“Io ricamavo pesci e ogni pesce che ricamavo, giuravo di non mangiarlo più in vita mia. E allora, feci un patto con Dio,
e il patto era che sinché c’erano pesci in mare e io ne avevo sempre di nuovi da ricamare,
Dio, per compenso, s’impegnava a farti tornare da me”
(Horcynus Orca, Mondadori, 1982, p. 837)
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È nell’aspettare che si consuma una donna? Che trova, nel tempo che passa senza nessuna notizia, la forza per continuare a contare: i giorni, i minuti, le lune e i corni di luna, ché quando la luna cala e sembra non doversi più riaccendere, allora allignano giornate nere, come se senza il lume di quelle notti anche le giornate non sapessero che farsene del sole, e aspettano la notte per contare quanta spartenza c’è ancora, quanto c’è ancora da punteggiare sulla tela per ricamare pesci, per tessere trame di lino, di seta, di tempo che affida al lino e alla seta il ritorno?
A quale tempo si affidano le donne che aspettano? Che aspettano per davvero l’uomo che hanno eletto a zito, anzi, a marito, quando ancora erano muccuse che si differenziavano dal maschio solo perché non pipiavano stando in piedi ma sedute sui calcagni?
Il tempo.
Goccia a goccia nel gran mare del sentimento, di quell’andare e venire della mano sul telaio del destino, di quel disegno di pesci, ché tanti ne ha il mare, e il patto con Dio è quello di permettere al mare di non esaurire le sue creature perché ci sia, ancora per un giorno, di che individuare una forma, una pinna, un certo colore di squame.
Quanto conta l’illusione nel gioco a controbattere, a scommettere, a buttare sul tavolo della sorte i dadi truccati dall’amore?
Perché è l’amore che chiama e mette legacci, che infila il pensiero nelle agugliate, e lo torce intorno alle caviglie dell’uomo lontano: agugliate di pensiero, agugliate di desìo, e quando la mano tira il filo, l’uomo risponde, e seguendo quel filo di pensiero, non si sa come, non si sa per quale magarìa, torna.
Anche se sopra di lui è passata la guerra, anche se la morte l’ha pigliato di mira e sempre gli è andata appresso, guardandolo e carezzandolo come la grande sdiregnatrice che è; torna andando dritto per una strada che sembra tracciata da qualcuno che sta sopra di tutti, e in questo stare sopra di tutti, riversa la sapienza antica.
Dio, che guarda e si diverte? Dio che ha bisogno di essere distratto? E come?
Contandogli una storia.
E come si fa a contare storie a Dio visto che è il sommamente sciente, il sommamente saputo?
Le muccuse non lo sanno, però ci provano, tentano un patto con quel Dio: se Tu me lo fai tornare, se Tu me lo riporti qui, sano e valente, integro nel corpo e nel pensiero, io ti ricamo tutti i pesci del mare.
E Dio che fa?
Accetta la sfida e pure Lui s’appunta alla tela, e guarda la mano che giorno per giorno ricama l’alalonga e la ricciola, il palamito, lo spada e la spadessa; e nel seguire il lento trapungere di ago e filo, chissà che non resta imbrogliato pure Lui, incantesimato dentro la speranza che ci sia un punto ultimo, e allora la storia si compone precisa davanti agli occhi suoi, e tutti i pesci del mare conosciuto, sono lì, ex voto che annunciano la vittoria: ecco, è qui, è tornato, ora lo posso vedere, lo posso sentire, gli posso carezzare il cuore. E nel guardarlo e nel contemplarlo, il cuore s’acquieta, si placa l’ardore dell’attesa, gli occhi si riposano, la mente si riposa e smette di contare il tempo, d’inseguire il giorno e la notte, la luna e il suo restare nel cielo come lampada che caccia la cecità.
“I pesci, finire? Se tu non tornavi mai, allora sì, per forza che mi finivano. Ma io andavo tanto lenta da spasimare (…) E poi, se anche finivano” – aggiunse con occhi di sfida -“non appena Dio voltava gli occhi, pigliavo i centrini e mi mettevo a sfilarli punto per punto, così cominciavo sempre daccapo” (p. 838)
Note
Questi scritti di Tea Ranno sono comparsi originariamente sulla rivista “O” di Omero, Scuola di Scrittura www.omero.it. Vengono ripresi su Ponza racconta perr gentile concessione dell’Autrice.
Per le puntate precedenti, digita – Horcynus Orca – nel riquadro CERCA NEL SITO, in Frontespizio.
Immagini del presente articolo: da opere di Cornelis M. Escher (1898-1972)
[Horcynus Orca. Ritratti di donne (3). Marosa– Continua]