di Giuliano Massari
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Pubblichiamo, su richiesta della Redazione prontamente esaudita, ed esplicitamente in memoria di Giustino da poco scomparso, le prime pagine (Premessa) del più recente libro di Giuliano Massari dedicato alla vita del Fieno.
So di aver attraversato un mare rosso
in un corteo di ranghi serrati,
così avanzava il 1900.
So di aver esultato, meno, però insieme.
Da qualche parte mi dovrò fermare,
vederli proseguire senza di me.
Mi consola che non si accorgeranno.
Rimango volentieri nel deserto,
il posto più capace di ricoprire un corpo con il vento.
[Erri De Luca: “E disse”; 2011]
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Πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός – Tutte le cose della vita si modificano.
Alcune più lentamente e ne riusciamo a prendere coscienza. Altre, più veloci, non danno tempo.
Anche l’area del Fieno ha avuto le sue modificazioni ma soltanto di alcune possiamo individuare gli aspetti che li hanno caratterizzati.
E’ mia intenzione di raccontare un periodo, quello dell’ultimo quarto di secolo, di cui oggi si parla quasi mitizzandolo, per restituirlo alla storia isolana, con tutte le attenzioni ed il rispetto per una piccola storia vissuta da pochi e poco raccontata, sfrondata da contaminazioni spesso lontane dal vero e da fantasiosi racconti.
E che può essere parte delle tante straordinarie piccole storie che non sono mai raccontate!
Per quello che è stato prima di questo periodo, complimenti e per quello che sarà, auguri.
Il sentiero del Fieno. Immagine tratta dal DVD “Viarelle e parracine” di Nino Picicco, 2013.
Naturalmente mi sono avvalso di più memorie ma sopratutto della autorevole consulenza e dei ricordi di Giustino Mazzella a cui devo, con alcuni altri, anni indimenticabili
della mia vita.
Intorno agli anni sessanta era cominciato per Ponza il confronto con una nuova realtà: il turismo.
L’impatto con un modo di vivere diverso, quello turistico spesso esasperato nella breve durata della vacanza, il confronto con un benessere che poteva essere alla portata, la possibilità di proventi meno dolorosi di quelli derivanti dalla attività su una terra inventata e strappata alla “montagna”, la vincente concorrenza dei prodotti agricoli e della vigna portati dalla nave, aveva provocato nei giovani il rifiuto del bidente e l’interesse per nuove attività di tipo commerciale e il graduale, straziante disincanto dei vecchi che venivano avvertendo, con i cambiamenti, la vanità delle loro fatiche.
E in aree come quella del Fieno non ci potevano essere ricambi.
Mi racconta Giustino che soltanto alcuni anni prima di quella data vivevano del lavoro al Fieno una diecina di famiglie per una comunità di quasi 100 persone.
Alcuni contadini non c’erano più ed altri lasciarono in quel periodo. Non posso dimenticare Agostiniello Mazzella di S. Maria, ormai di vista debolissima, che cadde vicino al
rudere sopra la Guardia dei Guarini.
Giustino Mazzella. Foto di G. Massari del 1975 ca.
Nel 1955 arrivò Giustino dagli USA: piantò al Fieno la bandiera americana e continuò il lavoro del padre producendo vino che vendeva in un suo locale di S. Antonio con l’insegna THE BEST WINE IN THE ISLAND, dipinta dal “Messicano”, allora pittore di insegne. Sul retro negozio c’era la non meno importante, allora, sede del Circolo dei Cacciatori.
Andava al Fieno tutti i giorni dell’anno con il suo asino e quando dovette sostituirlo con uno più giovane, la nuova Caterina, noi riconoscevamo il suo passaggio dalle deiezioni più piccole del normale, scure e più sode che spesso non si rompevano sul terreno.
Finito il lavoro della vigna, cacciava percorrendo in lungo e per largo tutte le catene nella speranza di fare ‘a arcère, la beccaccia, sempre seguito dal suo fedele amico Gaetano Migliaccio, ‘a jatta, di sopra Giancos che aveva a tracolla una rete con una bottiglia che gli veniva porgendo per dissetarsi.
Una notazione.
Anche ‘a Bufera aveva un’asina di nome Caterina, così che nei miei primi tempi ‘fienili’ mi venne da pensare che a Ponza gli asini si chiamassero Caterina.
Ma poi conobbi la Filomena di Gioì, ormai vecchia e orfana del padrone. Fu data a Luigi ‘u Nero che dopo alcuni anni di vita in comune, provvide ad interrarla.
Gaetano Migliaccio detto ‘a Jatta. Foto di Giuliano Massari del 1975 ca.
Alcuni continuarono la loro attività di vignaroli saltuariamente, quando cioè era il tempo degli adempimenti essenziali per il vigneto come fare la potarella, dare lo zolfo e il verderame, pulire i percorsi scippando l’erba e poi preparare la cantina per la vendemmia.
Adalgiso Coppa aveva un incarico comunale alle acque, Gioì, diminutivo-vezzeggiativo americano di Giuseppe, Albano era diventato ormeggiatore, Giulillo, Angelo Migliaccio, aveva l’incarico di presidente della Coldiretti ponzese, Antonio Conte impegnato nelle attività commerciali del suocero Silverio Scotti conosciuto come Ninotto ed infine Carminuccio Pagano, detto ‘bboffacazone dal soprannome del suocero, che, sbarcato dal “Palmarola”, fu assunto come motorista alla Centrale (SEP) ma il suo primo impegno era di fare compagnia e da spalla alle battute di Ciro Jacono.
Altri invece continuarono “anima e corpo” nelle loro fatiche: avevano quel lavoro e soltanto quello sapevano e avevano fatto per tutta la vita: Luigi Mazzella, detto ‘u Nero, per il suo colorito bruciato dal sole e Silverio Coppa, ‘a Bufera.
“Le Caterine”. Immagini ricavate dai DVD di Rossano Di Loreto e Nino Picicco, 2013
Andavano di prima mattina e, in particolare ‘a Bufera, con qualunque tempo.
Qualche volta si fermavano per fare insieme agli altri ‘a marènna delle 9, soprattutto se c’era da commentare qualche notizia, e con loro pure Adalgiso e Gioì.
L’unico che non perdeva occasione per stare al Fieno ed aspettava con ansia di andare in pensione era Ninotto, Silvio Mazzella, al quale mi hanno legato fino alla fine un grande affetto e amicizia e forse ammirazione quale inconsapevole interprete “beat” della propria esistenza.
Ma di lui avrò altre opportunità di parlare.
Alcuni di coloro chiamavano spesso a lavorare “a giornata” o “a forfait”, Biagio Coppa, ‘u cantoniere, Guido Scotti tornato dagli USA come Liberato Mazzella e Pasquale Mazzella, a tutti noto come Pascale Bbùm per una probabile difficoltà di udito e che forse vi teneva anche qualche terra di parenti.
Il rendiconto delle presenze che ho appena descritto, metteva in evidenza la trasformazione in atto e la situazione che si veniva configurando:
– la maggior parte dei coltivatori rimasti avevano altri lavori più redditizi e sicuramente meno faticosi;
– altri dovevano continuare con lo stesso antico accanimento le fatiche di sempre perché di quello vivevano;
– soltanto due, Giustino e Ninotto, non dovevano vivere della campagna. Lavoravano certo alla vigna, ma non la terra per la quale si servivano di aiuti.
Ho sempre pensato che fosse stata una forte scelta di vita, oltre le considerazioni che riguardavano la proprietà, a trattenerli al Fieno.
Ma erano in pochi. Erano le sentinelle del Fieno e per questo invitavano spesso gli amici, orgogliosi di offrire il proprio vino e perfino speravano che si presentasse qualche sconosciuto turista.
Come quella volta che ero nella cantina di Ninotto. Comparve sulla porta uno sconosciuto e subito Ninotto lo invitò a bere un bicchiere di vino.
Parlammo un po’ fino a che lo sconosciuto chiese a Ninotto, indicandomi, se fossi suo figlio. Lo cacciò dalla cantina.
Ma il desiderio era stare insieme. E bere del vino insieme a quelli che lo amano e che, sconosciuti, si amano.
E poi, come afferma il celebre enologo Giacomo Tachis, il vino ama il respiro del mare.
E a questo si deve quel Fieno che mi accingo a raccontare.
Un segnale di continuità viene soprattutto da Antonio De Luca che, negli ultimi decenni del secolo scorso, decise di riavviare i vigneti della famiglia e di realizzare un ricovero che nel tempo, mi dicono, si è venuto trasformando in uno straordinario luogo di poesia dove spesso si ritira e vi accoglie gli amici che lo raggiungono dai più vari paesi del mondo.
Una sola volta ci sono sceso, quando ancora non era quello delle descrizioni che mi hanno fatto e delle numerose foto che ho avuto occasione di vedere.
Mi sembra un luogo affatato. Bene!
Ancora il mio ringraziamento a:
– Giustino Mazzella che ha aderito a collaborare nella redazione di questi ricordi, che mi ha dato assistenza tecnica e con il quale abbiamo avuto qualche momento di nostalgia,
– Luigino Mazzella che è sempre stato il mio silenzioso riferimento,
– il prof. Silverio Lamonica, che tormento come consulente filologico e grammaticale e per la collaborazione,
– Rossano Di Loreto e Nino Picicco per le immagini che mi hanno consentito di ricavare dai loro filmati,
– tutti coloro che mi hanno aiutato coscienti che, anche se fatto da un forastiero, questo lavoro è, e rimane, soltanto per loro.
Le palette. Giuliano Massari, 1993. Acrilico su tela, cm. 50×50. Propr. Miriam Sabatini Valenti.