Quando rilessi, diversi anni fa, ‘87-’88, il libretto di poesie “Come l’agave” di Franco De Luca, mi soffermai proprio sulla poesia “Inverno isolano”, a pag. 14.
Mi dava una sensazione di vera solitudine nelle strade di Ponza – e sì che allora c’era più gente di adesso! -, però Franco descriveva così bene le cose da farle quasi toccare con mano.
I vicoli bui o con quella luce fioca di allora, il vento che corre, salta e fischia nei vicoli dando la sensazione di sussurri e bisbigli… e l’illuminazione che c’era una volta nella piazza sotto il Municipio quando “Vicienzo ’u pustine” aveva finito di dare la posta e la gente era andata via… Sembravano lanterne di un altro tempo, con quella luce fioca e gialla.
E uno si ritrovava confuso, attonito, senza parole nell’ascoltare quel silenzio, il vento e tutti i rumori che produceva; a volte pure il mare ci si metteva, a infuriare del suo. Solo qualche luce che si poteva intravedere fra gli scuri delle finestre delle case riempiva l’anima, altrimenti vinceva la paura.
Franco espresse così bene l’inverno a Ponza, in un tempo in cui c’era più vita; ora, a distanza di più di 25 anni, questi versi, rispecchiano ancora più forte e cruda la realtà dell’inverno isolano.
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Inverno isolano
Quanta desolazione
il risonante ciottolato
nella pavida sera,
quando solo i cani strisciano la coda
fra i muri raschiati dal vento,
signore dei vicoli.
Attonito stupore
salta di finestra in loggia
accendendo soffuse parole.
Silenzio: in letargo si vive di gesti.
Nella piazza fiaccole dolenti
annottano la vista
e nel grigio del mare inquieto
ingrigia anche la paura.
L’ultima frase, mi confusi quando la cantai, e invece di “ingrigia anche la paura “ cantai “invecchia anche la paura” ma ormai era fatta e il significato era lo stesso, perciò non mi preoccupai più di tanto.
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