Il tema del Mediterraneo è tra quelli più presenti sul nostro sito; se si digita – Mediterraneo – nella funzione CERCA NEL SITO, si ottengono circa 320 articoli..!
Un tale interesse per la centralità di Ponza nell’ambito del Mediterraneo, per gli scambi intercorsi nel passato tra la piccola isola e le terre che si affacciano sullo stesso mare da cui si sono ricevuti e restituiti influenze e arricchimenti, scambi e reciproche aperture.
Recentemente, alla ricerca di un punto fermo – di focalizzazione e di raccolta di tutto il materiale inerente – si è scritto del MuCEM di Marsiglia, ovvero Le Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée (leggi qui).
Chi ha letto quegli articoli ricorderà che si era molto apprezzato lo sforzo dei curatori del MuCEM di operare una super-sintesi, tra i vari elementi di un’idea “comune” di Mediterraneo. In questi termini:
“Quattro tappe fondamentali della civilizzazione sono state identificate come precipue delle società mediterranee, dall’epoca del neolitico ai giorni nostri.
Esse sono:
1. cambiamento dal nomadismo alla stanzialità: colture del grano, della vite e dell’olivo;
2. lo sviluppo delle tre grandi religioni monoteiste (Giudaismo, Cristianesino, Islamismo);
3. la nascita, in Grecia e poi a Roma delle prime forme associative implicanti il concetto di ‘cittadinanza’;
4. lo sviluppo (in epoche diverse) del concetto di ‘esplorazione’, con la messa a punto delle prime ‘rotte’ del commercio mondiale”.
In questi tempi travagliati siamo obbligati dalla forza degli eventi a ripensare a delle idee che avevamo accettato e consideravamo dei fari sicuri, nel nostro procedere (leggi qui).
Vengono – nostro malgrado – momenti in cui, per onestà di pensiero innanzitutto nei confronti di noi stessi e quindi degli altri, siamo obbligati a rivedere nostre convinzioni cui pure avevamo aderito con entusiasmo; ci faceva piacere pensarle reali e crederle ‘politicamente corrette’. Alla fin fine realizzare che il nostro era un approccio poetico, ottativo.
Dobbiamo quindi prendere atto che gli assunti di base non sono più veri.
Infatti se riprendiamo i vari punti sopra elencati:
- il primo ha un solo valore storico;
- il secondo, lungi dall’essere un elemento unitivo, a causa dello sviluppo di “fondamentalismi” di varia natura all’interno delle singole religioni si è fatto elemento di incomunicabilità e di conflitto – è stato così anche in passato: basta pensare alle Crociate;
- Il terzo punto per le vie lunghe della Storia e sviluppando elementi insiti nell’idea stessa del vivere associati ha portato ‘per aspera’ a quella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, promulgata il 10 dicembre del 1948 dalle Nazioni Unite, “il distillato della nostra secolare e controversa esperienza, maturato nell’ancora fresca traccia e nella lucidità tremenda e tragica della seconda guerra mondiale” .
- Infine, ancora un dato ‘storiografico’, già accettato come tale nello sviluppo del tragitto museale del MuCEM: “lo stesso successo di quel progetto di esplorazione ha trasformato quel mare, da quando era il centro del mondo, in un mare interno, di non primaria importanza”
Sommaria mappa geo-politica e religiosa dei Paesi del Mediterraneo; in rosso ‘musulmani’; in giallo ‘cristiani cattolici’; in verde ‘cristiani ortodossi’; in giallo chiaro ‘ebraici’
Soprattutto che la “radice comune”, come sopra espressa (nella proposizione dei curatori del MuCEM) è in larga parte “storica”, non aiuta per il presente e non permette proiezioni future.
Sì, le nostre origini mediterranee hanno dei punti comuni che hanno unito i popoli affacciati sullo stesso mare – anche se attraverso inenarrabili sofferenze e bagni di sangue – ma poi, al momento di fare un bilancio e costruirci sopra un futuro, siamo tornati indietro; al cimento della Storia, i fatti hanno preso un’altra direzione.
Solo per fare un altro esempio.. Bella l’idea del ‘sabir’, la ‘lingua franca’ ovvero il linguaggio universale dei porti del Mediterraneo (leggi qui), ma – come l’Esperanto che è restato una bella idea – anche il sabir è stato sopraffatto dal tempo e se una lingua comune si parla adesso nei porti di tutto il mondo è un ‘inglesaccio’ imbastardito e storpiato.
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Alla ricerca di una sponda per approfondire la natura di questa sensazione deprimente, ho letto, sentito pareri, frequentato… tra l’altro questo piccolo Convegno organizzato da una sezione del PD a Roma, da cui ho avuto solo conferme – e delle peggiori – al mio “pessimismo della ragione”.
Non faccio una cronaca di quanto si è detto, ma una super-sintesi dei punti che hanno completamente demolito la mia – la nostra – idea del Mediterraneo come legame comune tra un coacervo di genti diverse.
Possiamo partire da una frase di Moro – ahi, quanto datata e fuorviante! – : “Nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa e essere nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo” (Aldo Moro, Discorso al Senato, 6 dicembre 1973).
Nella realtà, con buona pace dello statista italiano e dei faraonici progetti museali di Marsiglia, l’Europa, tra le due opzioni – continentale e mediterranea – ha scelto la prima; forse complice il baricentro geopolitico ed economico dell’Unione, spostato sulla Germania. Hanno contribuito la crisi economica mondiale, l’obbiettivo di contrarre nei limiti del 3% il parametro deficit/Pil nei paesi della UE… ma di fatto l’Europa si è chiusa in sé stessa, come una ‘grande Svizzera’, a difendere i suoi interessi ristretti e il suo benessere, mentre il mondo intorno e gli equilibri del Mediterraneo cambiavano.
Ma ora, come ha detto la stessa Angela Merkel al Papa durante la sua recente visita, il benessere è a rischio e la pace non è sicura, né data per sempre.
In effetti è almeno dal 2007 che l’Europa è in confusione; stretta e chiusa nella sua crisi – economica ma anche ideale – e chiusa al Mediterraneo, incapace di cogliere il senso dei cambiamenti in corso nei paesi del bacino del suo mare interno.
Si porta ad esempio l’insufficiente comprensione di quel fenomeno occorso tra la fine del 2010 e il 2011 – “la Primavera Araba” come fu presentata dai giornali (in arabo al-Rabiae al-ʻArabiyy; letteralmente ribellioni arabe) che coinvolsero in primo luogo Tunisia, Egitto, Libia e Yemen e poi altre nazioni – quando, alla timida apertura dell’Europa ha corrisposto una massiva esposizione economica dei paesi arabi.
Il risultato è stata la dissoluzione degli stati autocratici e un profondo cambiamento degli equilibri imposti dall’assetto coloniale del secolo scorso. Nel vuoto di potere seguito a quegli avvenimenti si è inserito e ampliato il progetto del “Califfato”, dall’aggregazione di gruppi originariamente costituiti per abbattere il regime siriano di Assad e poi trasformati in una forza e una minaccia ben più globali di cui oggi dobbiamo prendere atto.
Ma non è stato il solo limite dell’Europa
Essa si è rivelata incapace di comprendere e di fronteggiare i flussi migratori – sono sempre esistiti, ma di recente con una rilevanza numerica e un significato diversi: è gente che sfugge alle guerre e alla fame. I rifugiati: un problema di dimensioni immani, in tutti gli stati coinvolti da guerre e violenza, cioè parte dell’Africa e del medio Oriente.
Anche qui l’Europa ha dato – e sta tuttora fornendo – risposte flebili, nella direzione del disimpegno; come nella Missione Triton che ha sostituito l’operazione Mare Nostrum (ne hanno scritto sul sito Enzo Di Giovanni e Rosanna Conte: leggi qui e qui).
Il nuovo ruolo della Libia, crocevia del traffico di droga, di armi e di fuggiaschi – ma si può anche dire della nuova tratta degli schiavi, facili da manipolare come mezzo di pressione sulle decisioni Europee (in tal senso sono stati usati come un’arma anche da Gheddafi).
L’altro fenomeno estremamente allarmante è la chiamata alle armi che sta interessando migliaia di giovani, dai paesi del bacino mediterraneo, ma anche europei, arrivati ad ingrossare come Foreign fighters, le fila del Califfato (delle stime riferiscono di migliaia di arruolati provenienti dalla Tunisia; incidenza di rilievo per un Paese che dopo la caduta di un regime dittatoriale (2011) sembra essersi data una veste democratica, portata ad esempio tra i paesi musulmani; per la Libia si parla di 6-8000 persone!
Si tratta in tutti i Paesi di giovani di ogni cultura e classe sociale attirati da un ideale eroico della vita, pronti a uccidere in una guerra di “affermazione d’identità”.
Si è fatto in proposito l’esempio della guerra civile spagnola che nel 1936-38 attrasse giovani da ogni parte d’Europa a prendere le armi contro il fascismo di Franco (ma anche in suo favore).
Psicologia di massa e manipolazione, potenza del messaggio mediatico – tante chiavi si sono cercate – ma si deve prendere atto che il messaggio di violenza e di morte tra i giovani (musulmani e non) che aderiscono all’ideologia del Califfato, è più attraente di qualunque altro.
E’ duro ammetterlo, ma sembra che la nostra buona, vecchia aspirazione ad una convivenza pacifica tra i popoli, sia considerata “non eroica”; che la via della pace non abbia più appeal, più capacità di attrarre i nostri giovani
Certo che l’idea di Mediterraneo Madre comune non ha mai avuto un tale potere di seduzione e certo non è nei pensieri dei giovani. Ma neanche dei burocrati europei. Forse è relegata in polverosi – o anche rutilanti – Musei.
Di fatto l’idea Europea per il Mediterraneo è stata messa da parte ben prima dei fatti recenti e la deriva sembra al momento inarrestabile.
Attendiamo – speriamo – che fatti nuovi ci smentiscano.
Appendice.
Nel maggio 2014 il velista-scrittore Simone Perotti è partito per una navigazione – prevista di 5 anni – a vela per tutto il Mediterraneo, il Mar Nero e il Mar Rosso Settentrionale (leggi qui e qui per i link successivi).
Ecco, se fosse possibile per questo Sito di funzionare come punto di incontro di opinioni ed esperienze, gradiremmo – oltre al parere dei Lettori su questi temi, anche la voce di un appassionato ed entusiasta come lui per un parere dal di dentro, dal vasto mare che continuiamo ad amare e ancora e sempre ci attrae.