Ponza è malata, gravemente malata. Questo il grido che si leva da tempo da molti di noi. E chi non parla o scrive certamente lo pensa e soffre in silenzio.
Tutti alla ricerca di possibili soluzioni, tutti molto preoccupati. Alcuni addirittura disperati.
Un quadro desolante che fa temere e non intravedere orizzonti di speranza.
Certo molte sono le cause che hanno portato alla attuale situazione critica della nostra isola. Dei malesseri di cui soffriamo parliamo e scriviamo in tanti, ognuno secondo le proprie sensibilità e la propria esperienza; essi provengono certamente da lontano. E forse non è inutile ricordarne alcuni ancora una volta.
Erano i primi anni degli anni settanta, quando scrissi per un quotidiano romano un articolo che aveva come titolo: “Emigranti del benessere in pieno boom turistico-balneare”.
In quel lontano intervento mettevo in risalto che i ponzesi, nonostante il crescente benessere erano costretti ad emigrare, seppure nella vicina Formia, per investire utilmente i loro risparmi. E questo perché molte iniziative commerciali e turistiche venivano frenate e non solo dalla burocrazia.
All’epoca c’era l’esigenza di non far superare al numero degli abitanti oltre la soglia delle 5.000 unità, pena il cambio del sistema di elezione amministrativa. E non solo.
Lo sviluppo turistico caotico e imprevisto, ci trovò impreparati, nonostante la buona volontà. Erano anni in cui i ponzesi, forti delle buone economie, avrebbero potuto realizzare ottime strutture turistiche e produttive, se non fossero state loro tarpate le ali.
Accadde infatti che i maggiori complessi turistici furono realizzati da privati con la Cassa del Mezzogiorno e sotto l’occhio benevolo di chi amministrava in quegli anni. Certo colpe ne hanno anche gli abitanti che, salvo poche eccezioni, preferivano incassare senza reinvestire in opere migliorative.
“Tanto se qualcuno non viene più verrà qualcun altro in vacanza”! – era questo lo spocchioso atteggiamenti di tanti.
In quegli anni irruppe, poi, la questione S.A.M.I.P. che, esaurito il deposito di bentonite, presentò un progetto di riqualificazione del territorio e di sviluppo turistico. Progetto che, dopo i guasti e i dolori arrecati agli abitanti di Le Forna, fu ostacolato ad opera di sedicenti ‘ambientalisti’. Gli stessi che poi, per oltre trent’anni, se ne dimenticheranno del tutto.
Era infatti già accaduto che alla distruzione di decine di abitazioni, i cui proprietari erano stati costretti a lasciare l’isola, non seguì la ricostruzione in loco di un villaggio, come sarebbe stato auspicabile. Si preferì dare loro una casa a Formia, dal costo decisamente minore, rispetto a quello di un’abitazione da realizzare nell’isola.
Fu quella una delle cause della diaspora e dello sperpero di risorse umane ed economiche che Ponza si trovò a subire. È possibile immaginare che molti miliardi lasciarono l’isola e andarono ad arricchire la già ricca Formia ed altre località vicine.
Queste alcune delle cause che ci hanno portati alla situazione attuale. Oggi anzi, dopo mezzo secolo, la situazione è ancora peggiorata.
Limiti, burocrazia, lentezze, ostacoli di ogni genere, sono davanti ai ponzesi che ancora si ostinano ad investire sul proprio territorio, ai quali si aggiunge, come una spada di Damocle, il P.A.I., del quale dopo anni non riesce ancora a capire quali siano le ultime decisioni. Tutto questo con un aggravio dei costi e delle tasse difficilmente sostenibili, che attirano solo grandi capitali, mentre le piccole e medie imprese, spesso a carattere familiare, che hanno costituito il tessuto connettivo della popolazione, faticano ad andare avanti.
Una inversione di tendenza sarà possibile solo agevolando chi sceglie di vivere e operare a Ponza, aiutandolo con opere strutturali che non possono più essere rinviate. Quando si dice opere strutturali si intendono linee di comunicazione efficienti e con orari utili e condivisi; una portualità aperta alla fruizione dell’intera popolazione; un tessuto stradale curato; servizi sanitari sufficienti. Solo per ricordare i più importanti.
Se non ci si muove in questa direzione, Ponza è destinata a perdere sempre di più la sua popolazione e la sua identità, per diventare esclusivamente un ameno luogo di vacanze nei mesi estivi.
Un destino orribile per chi come tanti di noi hanno con il proprio paese un forte legame affettivo.
vincenzo
3 Febbraio 2015 at 09:55
Non posso che condividere il pensiero di Giuseppe perché conferma quello che io vado dicendo da tempo.
Giuseppe dice che a molti ponzesi sono state “tarpate le ali”, favorendo alcuni contro i tanti.
Giuseppe dice che “sedicenti ambientalisti” hanno bloccato lo sviluppo della zona ex Samip” per poi scomparire. Anche questo è motivo di riflessione perché in un’isola bisogna essere realisti ma sempre con la barra dritta: gli interessi di tutti i residenti sono tutelati se si tutela la risorsa ambiente. E’ da questo binomio residente/ambiente che deve scaturire la riflessione per prospettare il nuovo contratto di convivenza isolana.
Il finale del tuo articolo Giuseppe è poi musica per le mie orecchie per questo ti ringrazio.
polina ambrosino
3 Febbraio 2015 at 20:32
Per iniziativa della Redazione lo scritto di Polina è stato scorporato dai Commenti a questo articolo e ripreso come Articolo autonomo (leggi qui)
Giuseppe Mazzella
8 Febbraio 2015 at 18:55
Dai recenti e passati contributi di Ambrosino, Polina e Tomeo, e di molti altri, è facile rilevare che sulle diagnosi, benché con diverse sfumature, avremmo trovato una quadra.
Ma è sulle terapie che il problema diventa complesso e delicato, perché finisce per confliggere con interessi di parte e scontentare sempre qualcuno. E’ necessario però provarci.
Va innanzitutto affermato che i ponzesi, soffocati dai doveri e dai limiti, naturalistici, di isolamento, di collegamenti inadeguati, di servizi appena sufficienti, dovrebbero godere di diritti pari a quelli di altri paesi della nostra Italia. Non è una dichiarazione di buona volontà: è una necessità, pena la diaspora definitiva e la morte. Di cui avvertiamo tutti la minaccia se non imminente certo prossima.
Io direi di cominciare dal primo, a mio avviso, importante limite: quello dei collegamenti.
Ponza non potrà mai avere un vero sviluppo se continuerà ad essere collegato con mezzi ormai obsoleti e con orari che non si capisce a chi servano. In questi mesi terribili e di cattivo tempo, in cui Ponza è rimasta alcune volte completamente isolata, e su cui l’amministrazione ha dichiarato di voler far luce e far valere i diritti dei cittadini, la situazione si è ancora più aggravata.
Possibile che in mezzo secolo i tempi di percorrenza tra l’isola e la terraferma non siano cambiati?
Il mondo va avanti, Ponza resta ferma. Perché? La nostra isola senza collegamenti adeguati non ha futuro. Collegamenti rapidi, che coprano i diversi orari del giorno e non si affollino in ore di punta che fanno perdere ulteriore tempo e intasano il porto, in particolare nei mesi estivi.
Credo che sia inutile parlare di turismo, di cultura, di economia, di politica sociale, se non si garantisce la possibilità di arrivare all’isola e partirne in modo rapido e comodo. Chi ha deciso gli orari? Forse un referendum potrebbe aiutare la società di navigazione che hanno in appalto le linee, sovvenzionate dallo Stato, a trovare le giuste misure.
Sono fermamente convinto che gran parte dello sviluppo di Ponza deriva dai collegamenti.
Senza un sistema integrato, con i mezzi di terraferma e di Ponza – quante volte dopo tre ore di navigazione e un’attesa in rada, i turisti hanno dovuto attendere ancora a lungo per prendere l’autobus – la nostra isola non va da nessuna parte.
Su questo sito sono stati spesso esposti i disagi di chi vi arriva in vacanza e desidera spostarsi per visitarla.
Adesso la parola agli specialisti – ve ne sono! – e a quanti hanno a cuore la soluzione dei nostri problemi.
vincenzo
9 Febbraio 2015 at 19:04
Giuseppe dice: “Basta analizzare i mali, andiamo a proporre soluzioni”, ma se hai letto con attenzione quello che io ho scritto sui ponzesi, la cosa è molto più complessa.
La richiesta di collegamenti migliori entra nei programmi elettorali ed entra nella delega parziale che il ponzese dà all’amministrazione.
Materia da campagna elettorale di un candidato capace, che dice che se verrà votato migliorerà i collegamenti; poi quando diventa assessore si trova queste navi e questi aliscafi e scopre che ci vorrebbe la bacchetta magica per tenere fede alle sue promesse.
Ma non basta. Ogni cittadino e quindi ogni candidato ha la sua ricetta che gira intorno ad un solo ingrediente; infatti tu dici che il problema n° 1 da risolvere sono i collegamenti; qualcun altro dirà la portualità, qualcun altro dirà le fogne e la depurazione, qualcun altro dirà che bisogna liberare Ponza della gabbia del PAI, qualcun altro ancora dirà che il problema da risolvere è il risanamento ex-Samip e quindi il riequilibrio socio economico Le Forna-Ponza.
Tutti questi e non solo questi – ce ne sono tanti altri – vengono chiamati problemi strutturali; la risoluzione di queste ‘strutture’ ha bisogno di finanziamenti: verosimilmente pubblici pochi, tanti privati.
Infatti i sindaci vengono delegati dai cittadini e votati per risolvere questi problemi e si punta a votare un nuovo sindaco quando si è visto che il vecchio Sindaco ha fallito: niente di nuovo!
Ma a mio avviso questi sono obiettivi da raggiungere, ma il fine è tutt’altra cosa.
Io dico sempre che bisogna commisurare gli obiettivi al fine che è necessario raggiungere, ma se non conosciamo il fine come facciamo a proporre obiettivi e soluzioni per risolverli?
Giuseppe Mazzella
10 Febbraio 2015 at 11:54
Caro Vincenzo, il fine! Verrebbe da scrivere: il fine è la vita. E, possibilmente, una vita migliore.
Non so se la questione collegamenti sia stata utilizzata a soli fini elettorali, o inserita in una visione più ampia ed organica di sviluppo di Ponza. Io resto convinto che collegamenti idonei, comodi e ragionevolmente rapidi siano il tassello necessario per far crescere e prosperare la nostra isola.
Nell’epoca in cui viviamo le comunicazioni, tra cui i collegamenti marittimi, sono basilari. L’isolamento imposto dalle insufficienze (non quello liberamente scelto dai monaci), è un male. Perché crea, alla lunga, un’errata considerazione di sé, prevenzione verso tutto e tutti, accidia, chiusura mentale. Con lo scambio e il confronto, invece, ci si arricchisce e si cresce. Ma queste sono cose credo di comune e banale conoscenza.
Roma antica poté trasformarsi da villaggio pastorale a metropoli quando organizzò una fitta rete stradale, attraverso la quale passavano l’economia, le idee, la civiltà.
Ecco perché ripeto e quasi ossessivamente confermo la mia ostinazione – come altri amici, alcuni dei quali scomparsi, per esempio Giuseppe Tricoli, hanno già fatto – che con questi mezzi inadeguati e con orari incomprensibili non si arriva da nessuna parte e Ponza rischia di restare un piccolo villaggio di pescatori che, per ironia della sorte, non pratica quasi più la pesca.
Un piccolo villaggio che desidera impegnarsi nel turismo, ma che non riesce mai a decollare.
Collegamenti e portualità, a mio avviso, restano le due priorità centrali, come ha già scritto tante volte.
Solo così, come il sangue scorre nelle vene, irrorando tutti i tessuti, i collegamenti potranno alimentare l’economia e la socialità isolana.
vincenzo
10 Febbraio 2015 at 17:23
Il fine non può essere generico, “la vita” il fine l’ho detto è la salvaguardia dell’ecosistema isola, ambiente naturale in equilibrio con l’uomo che ci vive tutto l’anno. Quindi tutto problematiche strutturali, nuova organizzazione turistico commerciale deve essere misurata per soddisfare il fine. In altre parole se l’economia non può prescindere dalle risorse presenti le attività umane devono, per mantenere la sua riproduzione, devono essere protette.
I nostri giovani vanno in vacanze 3 volte in un anno e vanno all’estero non certo li ferma la Laziomar; la maggior parte dei nostri imprenditori, commercianti va per sei mesi in continente e si interessa più del traffico di Formia che dei collegamenti marittimi.
Con questo non dico che i collegamenti non sono importanti dico essenzialmente che questo è un approccio teorico che è da sempre stato sperimentato sull’isola.
Se fisso invece il FINE per esempio: alla salvaguardia dell’ecosistema isolano vedrai che gli obiettivi avranno tutto un altro senso.
Quale portualità potrò sviluppare in un’isola che rispetta i residenti e l’ambiente? Posso permettermi il traffico caotico e quindi l’enorme sbarco di automobili e tir? La risposta è ovvia; quindi: quali navi e quali mezzi di trasporto richiedere?
Ovviamente mi fermo qui, ma come vedi il ragionamento ha più senso e le risposte sono conseguenziali.