di Patrizia Angelotti
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Al Convegno del 1990 organizzato a Firenze dalla “Lega per i diritti e la liberazione dei popoli” partecipò anche il poeta Ferhad Shakely (Kirkuk, Iraq; 1951) che esordì dicendo: “La storia della poesia kurda ci offre un quadro interessante sul ruolo e sulle condizioni della letteratura in una nazione oppressa…”.
Attraverso un excursus storico-letterario dimostrò come l’oppressione e lo strazio di un popolo abbiano trovato nel passato e trovino ancora voce nelle poesie: una voce piena di dolore e di amore.
Shakely spiegò che l’emergere della poesia kurda risale, per opinione condivisa, all’instaurazione dei principati kurdi nel XVI secolo.
Fu l’impero ottomano che, per contrastare l’impero safavide, rafforzò i principati kurdi all’interno del proprio territorio e ne creò di nuovi “allo scopo di edificare una muraglia di carne e di sangue per proteggere i suoi confini”.
Uno dei principali “…fu quello di Botan con capitale Jazira che divenne un centro importante della cultura kurda e dove fu creata la prima scuola di poesia classica kurda nel dialetto kurmandji settentrionale.
Mala-y Jaziri (1570-1640) fu il principale rappresentante di questa scuola e un eccellente rappresentante della poesia classica orientale in generale…”.
Nei suoi versi l’amore per una donna e per Dio si intrecciano, ma non mancano elementi di ‘patriottismo sentimentale’, come lo definisce Shakely che cita altri nomi: Mala Ahmad-i Batayi (1414-‘95) che scrisse per primo in kurdo poesie sulla nascita di Maometto; Faqe Tayran (1590-1660) le cui poesie più famose sono quelle scritte a Mala-y Jaziri.
Uno dei più eminenti poeti kurdi fu Ahmad-i Xânî (1651-1707) che “…ancora oggi -dice Shakely nel 1990 – esercita la propria influenza sui poeti kurdi e i suoi ideali di patriottismo sono ancora in voga”.
La sua opera più importante è ‘Mam û Zîn’ che Shakely definisce “uno squisito esempio di poema epico orientale classico” e che con la citazione dei poeti sunnominati e di altri costituisce il primo riferimento di storia della letteratura kurda, anche se per una rassegna più ampia occorrerà ancora un secolo. Inoltre Xâni scrisse il primo dizionario kurdo, in versi arabo-kurdi.
La fine del XIX secolo e l’inizio del XX costituirono un periodo di grandi mutamenti non solo per i kurdi, per tutti i popoli della regione che “…lottavano per far risorgere le loro lingue, culture e storie nazionali… contro il giogo ottomano…
Come risultato di questo risveglio delle nazionalità fiorirono numerose organizzazioni e ci fu un’esplosione di libri, riviste e giornali.
Questi furono gli strumenti che i popoli, compresi i kurdi, usarono nella loro lotta.
Il primo giornale in kurdo fu pubblicato in questo periodo; si chiamava ‘Kurdistan’ e uscì per la prima volta al Cairo il 22 aprile 1898…”.
La pubblicazione fu estesa ad alcune città europee e uscirono 31 numeri fino al 1902.
Nel 1908 il sultano dovette concedere maggiori diritti ai popoli, per cui vi furono nuove riviste e nuovi giornali in kurdo.
La prima guerra mondiale segnò purtroppo la tragedia per il popolo kurdo; alla fine di essa con lo smembramento dell’impero ottomano: “…il paese fu diviso e il suo destino coloniale fu sancito dal trattato di pace di Losanna nel 1923… a Sèvres nel 1920 era stato proposto che anche i kurdi avessero il loro stato indipendente, questa promessa fu però sacrificata a ragioni di convenienza politica”.
Fu quindi in queste condizioni di popolo diviso in cinque stati che emerse la poesia kurda moderna.
Secondo Shakely “…il primo poeta moderno importante fu Nuri Shex Salih (1905-‘58) che introdusse tra l’altro le idee del modernismo nella critica letteraria… ma che a causa del suo crescente impegno politico non poté assurgere ad una posizione rilevante nella poesia kurda.
Il poeta che indubbiamente portò una rivoluzione nella poesia kurda fu Abdulla Goran (1904-’62), chiamato anche il padre del modernismo kurdo”.
Il merito principale di Goran fu quello di aver liberato la poesia kurda da ingerenze e appesantimenti avvenuti nei secoli da parte di stranieri, soprattutto arabi.
Egli “…le diede una forma, un ritmo, una lingua e un contenuto che erano basati sulla realtà, sulla cultura, sulla natura e sulle tradizioni kurde.
Il metro arabo (uruz), assai usato in tutta la poesia islamica dell’oriente, fu sostituito con modelli presi dagli antichi canti popolari kurdi… I temi dominanti nella poesia di Goran sono il suo ideale di libertà e il suo amore per il Kurdistan, per le donne e per la natura.
Il suo modo di rappresentare la natura è unico nell’ambito della letteratura kurda; in questo e in altri aspetti Goran rivela familiarità con i principali autori d’avanguardia europei”.
L’opinione di Shakely è che, dopo la divisione del Kurdistan, il centro della cultura kurda fosse la parte meridionale, ossia quella divenuta irachena.
Dopo varie vicissitudini, l’11 marzo del 1970 il governo dell’Iraq fu costretto a firmare un accordo con il movimento di liberazione, in quattro anni i kurdi ottennero che “…il kurdo fosse la lingua ufficiale in tutte le scuole della regione kurda, di nuovo decine di riviste furono pubblicate e crebbe il numero dei giornali, i kurdi poterono costituire la loro Unione degli scrittori, la loro Accademia delle scienze e una Università a Sulaymani. Il nuovo sviluppo portò anche una nuova generazione di poeti… che cominciarono a gettare le basi di una nuova epoca nella letteratura kurda… La lotta per abbattere i confini eretti dai nemici è un tema fondamentale nella loro scrittura. La loro non è più soltanto una voce kurda, ma la voce del Kurdistan, e come tale una voce universale…”.
Queste aspirazioni non potevano che sfociare in nuove lotte, ma il movimento di liberazione venne sconfitto nel 1975 con l’accordo firmato tra Iraq e Iran. Le armi furono prese di nuovo in varie parti del Kurdistan a partire dal 1976.
“La nuova generazione di poeti che ne è emersa agli inizi degli anni 70 è cresciuta in questo contesto e ne è stata fortemente influenzata.
Tra i poeti di maggior successo di questa nuova generazione ci sono: Latif Halmet, Sherko Bekas, Abdulla Pashew, Ferhad Shakely, Anwar Qadir Muhammad e Rafiq Sabir.
Le loro poesie trattano spesso dell’oppressione del popolo kurdo, privato dei suoi diritti fondamentali e del mondo che parla di solidarietà, di umanesimo e di giustizia, ma poi sostiene gli oppressori…
I poeti dovettero percorrere strade diverse dopo il 1975; molti furono costretti a lasciare il Kurdistan e ora vivono in esilio in diverse parti del mondo”.
Io vado madre
Io vado, madre.
Se non torno,
sarò fiore di questa montagna,
frammento di terra per un mondo
più grande di questo.
Io vado, madre.
Se non torno,
il corpo esploderà là dove si tortura
e lo spirito flagellerà,
come l’uragano, tutte le porte.
Io vado… madre…
Se non torno,
la mia anima sarà parola …
per tutti i poeti.
(Abdulla Goran)
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Come pietra paziente (2012) – Film drammatico di co-produzione franco-afgana sulla condizione della donna musulmana nei paesi in guerra, diretto da Atiq Rahimi. Tra gli interpreti, l’attrice iraniana Golshifteh Farahani (nella foto)
Calze
Fuori, il freddo dicembre
ha reso muto il vento.
Dentro, lei siede
tutta sola.
Come agnellini
intorno a lei dormono i suoi figli.
Suo marito, da molti anni ormai,
è un uragano che insegue
l’amore di queste montagne.
Lei siede tutta sola
lei sembra un salice piangente,
il capo curvo sul grembo.
Lavora e lavora e lavora
per finire il paio di calze di lana
che lui le ha chiesto.
A mezzanotte saranno pronte.
Ma lei non sa
che quando quel paio di calze arriverà
dov’è il suo uomo,
a lui, servirà soltanto la sinistra.
(Sherko Bekas; 1940 – 2013)
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Nota.
Spunti e citazioni sono presi dalla rivista ‘I diritti dei popoli’, anno 1990
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[L’etnia kurda. (5) – Continua]