segnalato dalla Redazione
Da “Ecoturismo report” – http://www.ecoreport.org – riportiamo questo scritto di Alfredo Somoza che con questa sua analisi racconta cosa ne è stato del “turismo globale” e quali effetti ha prodotto sulle comunità che hanno beneficiato della possibilità di lavorare e vivere nei luoghi meta di vacanze.
E’ un’opportunità per farci anche noi qualche domanda su cosa è e cosa potrebbe diventare la nostra isola se si perdesse il controllo del suo territorio e della sua specificità.
Mi si é ristretto il turismo
di Alfredo Somoza
Alla fine degli anni ’80, quando cadevano i vincoli per gli investimenti internazionali e si aprivano al mondo Stati fino a quel momento ermeticamente chiusi, il turismo era uno dei settori più promettenti: beneficiava infatti direttamente di entrambe queste novità. Nacquero allora i beach resort in Africa, Asia e America Latina dove, con la formula tutto compreso, anche chi non era mai uscito dal suo Paese poteva provare il brivido dell’esotico. I voli charter scaricavano ogni mese a Malindi, Sharm el-Sheikh, nello Yucatán milioni di nuovi turisti che davano vita al primo fenomeno di turismo di massa globale.
Il boom del turismo di massa
La geografia del turismo, quella nella quale sono evidenziati i Paesi e le località con attrattive naturali, culturali e un buon livello organizzativo e di sicurezza, si estendeva praticamente a tutti i continenti. Alle mete storiche, in Europa e Stati Uniti, si erano aggiunte centinaia di destinazioni emergenti in Paesi senza tradizione turistica. Era il mondo che si avviava verso la globalizzazione, il mondo senza frontiere e nel quale bisognava conoscere e interpretare le culture degli altri.
Dall’ambiente il campanello di allarme
Tanto entusiasmo non privo di retorica ha avuto però vita breve. I primi segnali dai quali si poteva intuire che qualcosa non stava funzionando sono arrivati dall’ambiente, per esempio dalle barriere coralline del Mar Rosso che scomparivano in fretta. Poi le tracce d’insofferenza delle popolazioni locali, escluse dai benefici del turismo, sono diventate aggressività nei confronti dei viaggiatori. Infine sono arrivati i rischi seri per i turisti, pericolo di vita compreso, nei Paesi sconvolti da lotte per il potere tra Stato, gruppi estremisti, bande criminali. Anche le crociere, ultima frontiera della sicurezza, non godono di buona salute. I frequenti incidenti sulle nave e fuori delle navi che hanno riempito le cronache di questi anni hanno reso chiaro che non esiste oggi una possibilità sicura al 100% per viaggiare in questo mondo sempre più instabile.
Il brusco risveglio
La geografia del turismo oggi si è molto ristretta, tornando quasi ai livelli della Guerra Fredda. L’Africa e il Medio Oriente sono in buona parte off-limits, le metropoli latino-americane e interi Paesi come il Messico sono diventati pericolosi, il Mediterraneo è mare di tragedie e di lutto più che di divertimento.
Il turismo non ha migliorato la vita degli abitanti
Il turismo non è certo responsabile della situazione odierna, se non in modo proporzionale al suo peso economico, ambientale e sociale.
In particolare, laddove il turismo di massa si è appropriato di una località per farla diventare appetibile si sono ripetuti sempre gli stessi fenomeni di danno ambientale, di marginalizzazione della popolazione locale e di diffusione della corruzione, del traffico di droghe e della prostituzione. Il turismo in quello che era il Terzo Mondo ha portato sviluppo solo in rari casi, e tanti Paesi che oggi dipendono pesantemente dei suoi flussi continuano a essere poveri e iniqui.
Un altro turismo è possibile
Il turismo non ha reso migliori i luoghi che ha toccato negli ultimi anni perché renderli migliori non era previsto nel business plan e nella mission delle compagnie multinazionali. Solo le piccole esperienze di turismo responsabile e comunitario hanno testimoniato, qua e là, che un altro turismo, motore di promozione sociale e di tutela ambientale era possibile: ma senza mai contagiare la grande industria. Oggi più che mai l’intero settore è chiamato con urgenza a ripensare il suo modo di essere e di operare. Il territorio e la gente che lo abita non sono solo un contorno garantito e scontato a far da cornice all’offerta. Non è possibile costruire isole di abbondanza e di spreco in mezzo alla miseria senza pensare che, prima o poi, se ne pagheranno le conseguenze.
Bisogna cambiare l’approccio
Occorre prendere coscienza del fatto che il turismo attuale è lo specchio delle aspettative di un modello di sviluppo e dei consumi ormai fuori dal tempo. È imprescindibile tornare all’essenziale, alla dimensione della conoscenza di luoghi e di scambio con le persone, ritrovando lo spirito con il quale il turismo nacque, per provare ad allargare la ristretta geografia turistica odierna. Una ristrettezza che testimonia il fallimento di molte aspettative sulla globalizzazione e, molto più in piccolo, delle illusioni del turismo globale di massa.
Appendice del 17 ottobre 2015
a cura di Sandro Russo
Leggi l’articolo da Repubblica del 29 settembre in file .pdf: Cinque Terre. Troppi crocieristi è un’invasione
Sandro Russo
17 Ottobre 2015 at 06:19
Avevo messo da parte questo articolo da “Repubblica” qualche settimana fa, alla fine dell’estate, perché mi avevano colpito le analogie con la situazione – futura, possibile – con la nostra isola; dove anche si favoleggia di una aumento del 30 per cento delle presenze come un obbiettivo agognato.
Nelle situazioni e nei luoghi descritti – lontani da noi ma neanche poi tanto – i sindaci di alcuni paesini hanno dovuto intervenire contro il parere di molti commercianti che trovavano del tutto normale (anzi desiderabile) l”invasione e lo snaturamento di posti che dovrebbero anche consentire la vivibilità della gente che ci abita e il mantenimento della loro anima.
Leggi il file .pdf allegato all’articolo base