Ambiente e Natura

La cava dimenticata

di Domenico Musco

 

Un’altra ricostruzione della Ponza che conosciamo noi, ai suoi albori. Un’isola ‘autarchica’ che prendeva i materiali necessari al suo sviluppo dall’isola stessa, dove si trovavano, senza tante preoccupazioni di tutela paesaggistica (ancora al di là da venire).
Sandro Vitiello ci ha raccontato della costruzione della Banchina Nuova con le rocce prese a Frontone (leggi qui).
Domenico appone ora un altro tassello: per chi si è mai chiesto da dove sono venuti i massi con cui è stata costruita la prima scogliera, quella del Porto, all’interno della quale si è formata la gloriosa Caletta, ignominiosamente rovinata…

 

Se si cammina per la vecchia via della Rimembranza (l’attuale via Panoramica) all’altezza dei Guarini e di là si guarda verso il monte Guardia, si vede, a mezza costa, una macchia di roccia in mezzo alla vegetazione e sotto di essa come l’alveo di un lungo canale che taglia in due la barriera verde della parete.

Le pendici del Monte Guardia. Zona Vecchia Masseria

Le pendici del Monte Guardia. Zona Vecchia Masseria

Lassù c’era una cava di pietra dove si faceva brillare con la dinamite la roccia e i massi che ne risultavano venivano spinti, facendoli rotolare lungo la discesa, fino alla strada attuale, a circa 50-100 m (verso S. Antonio) dall’imbocco del tunnel di Chiaia di Luna.

Dal sito verso la Panoramica

Sulla via dei massi che rotolavano dall'alto
Questi massi poi venivano caricati su un trenino e trasportati su dei binari creati alla bisogna, fino dietro al molo, dove sarebbero serviti – negli anni ’50, circa – a formare la scogliera per proteggere il porto borbonico intercettando tra i vecchio molo e la scogliera stessa lo spazio protetto denominato ‘la Caletta’.

Sicuramente i due scogli ‘simbolo’ dell’ infanzia della mia generazione: ’u scoglie d’a criatura e ’u scoglie d’u giovene provenivano dalla cava di pietra ’i copp’ ’a Massarìa.

Sempre ho cercato la strada per poterci arrivare, ma mi sono sempre perso nella boscaglia senza mai arrivare a destinazione .
La soluzione era là a portata di mano, bastava pensarci. Infatti parlandone con Giovanni (’i Giulio Matrone) mi è venuta l’idea di farmi accompagnare da lui fino alla cava; Giovanni, senza farsi pregare, subito si è detto disponibile e il giorno dopo eravamo pronti a partire .

Chi conosce Giovanni sa che è un contadino nato, amante della natura e conoscitore di tutti gli angoli segreti dei sentieri del Monte Guardia da buon cacciatore quale è sempre stato.
Ovviamente il gruppo si è subito allargato ad altre persone, e con molto entusiasmo siamo partiti per la scalata, alla ricerca della vecchia cava dimenticata.

I 'giovani' esploratori
'Giovani esploratori'.2
I ‘giovani espiratori’ sul sito della cava

Siamo saliti per l’albergo Chiaia di Luna e poi ci siamo inoltrati su sentierini a mala pena visibili tra rovi e arbusti fino a introdurci nel bosco della masseria fatto di lecci e anche di castagni. Sembrava di stare a Zannone: stesso bosco, stesso odore e stesse sensazioni.

Raggiunta la cava, abbiamo trovato che la vegetazione e soprattutto i rovi avevano preso il sopravvento ed era impossibile entrare, ma guardando in basso il panorama che si apriva sui due versanti dell’isola era impagabile e cancellava d’un colpo solo tutti i graffi e la fatica fatta.

Dal sito della cava. Vista sui due versanti

Dal sito della cava. Vista sui due versanti

La vista sul Porto
La vista sul Porto.2

Dal sito della cava verso Chiaia di Luna

Vista dal sito della cava verso il Porto (due foto) e verso Chiaia di Luna

Da sopra si vedeva benissimo il solco sul terreno dove i macigni rotolavano fino a un pianoro molto più in basso; poi li deviavano in un’altra direzione e arrivavano giù ai vagoni del trenino.

Nelle vicinanze del canale si vedono ancora tanti macigni abbandonati; sono quelli che nel rotolamento uscivano dal percorso stabilito e la fatica per metterli nel tracciato era superiore a quella di far rotolare un nuovo macigno e quindi venivano lasciati lì, come tante sentinelle lungo la discesa.

Il canalone residuo

Le rocce della vecchia cava

Le grosse pietre della cava

Le grosse pietre della cava

Altri massi della cava

Altri massi della cava

Vegetazione nei dintorni della cava Spartium junceum e Genista thyrrhena
Vegetazione nei dintorni della cava Spartium junceum (ancora fiorito) e Genista tyrrhena (‘u ‘uastaccètt’, dalle branche e dai rami più delicati e sottili, che fiorisce a febbraio-marzo) ora sfiorita

Giovanni nel prendere la via di ritorno ha pensato di cambiare strada perché ricordava che c’era un collegamento con la via del Fieno dal lato di Chiaia di Luna .

Armati di forbice da pota ci siamo avviati alla ricerca di quest’altro sentiero abbandonato.
Arrivati alla giunzione con la stradina che porta al Fieno siamo scesi lungo il costone a vista di Palmarola sulla nostra sinistra mentre scendevamo, con il sole che si avviava al tramonto.

Vista su Palmarola. Scorcio di Capo Bianco
Vista su Palmarola. Scorcio di Capo Bianco

La roccia a strapiombo verso la baia di Chiaia di Luna. Punta Fieno
La parete sul versante di Chiaia di Luna; è visibile una piccola propaggine di Punta Fieno

La vegetazione e il mare sotto. Versante di Chiaia
La vegetazione e il mare sotto. Versante di Chiaia

Io continuavo a tagliare tutti i rovi e rami che ostruivano il sentiero ma Giovanni mi ha detto di non tagliare una serie di rami e appigli; vista la mia perplessità mi ha risposto che c’era ancora Luigi (’u nir’) – l’unico rimasto della vecchia guardia dei contadini che andavano tutti i giorni al Fieno – che tuttora, anche a 80 anni abbondanti, continua ad andare e quei rami di traverso al sentiero gli servono come passamano per aggrapparsi e non cadere!
…Attenzione umana e cura del territorio, comune nell’esperienza di Ponza delle generazioni passate e ormai perduta!

Scendendo dal versante che contorna la baia di Chiaia di Luna ho notato tante grotte a strapiombo sul mare. Giovanni vista la mia curiosità ha detto che erano ’i rott’ ’i prèt: cioè grotte scavate per trarne pietre da costruzione.

Storie di Ponza di altri tempi…

1 Comment

1 Comments

  1. Martina Carannante

    11 Luglio 2015 at 09:54

    Come malinconicamente conclude Domenico: “Storie di altri tempi”… Io non sapevo di questa storia, tanto meno della spedizione, altrimenti mi sarei aggregata, ma ringrazio Domenico che come sempre ci racconta momenti di una Ponza dimenticata. Sarebbe bello poter usufruire nuovamente di quei sentieri così come poter conoscere il nostro territorio: sarebbe più che necessario.
    Quelle stradine sperdute saranno state praticate da persone dedite al loro lavoro e alle loro terre, altrimenti non avremmo trovato tutto così ben conservato. Noi possiamo dire lo stesso a riguardo? Lasciando crescere arbusti e piante, abbandonando tutto in balia della vegetazione, la strada non la si troverà più e noi ragazzi non credo che potremo contare per sempre su un Domenico o su un Giovanni…
    In ogni caso: ancora Grazie!

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