di Luisa Guarino
Tanti anni fa sul marciapiede di Sant’Antonio sono stati piantati, sul lato mare e a ridosso del muretto, degli alberi di tamerici, una specie perfetta per quell’habitat, come ricorda Gabriele D’Annunzio nella sua celebre composizione “La pioggia nel pineto”: quella che comincia con “Taci.” e prosegue con “Piove su le tamerici salmastre ed arse…”.
Salmastre appunto: non potrebbe essere diversamente, a due passi dal mare. E a questo proposito ricordo che quand’ero bambina, ma neanche troppo, ogni tanto staccavo un rametto dall’albero e lo mettevo in bocca per assaporarne il gusto salato.
Le auto quasi non c’erano e l’inquinamento neanche: non era quindi un’operazione pericolosa, e io la ricordo molto gradevole. Qualcun altro dei lettori lo ha mai fatto?
Poi gli anni sono passati: smog, polvere e non solo hanno messo a dura prova quelle piante. Gli alberi del lato di Sant’Antonio che definirò A (dove prima partivano i bus per intenderci) hanno avuto davvero la vita dura: alcuni sono cresciuti storti, altri sono risultati ingombranti, altri ancora si sono ammalati: ricordo perfettamente che qualche volta che ci sedevamo lì sotto a cantare dovevamo scappare per via di una ‘pioggia’ di vermetti verdi davvero sgradevoli. Così, proprio negli ultimi tempi quelle tamerici sono state sostituite da tutt’altra specie di alberi, dei lecci.
Ma a giudicare dalle foto, scattate a fine agosto, alla maggior parte di essi questa caldissima estate non ha fatto per niente bene. Godono ottima salute invece, speriamo ancora per moltissimi anni, le tamerici del lato B di Sant’Antonio, belle, fronzute e rigogliose: non a caso le ho classificate con questa lettera dell’alfabeto, che secondo una moda di questi ultimi anni definisce la parte posteriore del corpo, che a sua volta s’identifica con la fortuna.
Infatti quelle tamerici hanno avuto finora la fortuna più grande: quella di essere ancora al loro posto, a fare ombra e a offrire un bel colpo d’occhio.
E molto fortunato è chi come me può ancora accarezzare, non solo con lo sguardo, quelle tamerici che hanno fatto da cornice alla mia infanzia.