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In corrispondenza con la pubblicazione del mio nuovo libro sulla “ponzesità” vorrei esplicitare le motivazioni che hanno suscitato il mio impegno alla scrittura.
Non faccio pubblicità commerciale perché il libro è scaricabile in file inviando la richiesta alla mail: [email protected]
L’avvio me lo ha indotto l’analisi che in questi ultimi anni ho elaborato sulla condizione in cui versa la comunità ponzese, e la conseguente evoluzione che prevedo.
In parte sono considerazioni simili a quelle che scrivo ripetutamente su questo Sito, solo che nel libro c’è una intelaiatura omogenea, una struttura unica che le raccoglie, le unisce, ne chiarisce ancor più il significato.
Ebbene la conclusione dell’analisi cui ho sottoposto la vita ponzese porta ad affermare che la “ponzesità” ovvero il complesso delle caratteristiche culturali ed esistenziali della comunità ponzese, è in agonia. Sta gradatamente assottigliandosi negli elementi quantitativi, e ciò contribuisce ad uno svilimento progressivo degli elementi qualitativi.
La caratteristica vita degli isolani si sta disperdendo anche perché gli isolani stanno abbandonando l’isola.
Consapevole di questa nefasta deriva ho sentito il dovere morale di impegnarmi a portare chiarimento, a incrementare la consapevolezza del fenomeno.
Perché dovere morale? Perché credo di essere stato inadempiente negli anni passati al dovere civico di partecipare alla vita ponzese, di contribuire al suo miglioramento con la denuncia, con l’indignazione, con la collaborazione, con la condivisione.
E’ una responsabilità che estendo a tanti ma che tocca in prima battuta a me. Sento di avere un debito con la mia comunità e in qualche modo voglio saldarlo. Come?
Anche scrivendo della nostra cultura, della nostra esistenza, dicendo quello che va adeguato e quello che va deprecato.
Anatomia di un libro: sì, perché paleserò punto per punto come l’ho costruito.
Da come sto argomentando viene spontaneo immaginare che sia un saggio illustrativo degli aspetti sociali, economici, antropologici, e via dicendo. NO, non l’ho costruito come un saggio che esamina l’esistente, scandaglia le cause e illustra gli sbocchi. NO. Questo modello l’ho già utilizzato con Ponza: quale futuro?, di cui la cultura ponzese non ha tratto alcun elemento (A causa della pochezza del contenuto, certamente! Non posso pensare che la classe dirigente di allora – anni ’80 – fosse così insipiente da far finta di non vederlo!)
Il saggio (come tipologia di scrittura) è indigesto, ne ho concluso. Perciò questa volta ho seguito la strada della vita quotidiana. Non è un esclusivo parlare alla mente dei ponzesi, ho voluto parlare anche al cuore, ai sentimenti che si provano.
Ed ecco perché: Frammenti di umanità.
Presenti, tali frammenti, nei personaggi del passato, nelle vicende dell’infanzia, nelle valutazioni storiche della vita isolana, nel presente.
Da quanto dico è lontana ogni valutazione estetica sul contenuto (ché non sta a me giudicare). Sto soltanto illustrando la struttura del libro, non il suo peso.
Prossimamente la seconda parte.
vincenzo
6 Aprile 2014 at 12:35
Così ancora una volta scrivi:
“Ponza: quale futuro?, di cui la cultura ponzese non ha tratto alcun elemento (A causa della pochezza del contenuto, certamente! Non posso pensare che la classe dirigente di allora – anni ’80 – fosse così insipiente da far finta di non vederlo!)”
Caro Franco purtroppo è una costante la tua quella di denigrare, di sottovalutare quello che fai, ma se lo fai volutamente, per falsa modestia allora ti dico che sbagli due volte: Ponza ha fallito ed è colpa di chi l’ha governata.
Ponza quale futuro per me è stato illuminante e tutta la strategia di quel Partito Socialista di cui in quegli anni ero segretario, era ispirata da quel saggio.
I ponzesi erano culturalmente borbonici, plasmati ad essere familisti e individualisti, la classe dirigente non poteva che fare un’altra politica e cercare consenso nella società ma non attraverso la mediazione ma attraverso lo scontro tra conservatori e progressisti e anche il nostro partito era pieno.
Ti ricordi appoggiammo in una prima fase i progetti Castalia, ma poi dovemmo retrocedere perché quei progetti avevano regie occulte, ma la nostra politica ambientalista creò una spaccatura e quando si formò quel comitato cittadino capeggiato da molti socialisti dissidenti dalla linea della segreteria, guidato da Gazzotti, con Corvisieri e compagnia bella e che portarono all’incoronazione di Balzano gli unici che non poterono entrare in quel comitato erano i membri del direttivo del PSI perché erano AMBIENTALISTI.
Vedi quando ti volevi presentare alle passate elezioni io sono venuto alla prima tua riunione e poi ho mandato dei messaggi attraverso Franco Ambrosino che la vostra azione non aveva una strategia, (cadde nel vuoto) quella Ponza, quella di due anni fa aveva bisogno di un Sindaco che non facesse il piacione in mezzo ad una cultura Borbonica ma che ripetesse capitolo per capitolo quelle tesi (di Ponza quale futuro) e alla fine dicesse: ragazzi io sono pronto a scendere in campo ma non vi aspettate da me di fare quello che avete sempre fatto, questo è uno sbagliato e ci sta portando al fallimento.
Franco al contrario di quello che pensi io ho apprezzato e in parte fatto mio quel saggio di molti anni fa.
Francesco De Luca
6 Aprile 2014 at 19:26
Ringrazio per gli apprezzamenti, Vincenzo.
Sandro Russo
9 Aprile 2014 at 10:33
Una domanda (forse ingenua) a Vincenzo Ambrosino, ma la chiarezza sintattica è imposta dal mio ruolo di redattore…
Il fatto è che una sola virgola, in un testo, può cambiare tutto il senso; famoso l’esempio della Sibilla che faceva vaticini polivalenti (ambigui?) utilizzabili per ogni interpretazione.
Ibis redibis non morieris in bello – diceva la Sibilla
E i suoi ascoltatori si arrovellavano sul significato…
Che avrà voluto dire?
Ibis, redibis non, morieris in bello (andrai, non tornerai, morirai in guerra)
Oppure:
Ibis, redibis, non morieris in bello? (andrai, tornerai, non morirai in guerra)
Tornando a mondi meno sibillini… Che volevi dire nel tuo commento con queste due righe?
– “questo è uno sbagliato e ci sta portando al fallimento” – nel senso di: Questo (che avete sempre fatto) è sbagliato e ci sta portando al fallimento.
Oppure: Questo (sindaco) è sbagliato e ci sta portando al fallimento.
Propenderei per la prima opzione, ma chiariscilo a tutti, per favore
vincenzo
9 Aprile 2014 at 11:14
Sang’ e Retunne, anzi Gigin’ il maestro, è la prova vivente di che cos’è la cultura borbonica, individualista, familista: “tutto non solo po’ servì, ma tutto adda servi’ a’ famiglia”.
Questa cultura continua ad essere utile all’individuo ma è uno sbaglio per la collettività e ci sta portando al fallimento”.
Non ci sono alternative politiche culturali e quindi economiche che si possono improvvisare, quando ero segretario negli anni 80 sono stato coerente con queste idee ma anche alle ultime elezioni ho preso l’iniziativa di bloccarle (per creare le premesse di una riflessione collettiva) e oggi sto tentando attraverso le interviste di fare uscire almeno le idee che stanno alla base di azioni quotidiane di governo, di opposizione e di vita associata.
Un passo in avanti è far riconoscere le Associazioni Culturali e farle diventare un’organizzazione funzionale alla salvaguardia della continuità culturale-sociale ed economica della nostra comunità.
L’alternativa al fallimento che è spinta dalla cultura individualista è instillare la cultura cooperativista. E’ su questo che dovremmo lavorare tutti, senza indugio.
Ciao Sandro.