Come dice Vincenzo – poiché le foglie non sanno quello che fanno le radici (ahimè ha proprio ragione ) – vorrei ricordare Ortensia Feola, per cercare di fare un collegamento tra le giovani donne ponzesi e una donna del passato, da portare come esempio.
Parlare di Ortensia non è facile, vuoi per l’amicizia profonda che mi lega al figlio Daniele – siamo tutti e due figli unici e abbiamo la stessa esperienza di mamme “single” – anche Ortensia ha vissuto da sola con il proprio figlio come me con mia madre, senza la presenza del papà.
Donna sola, ad affrontare la vita in un ambiente particolarmente difficile, come potevano essere Le Forna ai suoi tempi.
Ma Ortensia non ha mai avuto paura di niente, donna e uomo insieme, ha lavorato e creduto nei suoi progetti, portandoli avanti con una caparbietà tipicamente ‘fornese’ (chi è fornese sa cosa intendo) mai mostrando il minimo di dubbio o la benché minima riflessione sulla bontà della propria idea.
Infatti ha creduto ed è riuscita ad investire nel turismo, in quella difficile situazione di Le Forna, senza strada e senza energia elettrica.
Quando si è finalmente fatta la strada Ponza-Le Forna, ha deciso immediatamente di prendere la patente e comprare la macchina; appena ha capito quanto la politica fosse importante, si è buttata a capofitto per difendere gli interessi di quella parte dell’isola!
Faceva parte del direttivo della D.C. e la sua voce era spesso al centro delle discussioni che riguardavano Le Forna e il suo sviluppo: la sua pensione, ora albergo di gran valore, è stata protagonista di tante riunioni, segrete e non, che hanno fatto la storia di Ponza .
Da giovane, Ortensia lavorava alla miniera: il suo lavoro consisteva nell’ estrarre e portare carrelli pieni di bentonite, un lavoro di grande impegno e fatica.
Il 26 febbraio del ’44 – una giornata di tempesta – tra urla e vento, corse anche lei, come tutti, su al Fortino, a vedere il naufragio di una nave inglese (per il resoconto di Sandro Vitiello sul sito: leggi qui) (1).
Vista la tragedia che si stava svolgendo sotto i suoi occhi, senza perdersi d’animo, corse insieme ad altre donne a prendere delle cime per salvare i marinai della nave, che sbatteva contro gli scogli.
Mi raccontava che uomini, a Ponza, non ce n’erano in quanto la maggioranza era sotto le armi e gli altri a pesca per il Mediterraneo.
“Noi povere donne assistemmo al naufragio della nave che si stava spaccando a metà sugli scogli, con il comandante a prua che dava ordini ai marinai di aggrapparsi alle cime che noi avevamo buttato dall’alto e, quando ci si aggrappavano, noi tutte a tirare, intanto arrivavano questi ragazzi magrissimi e tutti infreddoliti… il comandante da sotto faceva arrampicare tutti senza mollare la sua posizione, fino a quando scese anche l’ultimo marinaio.
Poi il comandante si chiuse in cabina e si udì un colpo di pistola .
Presi uno di quei ragazzi sulle spalle, come tutti gli altri era viola dal freddo e tremava tutto, corro nella casa più vicina con lui addosso come un sacco di patate e lo infilo praticamente nel forno per fargli prendere calore. Non appena si fu asciugato e riscaldato presi una coperta e lo portarono al Campo Inglese dove si trovava la postazione inglese , essendo lui un marinaio inglese.
Raccontava ancora Ortensia: – Ma il bello della storia fu che qualche anno fa, mentre con la mia immancabile paglietta stavo giù al ristorante, c’era una coppia seduta ad un tavolo, lui bello grasso sulla settantina, che non mi levava lo sguardo di dosso ad ogni passo che facevo… Allora dissi a mio figlio: “Danie’ mo’ a chillu viecchie rattùse ci tire ’na cosa ’n’cape si ’nna fernesce ’i ’uarda’!”
Passai un’altra volta per i tavoli e chillu viecchie m’addimande: “Tu essere per caso Ortensia?”
Risposi sì, sono Ortensia, ma tu che vuoi ?
Lui si alzò e mi abbracciò… io stavo pronta a dargli ’nu bello schiaffone, quando lui piangendo mi disse che era quel ragazzo inglese a cui nel ’44 avevo salvato la vita”.
Questa è una delle tante storie di vita vissuta che Ortensia raccontava, con la semplicità di chi, nella vita, non ha avuto niente senza dover lottare, da vera combattente qual’era.
(1) – Per vero colpo di fortuna possiamo vedere il video di quell’affondamento: praticamente in diretta le immagini di quanto racconta Ortensia nell’articolo di Domenico!
Si trattava della nave U.S. Landing Ship Tank (USS LST-349); l’affondamento è del 26 febbraio 1944 e le immagini sono state girate da un marinaio, tra i primi a salvarsi, in possesso di una macchina da presa.