Demis Roussos è morto l’altro ieri, 25 gennaio, ad Atene. Aveva 69 anni. È stata la voce degli Aphrodite’s Child e il bassista del gruppo, prima di dedicarsi alla carriera solista: una star da milioni di dischi in tutto il mondo, in diverse lingue.
Tra i suoi brani più famosi Rain And Tears, Forever and ever, We shall dance, It’s Five O’clock, Spring, Summer, Winter And Fall, I Want To Live, Profeta non sarò.
Roussos era nato ad Alessandria d’Egitto il 15 giugno 1946, da padre greco e madre di origini italiane; tornò nel paese di origine dopo la perdita di tutti gli averi familiari, in seguito alla Crisi di Suez del 1956.
Dopo aver militato in alcuni gruppi come The Idols e We Five, pubblicando una serie di singoli pop, entrò negli Aphrodite’s Child.
Insieme – Demis Roussos, Vangelis Papathanassiou e Loukas Sideras – diedero vita alla band di prog rock più famosa della penisola ellenica; le radici etniche sono state sempre molto presenti in tutta la produzione artistica di Demis Roussos, anche dopo la separazione dal gruppo.
La sua carriera fu molto prolifica fino agli anni 90; poi ha partecipato – fino ad anni recenti, già malato – a diverse manifestazioni canore come testimone di un periodo irripetibile della musica.
Tra i suoi ultimi successi, la versione cantata di “Chariots of Fire”, la colonna sonora del film “Momenti di Gloria” firmata da Vangelis (autore anche della colonna sonora di Blade runner, cui anche Roussos ha collaborato).
Tra tutti i brani di Demis Roussos reperibili su YouTube ho scelto Rain and Tears, il maggior successo degli Aphrodite’s Child, del 1968. Un adattamento in chiave pop del celebre Canone in re maggiore dell’abate Johann Pachelbel, compositore tedesco del Seicento.
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A quell’epoca avevo circa vent’anni, ai primi anni di Medicina. Stavo alla Casa dello Studente a Roma. Seguivamo gli eventi del “Maggio francese” senza capirci granché all’inizio, ma sentivamo che era qualcosa di importante. Di lì a poco il vento di cambiamento avrebbe attraversato tutte le capitali europee. Eravamo giovani e “molto infiammabili”. Questa canzone fu una specie di colonna sonora di quel periodo.