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Il Polo Sud venne raggiunto, per la prima volta, il 14 dicembre 1911, dall’esploratore norvegese Roald Amundsen insieme ai membri della sua spedizione, partiti per il viaggio per mare con la nave Fram (‘Avanti’, in norvegese).
Il 14 gennaio 1911 la nave Fram arrivò nella parte orientale della barriera di Ross in una località chiamata Baia delle Balene. Lì Amundsen decise di localizzare il campo base che chiamò Framheim (Casa di Fram, in norvegese).
Dopo varie vicissitudini, acclimatamento e aggiustamento dei materiali e un primo tentativo fallito di raggiungere il Polo ai primi di settembre, il gruppo definitivo, composto da Bjaaland, Hanssen, Hassel, Wisting e naturalmente Amundsen, partì diretto al Polo il 19 ottobre 1911 con quattro slitte e 52 cani. Dopo un viaggio che definire ‘avventuroso’ è molto riduttivo, l’obbiettivo Polo Sud venne raggiunto il 14 dicembre 1911 quando il gruppo dei cinque norvegesi, con 16 cani, giunse alla meta a 90°00′ sud.
Foto storica al Polo. Da sinistra: Amundsen Hanssen Hassel e Wisting al Polo Sud. La foto fu scattata da Bjaaland
Bandiera Norvegese al Polo Sud
Hansen, uno dei membri della spedizione di Amundsen al Polo sud; con i cani, altrettanto eroici per quanto in gran parte sacrificati
Comunque il successo di Amundsen fu reso pubblico soltanto il 7 marzo 1912 quando la Fram raggiunse il porto di Hobart, in Tasmania ed Amundsen ebbe accesso ad una linea telegrafica.
La Spedizione Terranova
La nave Terranova in Antartide
L’antagonista di Amundsen nella sfida del primato per il Polo, Robert Falcon Scott (Spedizione Terranova e nave omonima), raggiunse il polo circa un mese dopo, il 17 gennaio 1913.
Il gruppo di Scott al Polo Sud. Da sinistra a destra: Oates Bowers Evans Scott e Wilson
La celebre foto della tenda montata dalla spedizione di Amundsen e ritrovata da quella di Scott al Polo Sud
Dopo aver confermato la posizione e lasciato la bandiera del Regno Unito, il giorno seguente il gruppo intraprese la via del ritorno che si dimostrò ben più difficoltosa del previsto; tanto che nella marcia di rientro Scott e i suoi compagni di spedizione persero la vita. Il primo fu Evans, già sofferente di congelamento degli arti e dopo ripetute cadute nei crepacci; quindi, dopo che erano riusciti a stabilire un rifugio provvisorio in una tenda, fu Oates, in pessime condizioni fisiche, a lasciare volontariamente in gruppo, per non essere di impaccio agli altri
Le drammatiche fasi dell’odissea di Scott e dei suoi quattro compagni, le avversità, gli imprevisti, la tempesta di neve e di ghiaccio che li seppellì sono ben degni di un’epica narrazione, confortata da prove, stralci di diari, parole famose tramandate attraverso di essi.
Ma proviamo a presentare i personaggi e a raccontare i fatti come si svolsero, sulla scorta del libro di Roland Huntford “Race. Alla conquista del Polo Sud” – che raccoglie e analizza i diari di tre dei protagonisti della conquista del Polo Sud.
Huntford. “Race for the South Pole” – “La conquista del Polo sud”. Nell’edizione originale e nell’edizione italiana ‘Cavallo di Ferro’; 2011
“Roland Huntford, la massima autorità mondiale in fatto di spedizioni polari, racconta l’epica dell’ultima scoperta sulla Terra nel più completo e affidabile resoconto mai scritto sull’argomento. Dal confronto giorno per giorno dei diari di Robert F. Scott, di Roald Amundsen – in parte ancora inediti – e del suo compagno di viaggio Olav Bjaaland – che compaiono qui per la prima volta in assoluto -, l’autore ricostruisce un’avventura estrema, commentandone grazie alla sua esperienza gli aspetti tecnici, logistici e umani in maniera originale” (dalla presentazione del libro, in IV di copertina).
Sempre in occasione del centenario della spedizione, la casa editrice ‘Nutrimenti’ ha mandato in stampa l’edizione italiana di un libro con le fotografie dell’impresa di Scott:
Il libro fotografico “Scott in Antartide” con le foto di Herbert Ponting. Casa editrice Nutrimenti; 2011 – Collana Tusitala
“A cent’anni dalla conquista del Polo Sud esce in Italia il libro “Scott in Antartide” curato da Filippo Tuena e costruito grazie agli scatti di Herbert Ponting, uno tra i più grandi fotografi del ‘900. Oltre duemila le fotografie che ha prodotto per raccontare la spedizione guidata dal comandante della marina inglese Robert Falcon Scott che da Londra partì alla scoperta del continente antartico (Herbert Ponting sopravvisse alla spedizione di Scott e morì nel 1935 – NdR)
Dalle missioni più faticose alle bizzarre forme degli iceberg, l’occhio di Ponting ha documentato il viaggio lungo paesaggi inesplorati cercando di catturare la determinazione, anche fisica, degli uomini. Un diario in bianco e nero fatto di sguardi e volti prima e dopo le scalate delle montagne di ghiaccio.” [dal risvolto di copertina].
Fondamentalmente nel libro di Huntford sono delineate le differenze caratteriali dei due protagonisti – Amundsen e Scott – e quindi di impostazione delle rispettive spedizioni che ne determinarono in definitiva il successo e l’insuccesso, riducendo al minimo il ruolo della ‘fortuna’, come nelle parole dello stesso Amundsen: “La vittoria arride a chi ha tutto in ordine – la gente la chiama fortuna. La sconfitta è sicura per chi ha trascurato di prendere le necessarie precauzioni – la gente la chiama sfortuna”.
In effetti il norvegese Amundsen aveva un approccio – potremmo dire adesso, con sensibilità moderna – naturalistico ed ‘ecologico’, fondato sulle sue precedenti esperienze al Polo Nord e sull’attenta osservazione degli usi degli Inuit, adattati alla vita in quelle condizioni estreme. Di qui l’impiego dei cani da slitta e un equipaggiamento di vestiario di pelo di lupo artico.
Per contro Scott – tipica espressione della ‘superbia’ britannica di superiorità dell’uomo sulla natura – scelse come mezzo di trasporto i pony della Manciuria e avveniristiche (per l’epoca) slitte a motore.
I pony siberiani della Spedizione Terranova
Quelle diverse scelte furono decisiva: accadde che i pony della steppa finirono nei crepacci o scomparirono sotto la neve. A differenza dei cani, i pony non mangiavano i loro compagni morti e non erano capaci di prepararsi da soli un riparo dove dormire, come facevano i cani. Scott aveva portato con sé anche delle slitte cingolate a motore che smisero ben presto di funzionare in quelle condizioni di freddo intenso dove congelava anche il grasso degli ingranaggi.
Gli uomini di Scott con una delle slitte a motore
A tutti gli effetti… “Si trattava di una gara, per Amundsen. Anche per Scott lo era, benché finga disinteresse, convinto che lo spirito di competizione non sia proprio di un gentlemen. Il tragico eroismo è ciò che illumina la mente di Scott; la rispettabile vittoria senza inutili rischi quel che anima costantemente Amundsen.” (Matteo Nucci ne “Il Messaggero” del 23 dicembre 2011, in un servizio dedicato all’Anniversario).
Anche altri Autori sottolineano questo aspetto:
“Scott era imbottito di ideali eroici; Amundsen voleva semplicemente raggiungere il Polo. Scott seguiva la tradizione romantica dell’eroismo come sofferenza; Amundsen veniva da una cultura che non vedeva alcun merito nell’esporre la vita e la salute del corpo a rischi non necessari” (Giovanna Repetto nella recensione al libro di Huntford).
L’epilogo tragico
La scoperta dei cadaveri congelati di Scott e degli sfortunati compagni di spedizione (tranne Oates, mai ritrovato) avvenne il 12 novembre ad opera di un gruppo di soccorso partito dal campo base; i corpi si trovavano a meno di 15 chilometri dal campo intermedio. La neve aveva quasi totalmente coperto la tenda dove avevano cercato riparo.
Dopo aver raccolto gli effetti personali, i diari, i dati meteorologici di Bowers, le pellicole fotografiche e dei campioni geologici, i corpi del gruppo del Polo Sud vennero coperti con la tenda e fu eretto sopra di essi un cumulo di neve. In cima furono posti degli sci a formare una croce.
Il tumulo sul luogo della morte di Scott, Wilson e Bowers
La morte di Scott e degli altri partecipanti alla spedizione al Polo Sud raccolse tutta l’attenzione del grande pubblico tanto da mettere in secondo piano perfino il primato raggiunto da Amundsen. Vasta risonanza ebbero anche le esequie solenni che si svolsero nella Saint Paul’s Cathedral a Londra. Per molti anni l’immagine di Scott come un eroe tragico, al di là di qualche rimprovero, rimase immutata.
Le analisi e le critiche sulle due spedizioni furono formulate solo dopo molti anni.
A distanza si rese evidente anche la grandezza dell’ultima grande avventura dell’uomo prima della più recente corsa dello spazio.
Attività in Antartide nel corso del XX secolo (cliccare per ingrandire)
Mappa dell’Antartide con le varie spedizioni di conquista. Analizzando attentamente la mappa vi si trovano i viaggi che abbiamo descritto: quelli di Amundsen e di Scott che convergono sul Polo sud e quello successivo del Shackleton (con l’Endurance) dal 1914 al 1917
Sulla targa apposta al Polo Sud si leggono due frasi: dal diario di Amundsen (14 dicembre 1911): ““Così siamo arrivati e abbiamo innalzato la nostra bandiera al Polo Sud”; e di Scott (17 gennaio 1912): “Il Polo Sud, sì, ma in condizioni molto diverse da quelle che ci aspettavamo”
Al Polo Sud si trova la “Amundsen-Scott South Pole Station”, costruita nel 1958 in occasione dell’Anno Internazionale della Geofisica e abitata tutto l’anno da ricercatori e personale di supporto
Note dell’Autore
E’ vivamente raccomandata la lettura (v. allegato file .pdf) di un servizio di Stefano Malatesta comparso su “Repubblica” qualche anno fa: La grande corsa. Da Domenica di Repubblica. 11.12.2011
[Shackleton e gli altri (4). La drammatica conquista del Polo Sud- Continua]
