Quando, con maschera e pinne, ci si avventura tra gli scogli per osservare quel mondo meraviglioso che si trova sott’acqua, ci si può spesso imbattere in gusci vuoti di patelle che a Ponza vengono chiamate “reali” (Haliotis tubercolata lamellosa), altrove chiamate anche: orecchio di S. Pietro o orecchio di mare (quest’ultimo, traduzione letterale della parola greca Haliotis).
Rappresentano i resti di pasti gustosi da parte dei polpi che sono molto ghiotti di questo mollusco.
Talora questi gusci si possono rinvenire proprio davanti alla tana di un polpo, mentre l’inquilino è fuori per caccia.
Con più difficoltà si possono rinvenire invece le patelle reali “vive” e vegete, poiché questo mollusco gasteropodo vive e si muove aderendo agli scogli sott’acqua e, al minimo movimento o “rumore”, si stacca e si lascia cadere inerte sul fondo, per poi riattaccarsi ad una nuova parete.
Per poterle rinvenire, spostando e rivoltando i sassi spostabili sott’acqua, la patella reale viene sorpresa e, prima che staccandosi possa essere persa di vista, può essere catturata.
E’ quello che intraprendemmo io ed il mio inseparabile amico Carletto Sandolo (il figlio dell’avvocato) rivoltando sott’acqua quasi tutti i sassi “rivoltabili” della scogliera dietro la Caletta, in una giornata settembrina di molti anni fa.
Ne prendemmo una sessantina circa e, ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano attraverso la maschera, ci scambiavamo gesti di soddisfazione e di incredulità. Di tutte le grandezze, dalle più piccole a quelle decisamente grandi.
Non ci rendemmo conto di aver forse modificato l’habitat naturale e di aver spogliato la scogliera delle sue amene abitanti, anche perché, per ogni patella presa, ne cadevano almeno una o due che si lasciavano rapidamente staccare dal sasso rivoltato e che si perdevano nel profondo del fondale roccioso.
Il quesito che si pose successivamente era cosa fare del “frutto”, che era sicuramente stomachevole e eccessivo da mangiare crudo.
Una rapida inchiesta svolta tra parenti e conoscenti, ci permise di capire che le patelle “reali” potevano essere consumate dopo essere state bollite, condite come il polpo o come la “tofa” (Charonia lampas, attenzione: oggi specie protetta!).
E così avvenne.
Dopo averle messe in padella sui fornelli di casa, i frutti si staccarono dai gusci, lasciando questi ultimi meravigliosamente brillanti di madreperla. Successivamente, ripuliti della parte viscerale (scura ed amarognola), vennero tagliati a pezzi e conditi come per l’insalata di mare. Una vera specialità.
Una parte del pescato subì il destino delle patelle comuni, quelle “plebee” (Patella caerulea), con il classico sughetto con gli spaghetti.
Con le conchiglie, provvedemmo poi a fare tanti regalini a parenti, amici, conoscenti e “fidanzate”, che gradirono molto.
Una patella “reale” è pur sempre “reale” e merita, pertanto ogni onore e rispetto.
Non so se oggi questa specie appartenga a quelle protette; certo è che l’attuale scogliera della Caletta le custodisce bene con il suo peso e le mantiene nascoste agli occhi di eventuali sollevatori di sassi (questa volta pesanti come macigni).
Non so se ciò provochi danno (non credo e spero proprio che sia così) ma, quando con maschera e pinne mi trovo a nuotare nei bassi fondali, mi piace sollevare e rigirare un sasso dal fondo e, dopo aver ammirato lo splendore nascosto di ofiuroidi, oloturie, attinie, ostriche minuscole, granchiolini, gamberetti e magari di patelle “plebee” e “reali”, lo rigiro garbatamente rimettendolo a posto scusandomi con quei silenziosi abitanti per aver turbato, seppur per poco, la loro quiete per colpa della mia curiosità.
Adriano Madonna
3 Febbraio 2015 at 14:20
Nell’articolo “Patelle Reali”, una delle immagini a corredo mostra una Patella ferruginea, specie ormai rara e a rischio di estinzione. Vorrei sapere se quella patella è stata fotografata a Ponza o meno. Grazie, saluti
Risponde la Redazione
No, Adriano, è stata ripresa dal web, perché una delle poche foto con il mare da sfondo