E’ stata una settimana abbastanza vivace per varietà e tipologia di temi e per le interlocuzioni che i commenti hanno ingenerato, confermando che il nostro “racconta” non è una riedizione affabulata del passato, ma è una rappresentazione continua della “società ponzese” che le rievocazioni di com’era una volta e di ciò che accadde aiutano a meglio definire.
Forse che gli echi di quei tratti primo-novecenteschi, così ben tracciati da Pasquale Scarpati, quando il fattore sociale dirimente era ‘A nummenàta, non sono ancora avvertiti nella nostra comunità? Certo, non se ne ha nostalgia come invece è per il ricordo del tempo in cui il bagno si poteva fare nel porto attraversandolo tranquillamente a nuoto, e la simpatica gara al ricordo e alla rettifica innescata dalla ricostruzione della vicenda della nave che vi si arenò, ci suggerisce che è forte un sentire comune che nasce dal piacere e dall’orgoglio di aver vissuto un’altra Ponza che oggi non c’è più.
Ciò non distoglie dai fatti presenti, belli o brutti che siano.
Possiamo partire dall’articolo argomentato sulle vicende sempre più complesse della gestione dell’acqua che suggerisce connivenze politiche di diverso orientamento tese a sostenere gli interessi privati, invece che a tutelare quelli del cittadino: o dal paradosso dell’abusivismo legale o legalità abusiva di Sang’ ‘i Retunne; o anche dal resoconto sportivo di Giovanni Califano che ci ha fatto vedere una XX giornata di campionato chiusa con la violenza. Cui sono seguite le immancabili sanzioni.
Una certa rilevanza è stata data questa settimana alle testimonianze archeologiche isolane, anche con qualche diatriba.
Accanto al percorso conoscitivo che Enzo Bonifacio continua a tracciare attraverso le strade sotterranee romane, sul sito trovano spazio interventi che vogliono sottolineare la scarsa attenzione che si ha per la conservazione dei beni archeologici e per le indicazioni illustrative che ad essi vengono apposte.
La Redazione ha espresso la sua indignazione per la sciatteria culturale di chi ha scritto – e naturalmente di chi ha prima incaricato e poi supervisionato – il testo riportato sulle mattonelle affisse all’ingresso del tunnel di Santa Maria, rilevandone gli errori con delle battute; indipendentemente da ciò l’archeologo Leonardo Lombardi ha portato a conoscenza dei lettori di Ponzaracconta una denuncia sporta mesi fa al Tribunale di Roma per l’incuria in cui versa la diga di Giancos.
Il Memo 44 vuol ricordare semplicemente a chi non accetta la voce del nostro sito, tanto da escluderlo dal proprio orizzonte linguistico pensando forse, non pronunciandone il nome o storpiandolo ad arte – che brutta scuola quella della comunicazione politica degli ultimi 30 anni! -, di eliminarlo magicamente, che il ruolo amministrativo è ben diverso da quello di chi, per sua natura, deve guardare a quel che accade e rilevarne quanto di positivo o negativo possa esserci per la comunità ponzese.
Forse, come dice Vincenzo in un commento, sono pochissimi i ponzesi che si vergognano a veder esposta un’indicazione storica sbagliata o a vedere il degrado in cui versa non solo la diga di Giancos, ma l’intero patrimonio archeologico dell’isola. Oppure, come dice Sang ‘i Retunne, la maggioranza, alla stregua di Giggino, preferisce manufatti moderni, puliti e belli, ai buchi antichi perché non ne comprende il valore.
Noi siamo più ottimisti e non ci scoraggiamo, altrimenti il senso del nostro sito rimarrebbe quello di essere un semplice trastullo. Non pensiamo affatto che le questioni culturali siano “di nicchia”, perché sappiamo che con la cultura, che non è un qualcosa di astratto, si guadagna, come succede in tutto il mondo laddove si valorizzano le tracce del passato.
A Ponza, il primo e timidissimo passo costituito dall’apertura della cisterna della Dragonara ha incominciato a dare dei frutti nonostante i limiti della gestione. Attendiamo gli ulteriori e frammentari interventi in attesa di un ampio piano operativo che dia non solo la reale dimensione della ricchezza archeologica della nostra isola, ma una sua lettura corretta.
Si tratta di ripensarsi, di rimettersi in gioco e Franco De Luca, sempre piuttosto negativo nelle sue analisi dell’animo e della società ponzese, questa volta, partendo dagli addii che si sono susseguiti in maniera impressionante nelle ultime settimane, apre ad un invito a coloro che restano: raccogliere dall’eredità di sentimenti e comportamenti di chi ci lascia gli esempi positivi e quelli utili a migliorare se stessi e la comunità. E’ un po’ una sfida a mettersi in gioco: il vivo può ancora farlo!
Da non trascurare la nostra Rassegna Stampa che questa settimana mira a corredare con documenti le notizie riportate: azioni amministrative per la bonifica di monte Pagliaro, rinvio a giudizio dei 15 indagati per la presunta truffa sulla raccolta differenziata, bandi di finanziamenti per nuove attività legate al turismo verde, all’agricoltura e alla pesca, camion bloccato sulla pedana del don Francesco, monopolio dei trasporti marittimi nell’alto Tirreno della nuova società di Vincenzo Onorato, e altro ancora.
L’imminenza della festa di San Silverio ‘i Fforne non poteva non risvegliare i forti sentimenti che ci legano a questa festività. Tonino Esposito ha ben descritto le motivazioni che l’hanno spinto a musicare e farci sentire la poesia di Franco De Luca, A nomme ‘i Ddio, mentre lo spirito spesso provocatorio di Silverio Lamonica ha tirato fuori un testo abbastanza simpatico di un San Silverio che offeso per il rifiuto dei frusinati di renderlo loro protettore, si esibisce in una filippica tutta umana, che non è estranea al modo di rapportarsi dei ponzesi col loro santo.
Tirando le somme credo quell’indefinibile segmento dell’animo umano costituito dai ricordi del passato e dai sentimenti che in essi affondano sia in continua navigazione verso il futuro perché si scontra/incontra con la quotidianità da cui prende linfa vitale. A ben vedere la filastrocca delle dita che da bambini abbiamo sentito divertendoci, doveva essere retaggio di un periodo nemmeno tanto lontano in cui le filastrocche come questa servivano ad intrattenere i bambini che la scarsità di cibo faceva piangere.
Chi si trova in prima fila, come dice Luisa in un suo commento, fa bene a consegnare i ricordi alla memoria che fa da staffetta nei passaggi generazionali.
Infine come dice Pasquale a conclusione della sua recente serie di quattro articoli: ’Sti storie vecchie… so’ comm’ ’u vvin: chiù invecchia, e chiù è ‘bbuon; si però – aggiungo io – chist’ ven’ conservat’ ind’ a ’na bbona votta e ’nda ‘na cantina fresca.