di Luisa Guarino
Era il 30 aprile quando sul sito mi sono imbattuta in uno degli articoli che Mimma Califano ha dedicato allo ‘stracquo’, un argomento affascinante e ricco di spunti curiosi. Il pezzo si intitolava “Quand’ iévem marina marina… scoglie scoglie…” (leggi qui).
Prima però di addentrarmi nel racconto, sempre gradevole, colorito e pieno di particolari interessanti e anche poco conosciuti, confesso che sono rimasta folgorata dall’immagine che accompagnava lo scritto, una tavola di legno portata dalle onde, sulla quale Silverio Mazzella ha dipinto una scena squisitamente ponzese ‘d’antan’.
Sullo sfondo del faro della Punta del molo, ‘il lanternino’ dall’inconfondibile colore rosso pompeiano, due uomini a terra sorvegliano un compressore che porta ossigeno a un palombaro che si trova sott’acqua… e si è appena imbattuto in una sirena con i capelli biondi e due conchiglie a mo’ di reggiseno.
Il flashback è immediato, e mi riporta a quando ero bambina e a Ponza si lavorava alla costruzione della banchina tra Punta Bianca e Sant’Antonio, successivamente anche ampliata. Prima di quella primitiva costruzione, il mare lambiva i piedi delle case, tant’è che io e mio fratello Silverio pescavamo, o calavamo il cestino con un osso ‘di vaccina’ per attirare gli ‘sfunnoli’ direttamente in acqua dal balconcino della Macelleria di zio Totonno Guarino, su Corso Pisacane.
All’epoca, quando ero bambina appunto, nell’osteria “Il rifugio dei naviganti” di nonna Fortunata e zia Concettina, in Via Roma (attualmente ristorante “Chez Cocò”) venivano molti avventori. Ma ce n’era uno che a tutt’oggi ricordo perfettamente. Era un palombaro che lavorava alla preparazione del fondo marino, sottoposto a scavi e simili, proprio in vista della costruzione della banchina. Ricordo che non era molto alto: giovane, moro con gli occhi scuri, di origine sarda se ricordo bene. Ogni volta che veniva nel locale mi cercava subito, e mi regalava conchiglie bellissime, di quelle picchiettate o tutte marrone che sembrano di porcellana (cipree?!).
Ebbene, quel palombaro dello stracquo di Silverio Mazzella me lo ricorda tanto: potrebbe essere lui; la sirena certo non sono io, ma grazie a quell’immagine posso continuare a sognare e a rivivere momenti che credevo di aver perso per sempre.
Ah, dimenticavo: quello stracquo che mi ha stregato ora è in casa mia. E continua a incantarmi ogni giorno.
Silverio Guarino
6 Agosto 2014 at 22:11
“Sconcilli”, sorellina, non “sfunnoli”.