A prima vista potrebbe rappresentare il titolo di un premio estivo per odontoiatri, ma non è così. Sentite qua.
Era l’estate del 1966; mentre l’Inghilterra vinceva a Londra il suo primo e unico titolo mondiale e l’Italia veniva subito eliminata dai mondiali di calcio per un gol di un misconosciuto sedicente dentista nordcoreano, il famoso e temibile Pak Doo Ik, io avevo 17 anni ed ero a Ponza per i ‘consueti’ quattro mesi estivi di vacanze.
Mi tormentava (come forse la nazionale di calcio) una carie e spesso il dente (primo molare inferiore sinistro) era motivo di malumore, oltre che di evidenti difficoltà masticatorie. Avevo bisogno di un Pak Doo Ik che mi risolvesse il dramma.
Zio Dario Coppa (cugino in primo grado di mio padre) era stato a lungo il medico dell’isola di Pianosa e del suo penitenziario, ritirandosi successivamente a Ponza. La sua abitazione e il suo ambulatorio li aveva alla fine della salita di Via Roma, sopra l’emporio “Musella”. Sapeva fare il medico a 360° e, per questo, era anche un bravo e stimato dentista
Mi recai da lui; lo ricordo bene, alto e autorevole nel suo camice bianco, una carnagione rosa e più chiara del suo camice stesso, un sorriso misurato e rassicurante, tono di voce basso e pacato (“british style”, per intenderci), due splendide mani con delle dita lunghe e affusolate.
La sua poltrona da dentista era sobria e spartana ed io mi ci accomodavo con rispetto e soggezione.
Lì, con l’estate, cominciò la cura della mia carie, con appuntamenti settimanali. Ogni volta, col trapano, un po’ più di lavoro; in bocca ogni volta quell’inconfondibile sapore di chiodo di garofano (un piccolo ciuffetto d’ovatta imbevuto di quell’antico anestetico locale), una otturazione provvisoria e appuntamento alla settimana successiva.
Finì l’estate, la carie fu curata e venne apposta l’otturazione definitiva.
Zio Dario, uomo di classe di altri tempi, era probo e mite; personalità eclettica e proteiforme; amava e sapeva dipingere, conosceva l’arte della fotografia, con tecnica raffinata di sviluppo e stampa; aveva tutti gli strumenti del tornitore, del fabbro, del falegname e dell’elettricista e sapeva svolgere questi mestieri con abilità e maestria, ognuno in uno spazio idoneo ricavato e dedicato, frutto della solitudine e delle necessità della vita trascorsa a Pianosa.
Adorato dalla moglie, zia Ester, e da due bellissime figlie, Dirce e Maria, alla sua dipartita ha voluto lasciarmi in eredità (oltre al limpido e cristallino esempio della sua professione) tutto lo strumentario dei ferri chirurgici per l’assistenza al parto.
Insieme a lui e a Luigino Murolo (suo grande amico e grande sarto ponzese) sono stato spesso a pesca di “sorci” a Palmarola; se c’era mare agitato, ci riparavamo nelle insenatura del faraglione della Guardia. Di poche parole, ma di deliziosi e coinvolgenti sorrisi (abituato ai silenzi di Pianosa), riporto, di lui, un consiglio e un pensiero.
Il consiglio: usare il sedano e le carote per “pulirsi” i denti al posto del tecnologico spazzolino.
Il pensiero: la risposta che fornì al signore che gli chiedeva cosa provasse una donna nel partorire (perdendo, per l’occasione, il suo “british style”): “si faccia cucire l’orifizio anale e si beva mezzo litro di olio di ricino”.
Zio Dario, una carie per l’estate, una cura per l’estate di tanto tempo fa.
Nota
sul sito un altro ricordo di Dario Coppa, di Rita Bosso: leggi qui