Nel passato Ponza era ricca di acque.
Soprattutto in epoca romana la presenza di una sorgente e l’oculato utilizzo e conservazione delle precipitazioni rendevano l’isola autonoma dal punto di vista idrico.
I Romani sfruttarono una sorgente di acqua dolce, a Cala dell’Acqua, resa possibile dalla concomitanza geologica di sabbie acquifere su una base di argille impermeabili; quindi tracciarono e costruirono un acquedotto che portava l’acqua da un’estremità dell’isola all’area portuale – in realtà fino a Santa Maria, sede di un importante al bacino di carenaggio – l’attuale mar’e coppa -, con un tragitto di circa 3 Km e un dislivello minimo (dalla quota di partenza a + 11 s.l.m., alla quota di arrivo a +8 s.l.m.); quindi dotarono Ponza di un gran numero di cisterne e serbatoi.
La restante parte dell’isola – da Santa Maria alla zona dell’attuale porto borbonico – non era servita dall’acquedotto, vi era invece un gran numero di cisterne, serbatoi e pozzi: perfino una diga (la diga di Giancos), con caratteristiche uniche al mondo (leggi qui). Alcune delle cisterne sono maestose, come quella della Parata e quella della Dragonara, ma i bottini di raccolta delle acque erano ubiqui.
Al porto – probabilmente un doppio porto, uno a Levante e uno a Ponente (a Chiaia di Luna se non un porto c’era certamente un approdo; altrimenti non avrebbe avuto senso il tunnel romano) – l’acqua serviva in gran copia per le necessità di approvvigionamento della flotta.
Questo breve richiamo al passato per dire che Ponza era un’isola benedetta dalla ricchezza d’acqua, solo parzialmente per dotazione naturale; in parte maggiore grazie al lavoro e alle opere dell’uomo.
Per una relazione comprensiva delle opere romane a Ponza consulta sul sito gli 11 articoli ad esse dedicati, di Leonardo Lombardi digitando – Impianti idraulici romani – nel riquadro CERCA NEL SITO, in Frontespizio, da cui è tratta la frase seguente:
“In Ponza si rinviene un vero compendio delle conoscenze e delle realizzazioni idrauliche di epoca romana. E’ un patrimonio tecnico e archeologico che merita l’attenzione degli addetti ai lavori e che rappresenta, o può rappresentare, uno stimolo per quanti vogliano conoscere il livello delle capacità tecniche dei Romani; in più, è una risorsa turistica di primaria importanza”.
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La situazione attuale. Abbiamo ereditato un’isola inaridita che dipende dalla terraferma per il suo fabbisogno di acqua:
– crollato in parte l’acquedotto romano, per incuria ma soprattutto per l’opera di erosione del mare e del vento, in quanto tracciato parallelamente alla costa;
– dissolta la sorgente di Cala dell’Acqua per la distruzione delle falda acquifera in seguito all’estrazione della bentonite per quarant’anni circa, negli anni dal 1937 al 1976);
– mandate in malora, privatizzate, smembrate in vario modo le grandiose cisterne romane.
– dimenticate –comunque in minima parte ancora praticate le tecniche di raccolta dell’acqua piovana (gestione dei fossi interpoderali; mantenimento e biancheggiamento delle volte a cupola delle case; manutenzione delle cisterne sottostanti alle abitazioni.
Questi racconti di un passato virtuoso – almeno per gli aspetti della gestione delle acque – hanno richiamato ad un vorace lettore di fantascienza (quale io sono stato in adolescenza e gioventù), una delle più appassionanti saghe della fs eroica.
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“Dune” è un ciclo tra i più noti tra i cultori del genere, e non solo tra essi: consta di una serie di ben sei romanzi scritti da Frank Herbert fra il 1965 e il 1985. Titoli come “Dune”, il primo; poi “Messia di Dune”, “I Figli di Dune” ed altri. Ciclo poi proseguito negli anni successivi dal figlio di Frank, Brian Herbert in collaborazione con un altro scrittore, sugli appunti lasciati dal padre (ma a quel tempo avevo smesso di leggere fantascienza).
Nel 1984 è stato fatto un film,“Dune”, diretto da David Lynch, che condensa in 137 minuti l’intera vicenda del primo romanzo; con Silvana Mangano, Max von Sydow e Sting, tra gli altri.
Per ammissione di George Lucas, l’ideatore di Guerre Stellari, il primo romanzo Dune e, in generale, l’intera serie di Herbert hanno influenzato profondamente l’immaginario fantastico e la filmografia fantascientifica negli anni a seguire.
In effetti il ciclo di Dune è notevole per la ricostruzione di un ambiente – il pianeta desertico Arrakis – di cui vengono minuziosamente descritti la geografia, l’ecosistema e l’antropologia.
Il pianeta Arrakis, una landa desertica e inospitale, è tra i pianeti di un universo immaginario – futuro ma con molti aspetti di somiglianza col nostro Medio Evo – l’unico luogo di produzione, raccolta e raffinazione della Spezia, una preziosa e insostituibile sostanza capace di prolungare indefinitamente la vita e di dare accesso a capacità nascoste del cervello (dà come effetto collaterale una colorazione azzurra delle sclere).
La ‘spezia’ è prodotta dai ‘vermi delle sabbie’ (Sandworm) gigantesche creature che i locali hanno imparato a cavalcare agganciandosi con un uncino alla giunzione di uno dei segmenti che compongono il loro corpo.
L’altra caratteristica di rielevo di Arrakis è la carenza d’acqua, che condiziona tutto il modo di vivere e di sentire dei locali: dalle ‘tute distillanti’, sorta di sistema di reciclo dell’umidita e delle secrezioni del corpo, indispensabili per attraversare il Deserto, all’importanza data all’acqua stessa: piangere ovvero ‘versare l’acqua’ è il sentimento più intenso che si può provare per una persona …
Corollario di questo mondo è il sogno, condiviso da tutti i suoi abitanti, i Fremen, di far diventare un giorno Arrakis un pianeta verde. A questo fine sono state create nelle profondità del pianeta delle enormi cisterne per la raccolta dell’acqua, accumulata con fatica e difficoltà infinite da ognuno – goccia dopo goccia, si può dire.
Quel che mi ha lasciato la lettura di “Dune”, avvenuta in anni formativi, è una specie di ossessione per l’acqua, di quanto sia un bene prezioso; la conoscenza dei segni, i riti ad essa collegati; l’attenzione per una cultura di conservazione dell’acqua che non ho mai dimenticato.
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Immagine di copertina: Cisterna Basilica di Istanbul. Yerebatan Sarayı. Di cisterne – a Ponza e altrove – si parlerà nella prossima puntata
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[Ponza come ‘Dune’. L’acqua e le cisterne (1) –> (2) Continua qui]