di Sandro Russo
Gli alberi e la città perduta. Angkor emerge dai miei ricordi come un nome mitico: – …La citta’ perduta di Angkor …La foresta inghiotti’ la citta’ di Angkor e tutti i suoi segreti…
Un po’ ‘Libro della Jungla’, un po’ Macondo, qualche ricordo di un vecchio numero di National Geographics; forse anche una vecchia avventura dai primi numeri italiani di Paperino e Paperone, quando i due, insieme a Qui Quo Qua, alla ricerca di favolosi tesori sepolti, fanno crollare dietro di loro l’ultimo passaggio …E la vegetazione si chiuse sopra la città e la nascose per sempre ad occhi umani…
L’immaginazione funziona come molla; nella realtà c’è un viaggio in Cambogia, un breve soggiorno nella capitale Phnom Penh e la ricerca di un modo per raggiungere Siem Reap, che è il centro più grande adiacente alle rovine di Angkor.
Mappa dei luoghi menzionati nel testo (cliccare per ingrandire). Il sito più grande di Angkor – adiacente a Siem Reap – è Angkor Vat (il tempio della città), il più grande monumento religioso della storia dell’umanità
Si scarta subito l’aereo e si scopre che c’è un passaggio veloce per la via d’acqua: un grande aliscafo che da Phnom Penh risale il Mekong, o meglio un affluente di questo, il Tonle sap river, che con un percorso di 110 Km si versa nel più grande lago del sud est- asiatico.
Il viaggio dura ancora a lungo (5 ore in tutto) all’interno del Tonle Sap (Grande Lago), grande come un mare, fino all’approdo in un posto sudicio: un villaggio galleggiante e la baraccopoli retrostante. Un caos di fanghiglia, folla, mezzi di trasporto di ogni tipo: biciclette, moto-taxi, tuk-tuk, macchine; perfino dei grandi torpedoni venuti per lo sbarco dei turisti. Il tutto mobile e provvisorio in relazione al livello del fiume. L’odore è quello dei pozzi neri delle latrine di campagna (..che conosciuto una volta non si scorda più). Tanti bambini, nudi e coperti di polvere. “La strada”, che è anche mercato, parcheggio, e spazio di contrattazione, non e’ una strada in realtà, ma un letto di fango e polvere: quello che si ritrova sul fondo, quando il lago si ritira.
Siem Reap è a qualche chilometro di distanza e funziona da base per le escursioni al complesso monumentale di Angkor, che si estende su un’area enorme, di 400 chilometri quadrati, inclusa una zona di foresta, e contiene i resti monumentali di tre differenti capitali dell’impero Khmer, tra il IX e il XV secolo. Esso è dal 1992 ‘mankind heritage’, patrimonio dell’umanità sotto la tutela dell’UNESCO.
Uno spettacolo ineguagliabile, in effetti, che fa venire tanti pensieri…
Un po’ si disperde, la potenza del mito, quando si decide di venir a vedere di persona cose per tanto tempo solo immaginate. Non fa gran piacere sentirsi parte di un turismo di massa – ma qui più che altrove selezionato da un genuino interesse per i luoghi – anche se si capisce che i proventi del turismo sono necessari al mantenimento dell’impresa. Disturbante è anche il ricordo dei massacri di massa da parte dei Khmer rossi e delle distruzioni (di monumenti e memorie) avvenute sotto quel regime in tempi neanche troppo lontani (1976 – ’79). Tra l’altro la Cambogia è uno dei terreni più infestati da mine anti-uomo dell’intero sud-est asiatico – land mines: a Siem Reap c’è un coinvolgente museo – e in numero delle persone morte o menomate ogni anno (soprattutto bambini) è molto alto.
Ma tutte queste considerazioni dileguano alla vista delle rovine.
È stato fatto negli anni – dall’epoca della riscoperta del sito archeologico da parte del francese Henri Mouhot, alla metà dell’ottocento – un enorme lavoro di disboscamento, per strappare palmo a palmo ad una vegetazione tropicale invasiva le costruzioni che essa aveva prima infiltrato e coperto; poi inglobato e fatto sparire. Per analogia si pensa agli antichissimi e antichi insediamenti del Guatemala e dello Yucatan, alle piramidi Maya e Azteche di cui solo di recente si è sospettata l’esistenza dalle vedute aeree, che dimostravano inconsuete elevazioni nel fitto della giungla.
I monumenti di Angkor costituiscono un’architettura assolutamente originale, in arenaria e laterite, ingrigite e corrose dal tempo. E la presenza degli alberi! …Mai visto prima un viluppo di vegetazione come al sito di Ta Phrom, dove sono le radici delle piante a tenere insieme le pietre, ma al contempo le divaricano, le spostano, fanno assumere ad esse angolazioni incompatibili con la statica del mondo fisico. Mai come qui, tra i pensieri sulla caducità delle opere umane, si insinua quello di una arcana sinergia, una collaborazione; come se la natura avesse inglobato per proteggere, conservare, le reliquie di un mondo perduto.
Il Bayon è un altro dei templi di Angkor. Fu costruito agli inizi del tredicesimo secolo come tempio di stato del re Jayavarman VII e si trova al centro di quella che era la sua capitale, Angkor Thom. La sua caratteristica distintiva è la moltitudine di visi sorridenti, scolpiti sulle quattro facce delle guglie a sezione quadrata che si elevano sempre di più man mano che ci si avvicina alla massiccia torre centrale (Da Wikipedia)
Richiami all’arte di Angkor sono dovunque: ecco, nella foto qui sopra, una istallazione moderna trovata per caso durante una recente visita al Fort St Jean a Marsiglia (sullo sfondo la Basilica Sainte Marie Majeur)
Il principale comprimario botanico delle rovine di Angkor, soprattutto a Ta Phrom, è un albero di origine sud-americana (Ceiba pentandra), ormai perfettamente acclimatato nelle regioni tropicali del sud-est asiatico tanto da esserne divenuto quasi l’emblema. La Ceiba è un albero maestoso, già sacro nella mitologia maya, secondo cui é l’“albero della vita”, che mette in connessione il mondo sotterraneo con il cielo.
L’albero le cui radici infiltrano – ma al contempo tengono insieme – alcuni dei monumenti di Angkor è Ceiba pentandra, Fam. Malvaceae (anche conosciuto come Kapok o Silk cotton tree)
Ta Phrom è dei vari complessi monumentali di Angkor quello maggiormente caratterizzato da una sconcertante simbiosi tra il regno vegetale e gli elementi di pietra: giganti tra i quali la presenza umana ha le proporzioni che una intrusione di formiche potrebbe avere ai nostri occhi
Altre piante tipicamente invasive e avvolgenti (qui le loro radici sono sovrapposte a quelle di un Kapok ) sono varie specie di Ficus [Ficus religiosa (pipal) e Ficus bengalensis (banyan)]
Ci sono luoghi – Angkor è uno di questi – in cui la trama del tempo sembra assottigliarsi fino quasi a lacerarsi. In improvvise e folgoranti sovrapposizioni con il presente: un taglio di luce al tramonto, un volto di pietra ricordato da un sogno, un cortile deserto – solo pietre e piante – che sembra animarsi di presenze umane e rivivere.
Cominciano ad essere visibili le prime stelle. La macchina del tempo prende a ronzare…
“…Histories of ages past
Unenlightened shadows cast
Down through all eternity
The crying of humanity.
Hurdy gurdy, hurdy gurdy, hurdy gurdy, gurdy.. He sang…”
[Da: ‘Hurdy-gurdy man’ (L’uomo dell’organetto) – Song by Donovan (1968)]
[Le piante e il tempo. (3) – Continua qui]
Per le puntate precedenti, leggi qui (1) e qui (2)