono
una chiave che nessuno ha mai decifrato,
ci sono baci che generano la tragedia,
quante rose in boccio ha sfogliato.
Ci sono baci profumati, baci tiepidi
che palpitano in un intimo anelito,
ci sono baci che lasciano sulle labbra impronte
come un raggio di sole in un campo gelato.
Ci sono baci che sembrano gigli
sublimi, ingenui, puri
ci sono baci traditori e codardi,
ci sono baci maledetti e spergiuri.
Giuda baciò Gesù e lasciò impresso
sul viso di Dio, il segno della sua viltà,
mentre la Maddalena con i suoi baci
fortificò pietosa la sua agonia.
Da allora nei baci palpitano
l’amore, il tradimento e il dolore,
le coppie umane assomigliano
alla brezza che gioca con i fiori.
Ci sono baci che provocano deliri
di amorosa, folle, ardente passione,
tu li conosci bene, sono i miei baci
inventati da me, per la tua bocca.
Baci di fiamma che portano impressi nel viso
i solchi di un amore proibito,
baci tempestosi, baci selvaggi
che solo le nostre labbra hanno provato.
Ti ricordi del primo? …indefinibile,
ti lasciò il viso coperto di rosee impronte
e nello spasimo di quell’emozione terribile,
gli occhi si riempirono di lacrime.
Ti ricordi di quella sera, quando in un momento di follia
ti vidi geloso immaginando chissà quale oltraggio,
ti presi tra le mie braccia…
vibrò un bacio, e che cosa vedesti dopo?…
Sangue tra le mie labbra.
Io ti insegnai a baciare: i baci freddi
sono di un impassibile cuore di pietra.
Io ti insegnai a baciare con i miei baci
inventati da me per la tua bocca.
Non le fu risparmiato nemmeno il dolore, nel 1943, della morte del nipote diciassettenne che aveva cresciuto come un figlio.
Gabriela ebbe anche amicizie femminili – c’è un carteggio importante con Doris Dana, la sua segretaria -, ma nella vita avvertì molto la solitudine nonostante la fede, la terra e la poesia fossero sempre presenti e costituissero i suoi grandi amori.
Dammi la mano
Dammi la mano e danzeremo
dammi la mano e mi amerai
come un solo fior saremo
come un solo fiore e niente più.
Lo stesso verso canteremo
con lo stesso passo ballerai.
Come una spiga onduleremo
come una spiga e niente più.
Ti chiami Rosa ed io Speranza
però il tuo nome dimenticherai
perché saremo una danza
sulla collina e niente più.
Molto sensibile alle bellezze della natura, non le dissociava mai dalla forza creativa di Dio e, quando nel 1924 arrivò a Napoli per la prima volta rimase abbagliata dalla sua spettacolare bellezza.
Vedeva nel concreto quanto aveva insegnato in astratto a scuola: l’arco perfetto del golfo partenopeo e la fusione dell’oro del sole e dell’azzurro del mare.
Era questo il luogo in cui tutto aveva un senso.
Vi sarebbe tornata altre due volte: nel 1932, inviata come console, non avrebbe ricevuto l’autorizzazione da Mussolini, ufficialmente perché donna, ma, in realtà, per le critiche al regime fascista che emergevano dalle sue relazioni inviate ai giornali esteri, e successivamente nei primi anni ’50 per il piacere di tornarci.
Dai numerosissimi resoconti di viaggi, circa 500, emerge una viaggiatrice misurata, né sprovveduta né malevolva, che riporta sia il bello che il brutto.
Del popolo napoletano dice che è bello, povero, laborioso, pieno di capacità da sempre, ma della città dice che è maleodorante, pittoresca, e del nuovo e grandioso impianto urbanistico di Roma fascista rileva la fredda retorica preferendo la semplicità medievale di Assisi.
Il suo gusto era conforme ai suoi principi: l’amore per i diseredati, per la natura, la semplicità di vita di san Francesco sono anche i suoi valori.
Così, nel cuore del Mediterraneo, dopo la radice culturale di stampo poetico e linguistico in Provenza, dopo l’impatto con l’armonico connubio tra natura e cultura a Napoli, ad Assisi Gabriela trova anche un ancoraggio religioso.
Le piaceva molto l’Italia, che visitò al di là dei suoi compiti consolari, ed avrebbe voluto morire qui. Invece morì a New York nel 1957 di leucemia.
Perché, a differenza dell’altro Nobel cileno, Pablo Neruda, che pure fu suo allievo, di Gabriela Mistral non c’è una diffusa conoscenza in Italia?
I professori presenti all’incontro di venerdì hanno risposto con un elenco, nemmeno troppo breve, di controindicazioni alla diffusione dei suoi versi – donna, religiosa, lesbica, antiaccademica, femminista – a cui bisogna aggiungere un alone rivoluzionario, colorato di socialismo, che non aveva legami o riferimenti partitici, condizione autoescludente nel contesto del forte contrasto politico che seguì alla seconda guerra mondiale.
Anche le traduzioni delle sue poesie non sono state accurate e sono rimaste limitate.
E’ dallo scorso anno, in occasione dei 70 anni del Nobel attribuitole, che c’è un recupero della figura di Gabriela Mistral con la mostra “Figlia di un nuovo popolo, Gabriela Mistral 70 anni dopo il Premio Nobel di Letteratura” che è stata nel 2015 a Roma e a Napoli, si sta chiudendo in questi giorni a Rapallo e successivamente andrà a Trento.
Per chi voglia leggere le sue opere, ne ricordiamo i titoli.
Raccolte poetiche: Desolaciòn (1922); Ternura (1924); Tala (1938); Lagar (1954).
Tra le opere in prosa: Lecturas para mujeres (1923), Recados, Contando a Chile (1957).