Si era negli anni ’50 e la gita domenicale più ambita e preferita dalla mia famiglia, era quella di andare a Napoli, precisamente al porto di Napoli, a “visitare” i transatlantici, orgoglio della nostra marina. Sì, perché, con il permesso e l’autorizzazione del fratello di mio papà (Silverio Guarino come me), comandante del porto di Napoli, potevamo salire su queste meravigliose navi, che, in attesa dei jet supersonici di là da venire, permettevano allora di solcare gli oceani per raggiungere gli Stati Uniti d’America e altri stati oltremare.
Con quanta allegria e con quanta curiosità, accompagnati dal personale dedicato alle visite, io e mia sorella Luisa ci rincorrevamo nei lunghi corridoi, nei saloni e nei ponti di navi che avevano navigato nell’oceano Atlantico! Ne ricordo ancora i nomi e il loro imponente e maestoso aspetto: Il Conte Biancamano e l’Oceania.
Ma di questo zio “virtuale” non c’era traccia: mai visto, né sentito; la sua presenza si manifestava solo nella autorevolezza della sua persona che, al solo nominarla, ci faceva spalancare le porte e le entrate dei transatlantici ormeggiati nel porto di Napoli.
Sarà che questo zio aveva diviso la famiglia Guarino per aver preso in moglie una signora di Ventotene (la signora Carmela) e per amore si era allontanato, sarà per motivi che ignoravo e che continuo ad ignorare, ma questo zio Silverio comandante del porto di Napoli, io e mia sorella, non lo avevamo mai visto.
Estate 1956: arriva a Ponza una nuova motonave della SPAN, l’Isola di Ponza, direttamente da Napoli. Comandante della nave il mio mitico zio Silverio Guarino, che giunge sulla sua isola per consegnare ai suoi abitanti un mezzo veloce, elegante e rivoluzionario nella tecnologia.
Vengo identificato come eligibile a consegnare un fascio di fiori (gladioli, mi pare) al Comandante Guarino, essendo, oltretutto suo nipote diretto e con molto DNA in comune.
Salgo la scaletta con emozione, reggendo il fascio di fiori e vengo folgorato dalla sua persona: era lui, lo zio Silverio tanto nominato e mai visto prima; dentro di me mi dico: “Assomiglia tutto a papà, solo è un po’ più basso e un po’ più cicciottello; ma con quella divisa della marina militare, di un bianco strepitoso, è uno schianto, mi fa mancare il respiro”.
Sono veramente orgoglioso di essere lì in quel posto ed in quel momento, ma, mentre gli porgo i fiori, riesco solo a dire, con voce tremante: “…sono il figlio di vostro fratello Francesco…”
Quel mitico zio Silverio si sciolse in una piccola, contenuta, lacrima d’amore e mi abbracciò forte forte.
Ricordo ancora l’emozione di allora e quella di adesso.
Zio Silverio l’ho successivamente rivisto solo un’altra volta, nel dicembre del 1960, quando morì mio papà, poi, mai più.
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Immagini dei transatlantici “Conte Biancamano” (in copertina e a inizio articolo) e “Oceania” (qui sopra)