di Francesco De Luca
Nessun augurio. Perché l’augurio auspica un intervento “dall’alto”, che porti benessere e felicità, mentre io intendo sollecitare comportamenti e volontà in noi, cittadini e isolani di Ponza.
Non c’è da attendersi nulla da “altri” bensì disporsi ad operare con un preciso intento. Quale?
La conoscenza della nostra isola mi induce a spronare tutti affinché venga salvaguardato il territorio.
L’isola, a differenza dei paesi e cittadine del continente, ha un territorio fortemente delimitato, non influenzabile da decisioni di altri comuni. Il territorio è interamente “nostro” e siamo noi gli unici a determinarne lo stato. La natura, come ha operato sino ad ora, è più benefica che non gli uomini.
Quante strade interne sono abbruttite dagli escrementi dei cani, lasciati come se fossero in uno spazio non vissuto. Ossia desolato. Che è poi l’impressione prima che trae l’osservatore venuto da fuori. Strade e vicoli e cortili come pattumiera in attesa che la pioggia venga a lavare tutto. La pioggia quest’anno latita, e il tutto si configura come una latrina a cielo aperto.
Ci sono poi i dirupi fino a mare. Dove si gettano oggetti dismessi. Perché è più facile disfarsene, ma anche più difficile da essere smaltito o occultato dalla natura. Luoghi con scorci bellissimi solo se l’angolatura dell’obiettivo è rivolto in alto, perché in basso ci sono water, materassi che i cespugli non riescono a coprire.
E i sentieri più impervi deturpati dalle cartucce, e le buste di plastica che avviliscono gli angoli riposti.
Il nostro territorio dice di noi più di mille giudizi elogiativi che su Facebook si inseriscono con didascalie esaltanti. Che viviamo nella “più bella isola del mondo” ce lo devono dire gli altri. Se ce lo diciamo da soli non è credibile.
In parte l’immagine dell’abbandono è colpa dello spopolamento. Ma se un appello può trovare ascolto voglio invitare a non mettersi in cerca di chi è la colpa, piuttosto di operare nel proprio ristretto ambito affinché la pulizia dei luoghi sia accorta, la cura sia eseguita. Il nostro territorio è un patrimonio che da migliaia di persone ci viene invidiato e ammirato. Dobbiamo esserne coscienti e tutelarlo. Noi per primi, noi come esempio per gli altri, noi per essere in sintonia con la natura che ci ha privilegiato.
Augurarsi che rimanga tale non ha senso, impegnarsi per farlo sì.
Pasquale
28 Dicembre 2015 at 18:05
Caro Franco
“C’erano una volta degli uomini che portavano a spalla un lunghissimo tronco pieno di nodi ma liberato dei piccoli rami collaterali. Era abbastanza pesante. Uno di questi pensò: “Ma a me chi me lo fa fare, mo’ inclino un poco la spalla, così mi alleggerisco il peso; tanto… ci sono gli altri”. Il secondo pensò la stessa cosa, così il terzo e l’altro ancora. A mano a mano che i “furbi” agivano in questo modo, il tronco diveniva sempre più pesante sulle spalle di quei pochi che lo reggevano correttamente. Alla fine, però, quelli avvertendo che il peso era divenuto oltremodo pesante, pensarono: “E che, siamo forse più fessi degli altri?”. Così anche loro fecero la stessa manovra dei precedenti: piegarono la spalla. E il tronco? Rotolò a terra e rimase lì a “fracicarsi”.
Leggendo il tuo articolo mi sono ricordato di questa oramai vecchia e risaputa storiella, ma forse molti non la conoscono ancora. L’auspicio è che non si avveri ciò che dice il racconto.
Tanti auguri – Pasquale. Ah, dimenticavo: non si è mai saputo se il tronco fosse trasportato sulla spalla destra o sulla spalla sinistra! Il dibattito è ancora in corso.