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Arrivati al villaggio ci sedemmo con una delegazione di saggi del villaggio, raccolti sotto un albero a parlare, dopo che ci era stato offerto il thè di rito.
Tutti guardavano Emanuela come se fosse una marziana, infatti non avevano mai visto una donna bianca. I bambini del villaggio scappavano impauriti, rifugiandosi
nelle capanne, fatte di mattoni di fango e paglia come nella Bibbia.
La paura dell’uomo nero da un diverso punto di vista, a ruoli scambiati..!
Passò più di un’ora prima di riuscire a tranquillizzare quei poveri bambini che poi fecero a gara poter toccare Emanuela.
Leo era venerato come un divinità perché era riuscito a portare una pompa a mano fino al villaggio quando il pozzo distava 500 metri.
Non riuscivano a capire che magia avesse mai compiuto, perché l’acqua l’avevano sempre presa camminando fino al pozzo e riempiendo delle sacche di pelle di capra!
Leo mi disse che qualunque progetto pagato dall’Unione Europea doveva essere perfettamente funzionante minimo per un anno, pena la cancellazione del pagamento.
Durante la conversazione con i membri del villaggio, tutti sistemati sotto un baobab, notai che il sistema di dialogo era molto primitivo: mentre il tipo del governo parlava, il capo villaggio ripeteva le stesse parole come un sottofondo, una cantilena che accompagnava con movimenti della testa. Lo stesso fece il rappresentante governativo che aveva studiato a La Sorbonne.
Riunione col capo villaggio; Leonardo è quello seduto all’estremo dx della foto
L’organizzazione del villaggio era così fatta:
i ragazzi alla mattina portavano mucche e capre al pascolo, facendo ritorno la sera; le donne pestavano il miglio con dei pezzi di legno per fare la farina; tenevano i piccoli appesi con un telo annodato dietro alla schiena. Gli uomini costruivano e riparavano le capanne oppure andavano a caccia. Quel pezzo di territorio era sufficiente a sfamare una comunità di non oltre 400 unità!
Impossibile inserire altre famiglie al villaggio perché quel poco non bastava per tutti.
Tutto era di tutti e veniva ripartito con delle regole ben precise.
C’era una grande pietra, una sorta di basamento, poggiata su delle colonne di roccia alte non più di un metro dove si riuniva il gran consiglio del villaggio. Era la sala riunioni dove venivano prese le decisioni più importanti e si era obbligati a stare seduti perché il soffitto era molto basso.
Le dimensioni della sala riunioni (una sorta di dolmen) erano volute – mi spiegò Leo – poiché se la discussione diveniva molto accesa o addirittura violenta, chi si fosse alzato per andare a colpire l’avversario avrebbe dato una testata alla roccia tale da cadere a terra tramortito; allora tutti avrebbero riso e la discussione sarebbe ripartita senza rancori.
Tanti sono gli accorgimenti in uso presso il popolo dei villaggi maliani, con temperature di oltre 40 gradi, senza negozi, senza corrente, senza agricoltura e senza acqua, a due passi dal deserto. Credo che davvero loro siano capaci di fare miracoli.
Nella parte nord del Mali si trova l’antica città di Timbuctu, sulle rive del fiume Niger.
Nei pressi della città si trova un famoso carcere francese, composto da un solo muro in mezzo al deserto senza sbarre né catene per i detenuti che vengono lasciati liberi (si fa per dire). Una volta alla settimana arrivava un camion e lasciava acqua e viveri a sufficienza fino all’arrivo del prossimo camion. Impossibile scappare perché dopo due ore di cammino nel deserto si muore.
Un’altra cosa che mi ha colpito è stato incontrare in questi villaggi dei bianchi che facevano volontariato: sporchi e puzzolenti da far paura. Svolgendo il loro compito perdevano, se si può dire, la loro dignità, mentre i neri, pur nella loro miseria, mi apparivano molto ma molto più dignitosi.
In Mali i copertoni non muoiono mai: si usano per l’auto, poi sui carretti, poi diventano parabordi per le barche, poi suole per le scarpe e infine combustibile per cucinare.
Si commercia tutto e niente, la gente cammina senza sembrare mai stanca, avvolta durante il cammino in una magica polvere rosa, quella speciale del tramonto nella savana.
Le foto in bianco e nero sono una gentile concessione del fotografo Robbi Hüner
Dedicato all’amico Leo Lombardi, grande camminatore
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[Viaggio in Mali con l’amico Leo Lombardi, geologo. (2) – Fine]