Per almeno tre motivi abbiamo scelto di pubblicare questo delizioso racconto trovato sul web per giri complessi:
– perché parla di Ponza e di alcuni aspetti della sua “cultura” secolare della convivenza e dell’accettazione del diverso;
– perché collegato con la ricorrenza dei morti;
– perché affine al tema delle diverse culture/fedi/credenze che da qualche tempo stiamo trattando sul sito.
Buona lettura
A tu per tu con la fede: Ponza e il modello MmE
di Wilma Massucco (gennaio 2008)
Incomincio subito a darmi da fare con la macchina fotografica; sono scesa dal traghetto alle 11 del mattino e ho solo quattro ore di tempo per realizzare un servizio fotografico sull’isola di Ponza: l’ultimo traghetto disponibile per tornare sulla terraferma…
parte infatti alle 15, poi più niente fino al giorno dopo.
Dovrei iniziare a scattare, ma ho un bisogno impellente di mettere qualcosa nello stomaco e così mi dirigo verso il bar che sta di fronte al porticciolo.
Lungo la strada incrocio una signora anziana, sulla settantina, con un bel mazzo di fiori in mano. La supero ma poi mi arresto, penso che sia un bel soggetto da fotografare e torno indietro. Mentre la sopravanzo frettolosamente – vorrei riprenderla dall’alto, in cammino lungo la salita – la signora mi ferma e mi chiede: “Sta andando al cimitero?”.
Resto un attimo interdetta, poi penso che la signora può darmi qualche spunto interessante per la fotografia dell’isola e allora rispondo senza esitazione: “Sì!”.
Al che lei, con fare bisognoso, mi chiede se posso aiutarla a portare una sportina con dei ceri. Prendo in mano la sportina e insieme ci dirigiamo lentamente verso il cimitero.
La signora si chiama Silvia, è triste perché le è morto da poco il marito, sta andando al cimitero a portargli dei fiori. Da lì inizia a raccontarmi della sua vita, delle sue sofferenze, dell’incontro con l’uomo che sarebbe poi diventato suo marito e di quanto ha lottato per arrivare a sposarlo… Io ascolto in silenzio, penso che Silvia sia una persona sola, con un grande bisogno di compagnia e di qualcuno con cui parlare. Poi però qualcosa cambia.
Mi parla della sua profonda fede in Dio e dei fenomeni mistici vissuti sin da piccola. Mi racconta di incontri con Gesù e con la Madonna, di visioni dell’aldilà, di preghiere forti e senza sosta quando chiede una Grazia.
Mi colpiscono la sua semplicità, la sua umanità e quella forza d’animo nell’affrontare la vita senza paura, anche quando la sofferenza è grande. Resto incantata e la ascolto per ore, senza pensare al servizio fotografico e allo stomaco vuoto. Quando guardo l’orologio sono quasi le 15 e rischio di perdere l’ultimo traghetto.
Stiamo per lasciarci e Silvia mi dice: “Prega il Signore”.
Al che io rispondo: “Non posso pregare il Signore perché io sono buddista”.
E lei, con lo sguardo stupito di chi non sa: “Ah…. e che cos’è il buddismo?”.
Tentenno un attimo, mi chiedo come posso trasmettere in poche parole la grandezza del pensiero buddista ad una persona anziana e semplice come Silvia, poi rispondo: “E’ un po’ come pregare Gesù, solo che quando io prego è per fare emergere Gesù (la Buddità) da dentro di me, mentre quando preghi tu è per entrare in contatto con Gesù fuori di te”.
Al che lei, con solarità e immediatezza, replica: “Beh ma allora è ancora più facile..! Allora tu prega a tuo modo e io prego nel mio. Tanto è come un imbuto: va tutto dentro la bottiglia”.
Resto ammutolita, esterrefatta dalla semplicità e dalla potenza di quelle parole, dall’apertura mentale e spirituale di quella donna anziana che non è quasi mai uscita dall’isola di Ponza… un senso di gioia e di appagamento profondo mi pervadono e lascio l’isola chiedendomi che cosa è davvero successo.
A distanza di anni da quell’incontro, durante la partecipazione ad un corso con Pat Patfoort (antropologa e biologa belga, nota in molte parti del mondo come formatrice alla non violenza), apprendo dell’innovativo modello MmE da lei formulato per la gestione dei conflitti, e grazie a questo credo di poter ora dare una spiegazione a quello che è successo all’isola di Ponza.
Secondo Pat Patfoort, tutti noi siamo stati educati al cosiddetto “modello Mm o Maggiore-minore”, secondo il quale le relazioni tra gli individui si basano sulla necessità di dimostrare chi ha ragione (Maggiore = M) e chi ha torto (minore = m). Poiché nessuno vuole sentirsi in posizione minore – tutti noi vogliamo avere ragione – quando ci sentiamo in ‘m’ si sviluppa dentro un’energia allo scopo di uscirne. Questa energia, che di per sé è sana e indice del desiderio di un cambiamento, purtroppo si manifesta all’esterno con modalità negative o distruttive.
Posso scagliare questa energia contro la persona che mi mette in condizione m – aggredendola per difendermi – oppure, se non sono abbastanza forte per affrontarla direttamente, posso scagliarmi all’esterno, cercando un’altra vittima su cui scaricare la mia aggressività oppure – se non trovo nessuna vittima fuori – posso scagliarmi contro me stessa, sviluppando depressione, malattia, auto-distruttività. In tutti e tre i casi si sviluppa una spirale di violenza, da cui è difficile uscirne.
Nella modalità Mm ci si compara ad un modello di riferimento, per cui si trasmette un messaggio del tipo “tu dovresti essere così”. Di conseguenza diciamo alle persone che devono cambiare, e così facendo le rendiamo deboli, sì che quando queste persone si sentono in m scatta l’energia negativa.
Al contrario, secondo Pat Patfoort è possibile impostare le relazioni interpersonali su un modello alternativo a quello Mm e detto dell’Equivalenza (E).
Equivalenza non significa uguaglianza. L’equivalenza presuppone che gli individui – partendo con caratteristiche diverse – possano mantenere tali differenze: non possiamo cambiarci per diventare uguali agli altri, ci snatureremmo e faremmo violenza contro noi stessi. Possiamo invece rapportarci gli uni agli altri osservandoci, così come siamo, senza condizionarci ad un cambiamento e al contrario valorizzandoci per le caratteristiche che ci contraddistinguono; cercando di capire quali sono i fondamenti o verità profonde che stanno dietro al nostro comportamento. Senza il bisogno di dimostrare chi è sopra e chi è sotto, chi ha ragione e chi ha torto.
Quello che conta non è tanto prendersi cura degli altri quanto prendersi cura della nostra relazione con gli altri, perché il problema non è in noi ma tra noi.
Silvia di Ponza, nonostante le sue esperienze mistiche e la sua fede cattolica così intensamente vissuta, non ha cercato di dimostrare che la fede cattolica è superiore alla fede buddista. Semplicemente si è messa in ascolto, senza giudizio, e una volta compreso qual era il fondamento della mia fede, ha cercato subito un punto d’incontro con la sua fede, in cui i fondamenti delle due parti potessero essere riconosciuti e accettati, con profondo rispetto.
Di quell’esperienza ricordo insieme la profondità, la leggerezza e la libertà di pensiero e di sentimento che ho provato, e che ora mi portano a concludere – con consapevolezza – quanto sia davvero importante, di valore e costruttivo comportarsi secondo il modello dell’Equivalenza.
Tratto da Scienza e Pace, rivista on-line del CISP, il Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace, dell’Università di Pisa.
vincenzo
2 Novembre 2015 at 10:31
Il Principio dell’Equivalenza si dovrebbe insegnarlo a scuola a partire dalle scuole materne, ma abbiamo bisogno di nuove competenze e di una nuova filosofia della auto-costruzione della personalità.
E’ verissimo, tentiamo ad omologarci come sistema di difesa; la diversità non viene accettata e l’individuo ha paura di essere isolato, denigrato, ucciso.
I nostri ragazzi cercano di nascondersi nel branco, cercano una divisa, un punto di riferimento, un capo che li guidi e a volte il capo diventa l’alcool, o la droga, o il consumismo.
A scuola, come in tutti gli aspetti della vita, quello che conta è il risultato, il voto, il giudizio, la valutazione. Le maestre hanno un programma da svolgere, le famiglie hanno un progetto per i loro figli da sviluppare. E i bambini ingurgitano nozioni su nozioni, apprendono strategie di comportamento e il risultato è misurato con il metro di giudizio imposto dalla società consumistica.
Il prof. Madonna ci sta insegnando a scoprire gli esseri viventi più semplici che hanno strategie per sopravvivere e infatti in natura il meno adatto soccombe: succede anche nella società umana ma con molta più violenza di quella animale soprattutto perché in molti casi c’è consapevolezza di produrre violenza.