.
Sono giorni di scenari fantastici, sogni lontani prendono tratti e figurazione. Non irreali, al contrario, giorni più reali di altri perché quello che oggi Ponza spalanca agli occhi può essere impreziosito dalle descrizioni degli scrittori di avventure di mare, lì dove narrano che agli occhi di navigati marinai si apre la vista di una terra adagiata sul mare, rigogliosa di colori sui colli silenti.
Sul mare scivoloso la nave, quasi timorosa di infrangere la superficie, tanto essa è calma, ora viene abbracciata da un golfo invitante. C’è aria offuscata da nebbiolina che il sole, anch’esso fioco, non scioglie. Scende dai colli e ristagna nella baia. Allegra e vivace. Un asino raglia e rompe i rumori.
Porto fatato o infido?
“Attenti a quella Torre!”. Dall’alto incute soggezione!
Nello sguardo il volo agitato del falco per un po’ cattura, poi si perde nel vasto dell’azzurro, strappato da rondini perse.
Dove sono gli uomini in questa terra? Non possono essere insensibili alla primavera! Sebbene non si esalti, essa si dispiega sorniona.
Una barchetta rossa rasenta le grotte di Pilato, quasi immobile. In attesa che l’esca solletichi il polpo a ghermirla. Lento anche lui, riottoso.
“Dove siamo ? Ciurma… preparatevi… qui rimarremo fino a che non guariremo le ferite della nave!” – Grida il comando dell’adolescente capitano Roland Eagle, che lascia le pagine dell’ “Intrepido” e viene a curiosare questa realtà marina sospesa, dove gli uomini soggiacciono alla natura regnante.
Tanto è rarefatta quest’aria di primavera che la mente non ce la fa a rimanere avvinta al concreto, è invogliata a librarsi nella fantasia, e sostare.
Ancora oggi Ponza spinge a queste fantasie. Ancora. Ed ecco perché può sorreggere le aspettative di ambientazioni televisive scevre da attualità – leggi qui Mimma Califano.
Qui in poco tempo la natura muta scenario: basta che da sud-est si insinui il vento, la luce allora ruota sui toni del grigio per la massa di nuvole che avanza.
I gabbiani ritornano sui picchi scelti per il nido e con rito ossessivo si assicurano la fedeltà della coppia; i rami coi fiorellini gialli si lasciano al vento che li tormenta.
Il veliero è in subbuglio. Sulla coperta i marinai attendono ordini. Il capitano sa bene che la partita non si chiude mai e dispone affinché la nave si tolga dall’insidia del mare, ora ingrossato.
“Addio capitano della mia infanzia. Va per il tuo destino errante. Ti ritroverò in un altro sogno, se ne avrò l’agio”.
Parte Roland Eagle, e giungono con l’aria sporca del sud torme di uccelli migratori.
Dovranno sostare qualche giorno per riprendersi dalla pesante trasvolata.
Qui saranno il sorriso di questi poggi e di noi, superstiti dell’inverno.
Sandro Russo
30 Marzo 2014 at 05:59
Grazie Franco, per aver resuscitato ricordi e nomi sommersi dai decenni…
E come no?! Tra quelli che tenevano per il Monello o per l’Intrepido io ero per quest’ultimo (…ma c’erano anche gli ultras di Capitan Miki e del grande Blek)
E Roland Eagle a quei tempi si pronunciava esattamente come si scriveva: e-a-g-l-e, malgrado l’insistita iconografia dell’aquila. Anzi, quando per forza di cose ho dovuto rinominarlo Roland Ìgol non è stato più lo stesso!