di Rita Bosso
La Soprintendenza ai Beni Archeologici ha fatto sostituire i cartelli informativi; quelli che c’erano, vecchi e scoloriti dal sole, ormai non si leggevano più. Alla prima lettura del cartellone in bacheca, fresco di stampa, penso ma questi che cacchio vogliono dire, e ricomincio con calma dal primo rigo. Forse vogliono sfottere; la Soprintendenza ai Beni Archeologici tiene voglia di sfottere, non è possibile? Rileggo, calma e gesso.
Itinerario archeologico numero tre
A sinistra si scorge un fabbricato a due piani dietro al quale si sviluppa il Cisternone, uno dei trenta serbatoi idrici dell’isola, sicuramente il più ampio, con una cubatura di circa un milione di litri. Scavato nel periodo romano nella roccia tufacea, era utilizzato per le necessità del vicino approdo e delle numerose ville edificate sulle colline adiacenti.
Non visitabile
A destra sta la famosa stradina col cancello piazzato dalla sera alla mattina, quello di cui mi ha parlato Amedeo, messo da Augusto Imperatore e prontamente benedetto dalla cagna, com’è giusto che sia in un’inaugurazione. Dice ma magari Amedeo se l’era sognato, si sa che è un tipo pazziariello, l’avrà inventata là per là per vedere se la bevevi, sai quante risate si sarebbe fatto se, alzandoti da tavola, tu avessi preso proprio la strada che porta qua? E invece non pazziava, Amedeo; qua, non solo c’è il cancello ma, fresco fresco sistemato in bacheca, gli fa compagnia il cartellone della Soprintendenza, con tanto di descrizione e di pianta.
Il fatto è che a sinistra effettivamente si scorge un fabbricato a due piani, che è il caseggiato di via Umberto in cui fino a sabato ha abitato, tra gli altri, la signora Maino.
“Sotto al quale si sviluppa il Cisternone” significa che Minniti ha avuto ragione: la grotta ci sta ma l’hanno scavata i romani in illo tempore; ci sta ed è pure grossicella, mille metri cubi.
Ci sta ma è chiusa al pubblico; fa parte di un itinerario ma non si può visitare, la soprintendenza predispone un itinerario, in pompa magna appizza i cartelloni lungo la strada, fa una descrizione del luogo però ti dice che non puoi entrare. E allora che cacchio di itinerario è, scusate tanto? La soprintendenza vuole sfottere o, come dice Minniti, farcele girare vorticosamente? Embè soprintendente carissimo, hai sbagliato giornata e hai sbagliato persona.
Tommaso Cardone tiene voglia di camminare, vabbuono?
Voi avete scritto ‘Itinerario’, e al maresciallo Cardone è venuto genio di seguirlo, l’itinerario. E poi oggi è mercoledì, Tommaso Cardone sta senza fare un cacchio fino alle dieci di sera perché dalle due alle quattro in terraferma si tiene una fottuta riunione di lavoro in cui due papere fanno le spiritose, Bianca si appalla e, di conseguenza, la sera va a lezione di tango. Tommaso Cardone tiene tempo da perdere e voglia di camminare.
Voi dite che il Cisternone è non visitabile, soprintendenti illustrissimi? E mo’ vediamo, se è visitabile o no.
L’edificio è incassato nella roccia; la facciata opposta alla strada è completamente cieca e, da quello che ho capito, appoggia alla cisterna; i muri laterali sono costeggiati da due sentieri in salita, scavati nel tufo. Salgo per almeno cinquanta metri, fino a uno slargo su cui affacciano case che, a prima vista, sembrano disabitate. Questa parte del paese è fatta a gradoni; il Cisternone dovrebbe stare sotto al primo gradone, io sto sul secondo; quasi rasoterra, delle aperture protette da grate arrugginite ma solide. Non visitabile, ci sta poco da fare.
Il sentiero è deserto; oltre le grate il buio è assoluto; metto il telefonino in modalità fotocamera con flash, infilo il braccio e faccio cinque o sei scatti, alla cieca; passo alla seconda grata, mi siedo sui talloni, inserisco il braccio, scatto. – Marescia’ buongiorno – Zompo. Pure il telefonino zompa. Cazzarola, il telefonino!
Dal tonfo deduco che il Cisternone è asciutto.
– Marescia’, non è che scoppia la guerra? – la vecchia è alle mie spalle, sospettosa. Per conto mio la guerra è già scoppiata: senza telefonino, senza rubrica: se stessi al fronte starei meno isolato.
– Voi non mi potete rispondere, ma io mica sono scema. Se state facendo un sopralluogo, se state fotografando il rifugio, vuol dire che ci sta un allarme; vuol dire che stanotte stessa può squillare la contraerea e dobbiamo correre immediatamente nel rifugio – dice la vecchia.
– E voi che strada prendete, per mettervi al sicuro dalle bombe?
– La stessa che prendevo allora, marescia’; solo che all’epoca tenevo diciassette anni e la facevo volando. La gente che saliva dal porto entrava nel rifugio dall’ingresso principale, che ora è impraticabile perché ci hanno costruito davanti; noi che scendevamo dalla collina percorrevamo il cunicolo.
– Chi può entrare nel rifugio, al giorno d’oggi?
– Nessuno, maresciallo. Davanti all’ingresso principale hanno costruito una casa e l’ingresso secondario, quello dal quale siamo arrivati, si trova nel cortile di casa mia. Nessuno può entrare, ve lo assicuro.
– Dovremmo ispezionarlo, questo cunicolo; controllare che è ancora percorribile. Sapete, da un momento all’altro, magari stanotte stessa… – accordo. Attacca il ciuccio dove dice il padrone, Cardone: ti conviene.
Saliamo lungo il sentiero; la vecchia mi fa aspettare nel cortile, entra in casa a prendere una torcia, poi apre una porticina di legno. Ci inoltriamo in una galleria stretta, in discesa. Il Cisternone, secondo le parole della vecchia, durante la guerra è stato utilizzato come rifugio antiaereo e aveva più di un ingresso.
L’ultimo tratto ha una discreta pendenza; blocco la vecchia, prendo la torcia e proseguo camminando rasente al muro; l’ultimo gradone è alto almeno quaranta centimetri. Zompo su una specie di pianerottolo trasversale al cunicolo. Sotto di me, enorme, il Cisternone; il pavimento, a occhio e croce, sta cinque o sei metri più in basso del pianerottolo su cui mi trovo. E’ grandioso. Distinguo i pilastri che sostengono la volta; punto la torcia sulla parete di fondo, in basso; esternamente alla cisterna, alla roccia sono appoggiate la casa di Luciana, quella della Maino e altre tre. Invece alla parete interna del Cisternone sono appoggiati dei vani in muratura, sicuramente non costruiti dagli antichi romani. Scendo ancora, fino al piano di calpestio; distinguo, appoggiati alle pareti, un frigorifero, tre barche, una mulazza, diverse bombole di gas, una lettiera per gatti davanti alla porta di casa Maino: il Cisternone romano è diventato ricovero per barche, deposito di bombole, immondezzaio ma, soprattutto, è strada di comunicazione tra le case di via Umberto. Cerco di fissare bene in mente pilastri, volta, casarielli, munnezza; mannaggia la miseria, è sempre così con i telefonini, quando ti servono sul serio allora o la batteria è scarica, o non c’è campo, oppure riposano in pace a metri e metri di distanza, irraggiungibili. Quando esco rassicuro la vecchia: non è detto che stanotte scoppierà la guerra. Però stanotte l’utente Tommaso Cardone non è momentaneamente raggiungibile. E non è che gli fa schifo, a Tommaso Cardone, di essere ‘nu poco irraggiungibile.
* * *
Io racconto e Minniti disegna, propone, prende appunti, sottolinea, cancella.
– La tipica cisterna romana è una galleria, larghezza quattro metri circa.
– Non ci siamo Minniti, là siamo tra i dieci e i quindici metri.
– Allora vuol dire che i romani hanno appaiato tre o quattro gallerie; l’intonaco è in cocciopesto, impermeabile.
– Non saprei, non ci ho fatto caso, poi neanche so che è, il cocciopesto.
– Dovrebbero esserci parecchie aperture: una per l’ingresso dell’acqua, alcune per l’areazione, una per l’ispezione e la manutenzione, una con funzione di troppo pieno, infine le aperture da cui partono i tubi.
– Abbi pazienza Minniti, stavo al buio, col cervello che zompava da un pensiero all’altro, senza telefonino, senza un pezzo di carta su cui poter annotare qualcosa, con la preoccupazione della vecchia che mi aspettava all’inizio del cunicolo…
– Le cisterne sono spesso collegate ad altre, in modo che il troppo pieno delle cisterne superiori versa in quelle più basse in quota.
– Scusate l’intromissione, ma mo’ non stanno asciutte? Tant’è vero che l’acqua arriva dalla terraferma con le bettoline – fa Dell’Unto.
– Questa cisterna dovrebbe essere a otto navate – Minniti prosegue imperterrito.
– Overo? E l’altare addò sta? Stutate i telefonini, mentre dicono la messa. Uh scusate marescia’, non volevo inzupparci il pane – Dell’Unto è mortificato.
.
Il brano è tratto dal romanzo CAMMINA, CARDONE di Rita Bosso, pubblicato nel 2012 (Google e-Book)