di Vincenzo Ambrosino
Ci siamo allenati in semi buio, nel piccolo campetto della Cavatella perchè solo due riflettori ancora resistevano accesi.
Ho visto un film in cui un vecchio samurai cieco faceva cose da pazzi con la sua spada, non aveva bisogno di vedere lui sentiva anche i pensieri dei suoi nemici e li infilzava in tutti i modi da qualsiasi posizione lo attaccassero (Zatôichi, di Takeshi Kitano, 2003 – NdR).
Non è il nostro caso, non siamo pipistrelli, il nostro portiere ha rischiato di prendersi delle pallonate in faccia ed è uscito malconcio dall’ultimo allenamento. Anche un altro ragazzo mentre tentava di fare un movimento stramazzava al suolo, ha dovuto essere accompagnato al poliambulatorio perché non riusciva a stare in piedi. Per fortuna assolutamente niente di grave, sia l’unico portiere a disposizione, sia l’altro ragazzo hanno potuto aggregarsi alla trasferta a Cori.
Domenica mattina alle 9,30 tutti i calciatori ponzesi sono sbarcati a Formia: quelli della polisportiva avevano un grande autobus che li aspettava noi abbiamo affittato due pulmini per raggiungere Cori, abbiamo impiegato circa due ore c’era un po’ di traffico.
Cori è un paesello medievale, abbarbicato sulle colline; vi sono strette stradine, piccole scalinate e tutti i muri sia delle case che delle scalinate sono in pietra; in alcuni tratti di strada asfaltata vi sono dei semafori che alternano il senso di marcia. Sbirciando fuori dal finestrino si poteva guardare lontano e ammirare un panorama di campagna molto diverso di quello a cui eravamo abituati.
Cori è un paesello dalle origini antiche, romane e anche se non abbiamo avuto tempo per approfondire, qui e là passando si notavano cose importanti, come statue, colonne, mura ciclopiche che davano il senso della misura che si andava a giocare a calcio in un posto conosciuto e collegato da tempo immemore alla storia e al mondo.
Siamo finalmente arrivati in una struttura molto ariosa fatta di parcheggio, servizi di ristoro e di accoglienza, dei buoni e puliti spogliatoi ma il campo, all’aperto, in erba sintetica, molto curato, era mignon, più piccolo del nostro a Cavatella.
Non la facciamo lunga, faceva un caldo boia, i nostri ragazzi sono scesi in campo e dopo il riscaldamento e i saluti con l’arbitro e i giocatori hanno conosciuto i nomi del quintetto che scendeva in campo.
Dopo il fischio d’inizio è cominciata la giostra del movimento della palla dei nostri avversari che nel piccolo campo si trovavano a loro agio e riuscivano a imbastire una fitta rete di passaggi che li portava con lentezza ma inesorabilmente al tiro in porta e quindi alla rete. Certo i nostri hanno avuto delle possibilità, certo ci siamo divorati delle occasioni da rete che era più difficile sbagliarle che segnarle, ma a noi ci piacciono le cose complicate, per cui siamo riusciti a segnare solo due reti.
Al termine della partita abbiamo onorato il terzo tempo con i saluti e la frase di rito: “in bocca al lupo per il prosieguo”. Frase che io ho sempre odiato in qualsiasi occasione venisse pronunciata.
Nel ritornare negli spogliatoi i ragazzi erano dispiaciuti, qualcuno continuava a ripetere “che non era possibile essere umiliati in quel modo” forse si erano illusi visto il piccolo campo, che si potesse vincere facilmente la partita. Ma un piccolo campo non dice niente della qualità degli avversari, della loro organizzazione tattica, delle qualità tecniche individuali, della esperienza acquisita in tanti confronti dove si può anche vincere ma spesso si perde.
E’ arrivata intanto una telefonata che anche il Ponza seconda categoria aveva perso!
Le squadre ponzesi perdono ma che devono fare per vincere?
Semplice dovrebbero raggiungere le stesse organizzazioni societarie e finanziarie delle squadre concorrenti, acquistare giocatori di livello, investire su professionisti competenti per far recuperare ai nostri giocatori grandi qualità tecniche, tattiche, agonistiche, esperienziali, pari a quelle dei nostri avversari.
Ma queste condizioni non sono nelle nostre potenzialità e per quanto mi riguarda sono sproporzionate per raggiungere i nostri obiettivi che rimangono sociali e ricreativi.
Nel lungo viaggio di ritorno con il traghetto Laziomar spesso passo il tempo facendo il cruciverba; ed ecco che alcune definizioni mi hanno fatto ulteriormente riflettere sulle continue sconfitte delle nostre squadre. “Confusione generale sette lettere: marasma”. Ora marasma ha vari significati ma è me è piaciuto l’abbinamento di ‘mar’ e ‘asma’ che per i ponzesi può voler dire che “lontani dal loro mare soffrono l’asma e vanno in crisi.
Ma poi c’è un altro termine che mi ha colpito (otto lettere): “l’alterigia dei presuntuosi: superbia”.
Mentre il marasma potrebbe essere una conseguenza momentanea dell’allontanamento dall’isola, la superbia è invece una caratteristica intrinseca della presunzione degli isolani. Per esempio si vede un campo piccolo e si pensa che si possa vincere come quando si imparano quattro operazioni si pensa che si possa diventare matematici.
Io non conosco gli obiettivi che si sono posti i dirigenti della seconda categoria; certo, visto gli acquisti si aspettavano qualche risultato migliore ma sono sicuro degli obiettivi che si è posto il nostro presidente Andrea Zuddas del “Fornamare calcio a 5”, perché li ha dichiarati in una intervista che mi ha rilasciato: “Noi dobbiamo divertirci e fare divertire i nostri ragazzi”.
Certo ci si diverte meglio quando si vince, ma si vince anche sapendo trasformare le sconfitte in vittorie.
Quali erano gli obiettivi da raggiungere nel fare calcio a 5? Creare un gruppo di ragazzi che ricominciasse a tessere un nuovo percorso di amicizia, di collaborazione e di sport. Questo è l’obiettivo principale da raggiungere e noi dirigenti se perdiamo questo obiettivo minimo veramente abbiamo perso la nostra partita.