di Ike Brokoph (Ulrike)
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Continua e si conclude, con questa quarta puntata – un’intervista e un’escursione a Palmarola con Domenico Musco e la moglie Emanuela –
il reportage su Ponza di Christoph B. Keller, giornalista della radio svizzera.
Il servizio è stato realizzato la scorsa estate (2013) ed è qui presentato come è stato tradotto e sintetizzato da Ike .
La Redazione
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Il giorno dopo Keller va a Palmarola e intervista Domenico Musco e la moglie Emanuela che lo accompagnano sulla piccola isola a sei miglia da Ponza.
Emanuela ha lasciato il suo lavoro a Roma per dedicarsi al turismo a Ponza, dove gestisce l’impresa di famiglia di affitto gommoni; Domenico è in pensione.
Keller ha la conferma alle impressioni che ha già avuto in precedenza; gli intervistati – come dicono anche dei loro amici – “sono stufi della situazione di Ponza che è andata peggiorando negli anni, tanto che vorrebbero andare via dall’isola.
Si lamentano della mancanza di libertà, delle troppe regole, della globalizzazione applicata solo come vincolo; rilevano che non c’è più rispetto del paesaggio e del territorio. Trovano che la Comunità Europea vuole inserirsi in ogni aspetto della vita dell’isola (regole per gli alimenti, per l’igiene, per come costruire le case, sulle piante da usare) e tutto viene deciso lontano dal qui, a Roma o a Bruxelles.
Manca un partner, la presenza di uno Stato che sia veramente al tuo fianco… – con questi discorsi si arriva a Palmarola.
Il giornalista si rende conto che Ponza ha più volte vinto ma altrettante ha perso.
Sua nota: hanno raggiunto, gli abitanti dell’isola, il benessere economico, ma hanno perso l’autonomia; perso il loro carattere unico, la qualità della vita quotidiana, come anche la forza e la perseveranza che avevano caratterizzato la vita dei isolani.
Sono stati eliminati gli aspetti di povertà, arretratezza e isolamento ma si è persa anche l’originalità, in cambio di entrate fisse, della schiavitù e adeguamento alle regole europee. Con la burocratizzazione delle decisioni, la presenza dello Stato e della burocrazia in tutte le questioni. Anche le donne in questo processo hanno perso il loro potere (v. note sul matriarcato di G. Mazzella).
Arrivati a Palmarola il gruppo è ospite a casa di Antonio. Insieme si mangiano spaghetti con pomodorini del giardino del padrone di casa: – “il piatto di spaghetti più delizioso che abbia mai mangiato” – annota il giornalista.
Antonio mostra loro il giardino e la grotta abitabile, racconta come la costruivano e l’importanza delle abitazioni ipogee sia a Palmarola che a Ponza.
Parla con amore dell’isola, delle piante che si usavano a Palmarola (lenticchie, vino, grano resistente alle intemperie) e conclude che adesso ormai è tutto finito; solo lui viene regolarmente da Formia dove lavora in una ditta di surgelati, con sua moglie Anna da San Pietroburgo. L’energia è autogenerata con un pannello solare e acqua c’è. L’unica cosa che lo infastidisce sono i vicini,” le Fendi”, che arrivano in estate con l’elicottero.
Il giornalista prende nota che “Antonio è forse l’unico isolano che merita questo nome: un po’ solitario ma testardo, isolato, autonomo, un po’ scurrile ma originale, un uomo di mare che sa che apprezza la solidità della terra sotto i piedi. Lui preferisce di vivere da solitario, lontano dal tam tam. Si vede ad ogni gesto che ama quest’isola; si sente un confinato dal mondo esterno che è lontano ma presente, e a tratti invadente.
Con Domenico ed Emanuela si torna a Ponza.
Vengono raccontate storie di ponzesi emigrati, del cordone ombelicale che con quest’isola si stabilisce, capace di tenerti legato per la vita e anche oltre la vita all’isola-madre.
E finisce con il commento triste di Domenico che i veri Ponzesi ormai si trovano solo al cimitero: “L’isola è un silenzio parlato”.
…Continuano ad esistere i ponzesi, solo nei racconti, come su Ponza racconta.
Emanuela spiega come è nato il sito – al quale anche lei contribuisce di tanto in tanto – e quanto è importante per l’identità dell’isola: “Una memoria dove vengono salvate e archiviate le tradizioni e contemporaneamente un luogo virtuale dove le persone che vivono qui e si sentono parte di Ponza, possono confrontarsi su questioni politiche e socio-culturali.
Purtroppo la consapevolezza di quello che siamo stati e siamo si sta perdendo, e senza una memoria e una vetrina come Ponza racconta non rimarrebbe più niente”.
Passeggiata finale tra turisti sul Corso. Il pensiero del giornalista vanno dal sito di cui gli hanno parlato, all’isola immaginaria del suo amico…
Annota: “Ponza esiste ancora nei racconti di pochi e quando mancheranno quelli sarà estinta. Resterà di essa un mucchio di pietre, base di alberghi …e turisti, boutique e souvenir, ma senza più alcun significato di isola, non più nella forma che caratterizza un’isola…”.
“Il paradiso quando lo pronunciamo c’è e subito dopo non c’è più. La lingua lo crea e nello stesso momento ce lo porta via” – come diceva la frase dell’amico dell’isola inventata.
Lui va a fare i suoi bagagli e si prepara a partire.
Ritorna a Formia con il suo reportage scritto e intitolato:
“Vita di Isola”, ovvero “Perché Ponza forse non c’è”. Protocollo di un soggiorno su un’isola.
Ponza vista da Palmarola (per tutte le immagini: cliccare per ingrandirle)
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