“Voi siete il sale della terra…”
(Vangelo sec. Matteo; Cap. V, 13-20]
Conosciamo Wim Wenders e parte della sua sterminata filmografia; abbiamo molto amato il suo Lisbon story (1994; sul sito leggi qui) e molti altri dei suoi film. Per citarne qualcuno, in ordine sparso: Nel corso del tempo (1976); I fratelli Skladanowsky (1995); Buena Vista Social Club (1999); Pina (2011).
Torna ora nelle sale, Wenders, in collaborazione con il figlio di Salgado, Juliano Ribeiro Salgado, in un film omaggio al celebre fotografo. L’idea che muove Wenders, nelle sue ultime opere, è andare a conoscere ed approfondire i “personaggi mito” della sua vita, quelli che lo hanno più attratto e influenzato.
Sebastião Salgado è una leggenda vivente; uno dei più grandi fotografi del mondo (non possiamo non conoscerlo da sempre, con un fratello fotografo che possiede numerosi dei suoi libri fotografici).
Basti dire che per il suo contributo alla conoscenza dei popoli tra i più diseredati della Terra, è stato proposto per il premio Nobel per la Pace.
Un video da YouTube sul lavoro di Sebastião Salgado. Mostra foto da uno dei suoi primi servizi su una miniera d’oro a cielo aperto in Brasile, ma non solo quelle:
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Nel 1979 la scoperta di una pepita d’oro nella Serra Pelada (nello stato brasiliano del Parà) provoca l’arrivo di decine di migliaia di cercatori di oro; in alcune settimane, la montagna diventa una miniera a cielo aperto, una cavità di 100 metri di profondità, vasta come uno stadio di calcio. In questa terra senza fede né legge, i garimpeiros (arrampicatori) trasportano dei sacchi di terra per conto di un proprietario che ne esaminerà il contenuto nella sua baracca.
Sono migliaia di uomini – “cercatori d’oro”, ma più propriamente “schiavi”, “formigas” – che salgono e scendono per quaranta-sessanta volte al giorno l’enorme cava, su primitive e precarie scale a pioli, portando sulle spalle pesanti sacchi ricolmi di terra in cui potrebbe nascondersi la pepita d’oro in grado di cambiare la loro vita, un frammento d’oro, una pagliuzza, o più spesso solo terra e fango.
Le foto di Salgado risalgono al 1986. Attualmente la miniera è chiusa. Ne rimane un lago malsano e maleodorante, fortemente inquinato per l’uso del cianuro, dell’acido solforico e del mercurio impiegati per separare l’oro grezzo dalla roccia.
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Salgado ha avuto un’esistenza raminga. Fuoriuscito dal Brasile al tempo della dittatura del generale Videla, insieme con l’amata moglie (e musa) Lelia Wanick, stabilisce la sua residenza a Parigi… Da lì parte per i suoi lunghi viaggi. Da giovane ha occhi azzurri, capelli fluenti e barba bionda… “Gesù Cristo tornato in terra per giudicare le azioni degli uomini” – così lo identifica un suo assistente indio dell’Amazzonia.
Viaggi di totale immersione in luoghi sconosciuti ai più. Documenta per immagini, popoli, modi di vivere e sofferenze, inimmaginabili prima di lui. Fa conoscere al mondo la siccità del Sahel, l’odissea di grandi spostamenti di popoli africani, la tragedia del Ruanda e gli eccidi dei Tutsi e degli Hutu.
E ancora… percorre il ‘suo’ sud-America da un capo all’altro, mostra il lavoro dell’uomo a tutte le latitudini, si spinge nell’Artico tra gli eschimesi delle regioni più estreme della Siberia; tra i pompieri canadesi accorsi in Kuwait a ‘spegnere’ i pozzi di petrolio incendiati da Saddam in ritirata.
Soprattutto i viaggi africani, le sofferenze e la morte tra cui si muove, lo inaridiscono; ne torna sempre più oppresso, con un male dell’anima più che del corpo.
E riparte… a documentare la Terra come doveva essere prima dell’uomo (è il progetto “Genesis”).
Ritorna, nei suoi anni maturi (è del ’44), in Brasile, nella terra che fu di suo nonno e di suo padre, una fertile fazenda quando lui era piccolo, ridotta ad una terra arida e senza alberi, funestata dalla siccità. E con un progetto di ampio respiro, con la moglie al fianco, la rende di nuovo lussureggiante.
Tutto questo è mostrato nel film. Senza retorica né compiacimento alcuno.
Il film si muove a due livelli, tra le immagini statiche delle foto di Salgado nei posti più ‘caldi’ e inesplorati del mondo e le immagini (quando è possibile) degli stessi luoghi.
È un film di grande bellezza ma complesso, come la vita stessa; con più livelli di lettura, oltre le immagini e oltre la parola.
“Si rimane incastrati in questo flusso di immagini e rapiti da ragionamenti di chi il mondo lo ha visto e vissuto con sensibilità elevatissima. Il sale della terra è l’uomo mentre distrugge se stesso, i suoi simili e ciò che lo circonda. Ma c’è una speranza se sappiamo che da un piccolo seme nasceranno alberi oltre i secoli. Il sale della terra è un film che ti schiaffeggia di meraviglia e terrore. Gli occhi non sanno cosa fare più. Visione consigliatissima.” (recensione di Luca Marra per http://it.ibtimes.com/).
File .pdf di un’intervista a Wim Wenders: Il Messaggero del 21 ott. 2014. Wim Wenders. Sebastião Salgado
Sandro Russo
6 Gennaio 2015 at 20:07
Più di qualche curiosità ha suscitato tra i Lettori il brano musicale che accompagna le immagini di Salgado in questo articolo.
Si tratta dei “Bliss” un gruppo musicale multi-etnico con base in Danimarca, comprendente artisti danesi, svedesi e della Guinea-Bissau. Appartengono alla corrente cosiddetta “world music chill out” ed hanno prodotto diversi album a partire dal 2001.
Hanno spesso fatto parte di compilation musicali inserite nella serie “Buddha Bar” ideata dal franco-tunisino Claude Challe, deejay e co-fondatore dell’omonimo restaurant-bar situato a Parigi dal 1996.
Nello specifico, il brano è intitolato Wish U Were Here (U = You – titolo identico a quello dei Pink Floyd: “Vorrei che tu fossi qui”, eccetto che per una minima variazione grafica).
Questo il testo inglese:
Wish U Were Here
Like waves to the shore
Part of the ocean
The stars is high above
Part of the sky
Now I drift to you
I dream of a river
A water so blue
Wish I could live there
Wish you were here
Wish you were here
Like the air that I breathe
You´ll be there
The wings that I need
When I wanna fly
Now I drift to you
I dream of a river
A water so blue
Wish I could live there
Wish you were here
(Lyric by Giordano Adjuto)
All’inizio del brano c’è una voce che canta con le modalità dei “griots” africani, sorta di poeti e cantori che svolgono il ruolo di conservare la tradizione orale degli antenati (in alcuni contesti storici pre-coloniali avevano anche il ruolo di interprete ed ambasciatore). Questa figura ha ancora una propria funzione nelle comunità dei paesi dell’Africa occidentale sub-sahariana (Mali, Gambia, Guinea, Senegal e Burkina Faso), e tra alcuni gruppi della Mauritania.
Ho sentito il canto di un griot per la prima volta nel film “L’assedio” di Bernardo Bertolucci (del 1999) giocato tra l’Africa e Roma, con il tempo africano introdotto da un cantore sdentato che suonava una specie di zucca con le corde, che poi ho saputo chiamarsi kora.