di Patricia Sandra Feola
San Silverio, protettore dei pescatori Ponzesi.
Dal medioevo Ponza è stato un fiorente centro religioso.
Nel 537 è morto nella vicina Palmarola il papa Silverio: dopo è stato preso come patrono protettore dei pescatori.
La maggioranza degli arrivati a Ingeniero White appartenevano alla stessa isola, e quindi collegati al mare.
Hanno portato il loro santo protettore: San Silverio. Portare con loro parte delle credenze e della religione, era anche una maniera di essere più vicino alla loro terra e al loro mare.
Ogni 20 giugno, si fa a Ponza una festa per ringraziare al patrono la protezione ottenuta in ogni scesa al mare e ogni ritorno felice a casa.
A Ingeniero White si fa dal 1928, che è venuta la prima immagine.
Come sono i festeggiamenti?
Incominciano molto presto al matino. Si fanno messe dove concorrono i fedeli a fare delle novene.
Le decine e decine di barche si fermano arredate con lo standardo, davanti al molo, dove si ascoltano le canzoni più tradizionali.
Nella sera incomincia la processione.
La barca che contiene il Santo è portata da una dozzina di uomini, e sono sempre gli stessi come se fosse un diritto. Intorno a loro mani alzate che vogliono toccare l‘immagine.
C‘è chi ringrazia. Quando il Santo arriva in chiesa si spargono dei garofani.
Ognuno ritorna a casa per il pranzo con un garofane rosso in mano.
Ogni ora si fa una bomba fragorosa, e dopo passeggiare il Santo da per tutta l‘isola e un percorso in mare si finisce con bengale e dei fuocchi di artifici che esplodono e illuminano il cielo della notte già entrata.
L‘ultima esclamazione del rito è: “San Silverio, ci vediamo il prossimo anno”.
A Ponza continua a essere molto più spettacolare che a Ingeniero White, forse perchè non restano quasi vecchi pescatori e la tradizione si sta perdendo ogni anno.
Oggi la festa, per ragione che nell‘inverno Argentino è più crudo, si è deciso cambiare data a novembre.
Si fa a Canada o a New York, dove sono anche tantissimi gli immigranti ponzesi.
PARTE II
Agata resta sola a Ponza
Agata Assunta Piro si è sposata ai 24 anni in prime nozze con Aniellantonio, di 36 anni, il 21 ottobre di 1923.
Casalinga, con un‘educazione povera, sapeva leggere e scrivere poco.
Nel 1927, quando Aniellantonio è partito verso Argentina, Agata attraversò da sola una situazione di disperante solitudine.
La vita per lei era diventata più dura ancora, dato che doveva incaricarsi della difficile situazione dei ragazzi, ancora piccoli. Pasquale di 3 anni e Rita di 3 mesi di vita. Genitori e suoceri erano morti di età molto avanzata.
Nell‘isola anche c`erano altre famiglie nella stessa situazione. L‘intera isola si era trasformata in un paese in agonia, le donne restavano come vedove in attesa di un segno di vita dei mariti.
Questa situazione si ripetteva in tante case, però di maniera definitiva, quando le donne restavano senza marito a causa della guerra, e dovevano curare e proteggere i figli senza la figura paterna.
Con la mancanza di uomini (feriti, scomparsi, morti, ed altri che avevano preso la decisione d‘emigrare) non c`erano sufficenti le nozze, quindi la natalità era diminuita.
Secondo il censimento ISTAT si può osservare la quantità di abitanti che c‘erano nell‘Isola tra 1861 e il 2001.
Agata viveva con i figli nella parte bassa dell‘isola, di fronte al mare. Quando la marea era alta quasi bagnava la loro porta. Quello gli sembrava bello e divertente, abitare di fronte alla spiaggia e godere della natura.
Nella parte più alta della montagna rocciosa c‘era la cognata, Civita, anche con dei figli: Giuseppe, María, Gemma e Lucia, il maggiore 7 anni e la più piccola appena mesi.
Le case erano di mattone, ben costruite. Basse ma ariose, con le facciate dipinte in colori diversi: ma un insieme armonico con prevalenza di bianco, rosa, celeste e giallo. Loro a casa si illuminavano con qualche fanale al petrolio.
Continuava ad esserci a casa numerosi immagini di santi ai quali nelle lunghe ore di attesa del ritorno delle barche, le donne rivolgevano le loro fervide preghiere. Ardeva davanti alle sacre immagini un lumino ad olio.
C‘erano strade strette e un molo rudimentale di pietre, e sulla banchina continuava ad avere, come se i mariti fossero ancora a Ponza, in lunghe file le reti asciugandosi, altre reti in attesa per essere riparate. C‘era, anche, qualche nassa dimenticata.
La situazione economica della famiglia era buona, e avevano la possibilità di caricare gli armadi de merce. Era abitudine avere delle provviste per passare l‘epoca di inverno.
Nel frattempo che Aniello e il fratello erano in Argentina non hanno ricevuto più che lettere, piene di notizie raccontando delle esperienze ma vuote di denaro. In quel momento inviare quello che già stava guadagnando era molto difficile.
Si poteva inviare del denaro:
• attraverso vaglie internazionali o vaglie consolari
• tramite banchieri privati
• o dalla Banca d‘Italia, di Napoli o di Sicilia
Non era semplice. Le tramitazioni erano abbastanza complicate per quelli che conoscevano male la propria lingua, e poco o niente la lingua locale.
Gli uffici postali, dove si facevano le vaglie erano lontani dalle città. Prima si doveva inviare a Buenos Aires, per comunicarlo a Genova. Un tramite lungo e lento.
Era preferibile farlo con un banchiere privatista ma non garantiva nessuna sicurezza la trasferenza.
In caso di perdita dei valori si dovevano fare tramitazioni per niente facili, dal fatto della lingua che continuava a essere difficile d‘impare e tante volte dall‘ignoranza e dalle abitudini del mondo in cui erano abituati a vivire, già che la maggioranza erano contadini o pescatori, gente di scarsa educazione.
Esisteva una legge argentina che proibiva l‘uscita di divise nelle lettere.
Ma c‘erano delle persone che hanno potuto inviare denaro alla famiglia. Come hanno fatto?
Si mettevano in un cartone tanti bucchi come monete d‘oro si volessero inviare (potevano essere 6-8 monete). Si mettevano di modo tale che non potessero uscire.
Al di fuori della busta si faceva un cartellino che diceva: “fotografia”. Quella era la spiegazione dell‘esistenza del cartone come se fosse l‘invio di una fotografia.
Dopo molto tempo, le case bancarie italiane hanno creato un modo di distribuzione e pagamento delle vaglie, consisteva in inviare al destinatario una lettera raccomandata con il
valore dichiarato, provvista di un “avviso di ritorno” (come quello conosciuto oggi con ricevuta di ritorno). Cosí alla distanza avevano la sicurezza che la famiglia aveva ricevuto il totale di quello inviato.
Le cognate si aiutavano per poter dare di mangiare “alla prole”, lavorando in campagna nella terra di una zia, e parte di quello che producevano era ricevuto come pagamento. I ragazzi restavano con una cugina.
Faggioli, lenticchie, patate, pomodoro. C‘erano piante di prugna e fico che dopo si mangiava come frutta, dolce o gelatina. Si allevava maiale, galline, colombe, polli e pulcini, tutto questo dopo si mangiava.
Gli immigranti da Ponza a Ingeniero White (4) – Continua]
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