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Ai primi di Maggio del ’78, il nove precisamente, si compì il destino di Peppino Impastato.
Era un ragazzo che aveva qualche anno più di me che credeva nelle stesse cose in cui credevano tanti giovani, di quel tempo.
Ma lui lo faceva in un comune della Sicilia occidentale: a Cinisi, alle porte di Palermo.
Peppino Impastato era figlio di un piccolo boss mafioso e da quando è nato ha “respirato” quell’aria.
Con gli anni ha però sviluppato un forte senso di critica verso il suo mondo e piano piano, attraverso un percorso di maturazione è diventato punto di riferimento per tanti giovani della sua zona che cercavano di scrollarsi di dosso la cappa mafiosa, che decideva della vita e della morte di quanti abitavano da quelle parti.
Mentre in giro per l’Italia non era poi così complicato fare “l’estremista” – forse era anche un po’ alla moda- farlo in Sicilia poteva significare rischiare la pelle.
Peppino Impastato lo sapeva e lo sapeva anche suo padre che, pur con tutti i suoi difetti, cercò di far cambiare idea al figlio, soprattutto per salvargli la vita.
Ci provò in tutti i modi e i suoi sforzi ebbero come unico risultato quello di essere ammazzato prima di Peppino.
Cosa aveva fatto di così grave Peppino Impastato per meritarsi tutto questo?
Aveva avuto il coraggio di denunciare le malefatte della cupola mafiosa che aveva a capo Tano Badalamenti, che comandava tutta quella zona e che aveva in programma di arricchirsi ulteriormente mettendo le mani su un’area di grande bellezza ambientale.
Peppino aveva usato come strumento di comunicazione una radio “libera” che insieme ad alcuni amici aveva messo su: Radio Aut.
Aveva coinvolto un bel gruppo di ragazzi e insieme a loro ne aveva fatto una voce veramente libera in quel pezzo di mondo dove nulla succedeva se “zu Tanu” non voleva.
Peppino aveva scoperto che mai in piazza i suoi compaesani avrebbero manifestato liberamente le proprie idee o ascoltato un suo comizio.
Nel chiuso delle loro case lo facevano attraverso le onde di Radio Aut.
E “zu Tanu” lo sapeva.
Le parole di quel ragazzo erano pericolose, erano contagiose.
Raccontavano soprattutto del fatto che si poteva parlare anche male del potere, quando questo era ingiusto.
E Peppino venne ammazzato per aver avuto il coraggio di dire alcune verità.
Venne ammazzato e si fece credere che era il solito estremista “alla Feltrinelli” suicidatosi mentre faceva saltare qualche metro di rotaia delle ferrovie.
Destino volle che queste cose successero in concomitanza che la barbara uccisione di Aldo Moro: il leader di un partito “immobile” che aveva avuto il coraggio di sognare un futuro diverso per l’Italia, insieme ad Enrico Berlinguer.
Quei giorni di tragedia furono lo spartiacque tra due pezzi importanti della storia del nostro paese: la stagione delle speranze e dei sogni condivisi e quella del “non cambierà mai niente in Italia”.
In quei giorni si regolarono parecchi conti nel nostro paese e quanti avevano pensato ad un altro modo d essere della politica vennero messi all’angolo davanti ad una domanda molto semplice: o si sta con lo “Stato” o con le Brigate Rosse.
Per Stato si intendeva il sistema che aveva governato il paese – maggioranza e opposizioni – dalla fine della seconda guerra mondiale.
Per chi non accettava questo dilemma non c’era posto.
Peppino Impastato fu una importante ragione per continuare ad andare avanti: lui che non aveva mai retrocesso davanti alle prepotenze dei mafiosi in Sicilia, arrivando a morire per le sue idee, non poteva essere dimenticato o, peggio ancora, infangato con la storia della sua morte in un attentato.
Ricordo ancora quella sera del nove maggio – quasi dappertutto, oltre alle manifestazioni di piazza, vennero organizzati dei consigli comunali “aperti” – quando rivendicammo con orgoglio il nostro diritto a pensare “anche altro”.
Avere un “nostro martire” ci aiutò a superare quei giorni bui.
Da subito si chiese di cercare gli assassini di Peppino e i loro mandanti che abitavano a “Cento passi” da casa sua.
Da quel momento tutte le opportunità sono state utilizzate per denunciare la morte di Peppino.
La sua morte è stato il peggior affare per “zu Tanu”.
Dovette scappare in America e comunque alla fine venne condannato anche per l’omicidio di Peppino.
La madre di Peppino, suo fratello Giovanni, Umberto Santino e altri hanno continuato a conservare il ricordo di Peppino anche con il centro a lui dedicato.
Il film di Marco Tullio Giordana “I Cento Passi” (2000) ha fatto un buon lavoro di ricostruzione storica raccontando, oltre all’impegno, anche le “piccole” cose di tutti i giorni: la paura, gli amori, la poesia.
Con Peppino e con la morte di Aldo Moro comunque finì una grande stagione di impegno, almeno per tanti della mia generazione.
Ci ritrovanno ancora tante volte ma il “sogno” si era interrotto e il risveglio fu molto amaro.
Eravamo ancora in tanti insieme, fianco a fianco, ai primi di dicembre dell’80 in Irpinia, dopo il terremoto che massacrò quella terra.
Era come sperare di nuovo ma per molti fu solo un salutarsi.
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Guarda e ascolta qui su YouTube delle scene del film di Giordana con la canzone “I cento passi” dei Modena City Ramblers (nell’album Viva la vida, muera la muerte! del 2004)
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Teresa Denurra
9 Maggio 2014 at 16:58
Contributo molto bello. Fondamentale non dimenticare mai Peppino Impastato, la sua vita e il suo coraggio. E che emozione quel contributo con il film “I cento passi”, la musica dei Modena City Ramblers e tutti quei pugni chiusi levati al cielo!
Grazie.