Ambiente e Natura

Partenza ore 4,30

di Francesco De Luca
Il Vapore nel Porto. Notturno

 

Ne è passato di tempo. Non quello astronomico, no, perché l’intervallo conta soltanto 30-40 anni. Che sono tanti invece se paragonati al tempo interiore (quello sentito dentro) quello che fa mutare le abitudini e dà la percezione del mutamento culturale. Allora è davvero passato tanto tempo !

Si partiva da Ponza, nell’unica corsa giornaliera, alle 4,30 del mattino. La sveglia si programmava per le 3,30, e per i Fornesi ancora prima.

Dire che era una “partenza bestiale” non è esagerato. Per il disagio di un sonno disturbato e agitato, per la sveglia inopportuna. Ma quella giornata era stata programmata nei dettagli e non rispettarli significava rimandare un impegno assunto, venir meno ad una parola data, procrastinare una decisione presa.

Partenza alle 4,30, più tre ore di viaggio e a Formia si stava in tempo per il disbrigo delle faccende. Chi dall’avvocato, chi in Pretura a Gaeta, il più lontano a Roma o a Latina in Provveditorato o nei vari uffici.

Quante volte lo abbiamo fatto, col tempo favorevole e no.

Sorbirsi le tre ore su quelle poltrone senza appoggio per la testa. Con in testa mille pensieri perché si erano lasciati i panni dell’isolano e ci si doveva vestire coi panni del cittadino.

Ci si sentiva estirpati, e le ferite interne le tacevamo per pudore.

Eppure siamo cresciuti con quelle lacerazioni e ne eravamo fieri.

Avremmo dovuto trasfondere il tutto in una visione della vita più rispondente alla nostra formazione e invece ci siamo adattati ai modelli umani a noi accanto sul lavoro, nei negozi, per le strade. Abbiamo rinnegato la nostra diversità per una omologazione di comodo.

Parlo a quelli della mia generazione di cui conosco la sensibilità e l’ignavia, il merito e il disgusto.

Concludo con una poesia che scrissi in quegli anni, e il ricordo ancora mi commuove.

Motonave Isola di Ponza

 

Quanno iammo a piglià ’u vapore

 

Quanno iammo a piglià ’u vapore

Ponza tene n’atu culore.

Se veste ’i malincunia

comme si ’nte vulesse fa piglià ’a via.

Sarrà forse ca se parte ’i notte,

sarrà forse ca ’i vie so’ morte,

sarranno ’i luce ca nun so’ forte,

ma te vene ’na stretta ’u core

e maledice ca te n’hè ì fore.

Siente i passe ’ncopp’ i prete

e si t’aggire adderete

’stu scoglio

tutt’a vita t’arrecoglie.

E’ vero ’nce po’ abbastà,

è troppo pitte pe ce dà

tutto chello ca vulimme guadagnà.

E’ vero stamme stritte

e pe’ chesto ca fra nuie ’nce guardamme adderitto.

Ma ’stu paese ’i merda

nun t’u scuorde,

po’ ffà tarde

ma cca è turnà.

Troppo ce fa penà

pe ce ’u scurdà.

E tutto vene a mente

strada facenno

mentre ’u vapore illuminato

t’aspetta ind’u puorto attraccato.

Allora vulisse chiagne,

te ne vulisse fotte d’u munno ca te chiamma

e invece te n’hè ì

pecché pure ogge, Punzese, hè suffrì.

 

[Da: “All’anema ’i Ponza” – Edizioni di Odisseo – 1981]

Ascolta qui, dalla voce dell’Autore, da file mp3

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1 Comment

1 Comments

  1. Silverio Guarino

    24 Novembre 2014 at 21:58

    Me le ricordo bene anche io quelle alzatacce; il vapore fischiava un’ora prima della partenza, mia nonna Fortunatina mi faceva prendere un rosso d’uovo (crudo), che, in genere, non riuscivo a digerire che all’arrivo a Formia.
    Il vapore si prendeva per il disbrigo delle faccende “…chi andava dall’avvocato, chi in Pretura a Gaeta”. Dopo 40 anni, con altri mezzi, una volta arrivati a Formia, sarà necessario arrivare fino a Cassino per sbrigare le faccende. A meno che non sia cambiato nel corso degli anni lo stile di vita dell’abitante dell’isola, così come già sono cambiate le abitudini degli azzeccagarbugli togati che dal continente vengono sull’isola per soddisfare i propri clienti (e i propri appetiti).

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