di Francesco Ferraiuolo (Franco)
.
Per la prima parte, leggi qui
.
Occorre, quindi, una politica che si faccia carico di creare le condizioni per allargare al più presto i confini della prospettiva occupazionale; sia perché il lavoro è un diritto di ogni uomo ed in quanto tale va rispettato, concesso e tutelato, sia perché la sfida imposta dalla disoccupazione ha già assunto le sembianze di una drammatica lotta che se, anche da noi, non venisse affrontata e superata per tempo, probabilmente non lascerebbe spazio ad alcuna prova d’appello.
Ma le prospettive del lavoro nel campo turistico vanno promosse, incrementate e rese stabili anche nella messa in campo di una politica per i trasporti marittimi e terrestri, per la portualità, per il traffico, per lo smaltimento dei rifiuti urbani, per il rifornimento idrico, per la sanità, per la tutela delle caratteristiche ambientali e paesaggistiche, che fanno delle nostre isole opportunità uniche nel mondo, nell’ottica e per l’ottimale svolgimento dell’attività turistica.
Occorre, a quest’ultimo proposito, lavorare tenacemente affinché l’opinione pubblica isolana acquisisca una solida e consapevole “coscienza ecologica”, che consenta l’adozione di alcune fondamentali regole ampiamente condivise in grado di stabilire un rapporto più equilibrato e razionale tra le esigenze del progresso umano in senso lato e l’improrogabile necessità di salvare l’habitat naturale, che è l’elemento fondamentale dell’opzione turistica verso i nostri lidi.
Anche nel campo della pesca, che costituisce l’altra vocazione occupazionale locale, seppure di minore portata rispetto al turismo, assistiamo ad una perdita di posti di lavoro, sia per effetto di dismissioni o demolizioni di barche da pesca, i cui armatori non ritengono più remunerativo il loro impiego a fronte di un pescato divenuto, anno dopo anno, sempre più esiguo (a causa del fatto che le moderne e sempre più sofisticate tecniche di pesca hanno consentito quantitativi di prelievo sempre più alti al punto che le specie ittiche stentano a riprodursi ed a rigenerarsi), sia perché è entrata in vigore la legge comunitaria che vieta la pesca del pesce spada con le reti derivanti, facendo venire meno una delle più importanti voci nel panorama economico locale.
Anche qui s’imporrebbe un’iniziativa, quanto meno per prevedere degli ammortizzatori sociali fino a quando tale forza lavorativa non trovi nuovi sbocchi occupazionali, previa nuova qualificazione.
Oggi, viviamo ormai in quella che viene definita la “società dell’informazione” e immaginando le straordinarie potenzialità che possono essere attribuite all’informatica e comunque ad ogni dispositivo tecnologico catalogabile entro i confini dell’automazione e della computerizzazione delle attività dell’uomo possiamo dire (e qui sono d’accordo con vari autori che hanno scritto sulla materia) che “saranno senz’altro agevolati i programmi e le fatiche umane a casa come a scuola, per strada o sul posto di lavoro, fino a mutare sensibilmente le modalità stesse con cui vengono vissute e praticate le diverse mansioni riconducibili a ciascuno dei vari campi operativi, tanto che tutto questo avrà senz’altro sempre più influenza sul piano dell’occupazione in futuro”.
E allora anche su questo aspetto s’impone una riflessione.
Pensando al domani in termini di prospettiva innovativa significa “prepararsi ad un diverso tipo di coesistenza con i nuovi prodotti tecnologici, le cui finalità appaiono talvolta a sostituire addirittura completamente il lavoro dell’uomo”.
Una caratteristica risiede nel fatto che tali nuove tecnologie, annullando le distanze, muovono a vantaggio dei posti isolati, nel senso che non è più l’uomo a raggiungere il lavoro ma è lo stesso che raggiunge l’uomo.
Mi riferisco al “tele-lavoro” che nel futuro avrà sempre maggiore applicazione e che potrebbe costituire una grande risorsa per l’isola, dando occupazione a tanti giovani ed evitando la loro emigrazione in continente, a patto, però, che l’informatica diventi un elemento di applicazione reale nei corsi di studio, a cominciare già dall’inizio della vita scolastica.
Concludendo, la condizione giovanile, la disoccupazione, il lavoro, mi sembrano, tra gli altri, i problemi che all’inizio del terzo millennio si presentano con sicuri connotati di incognita e incertezza.
Alla politica, alle istituzioni, a tutti noi spetta una grande responsabilità in ordine alla soluzione di tali problemi.
S’impone una sfida complessa e difficile, che sembra non si sia ben compresa visti i provvedimenti adottati, alcune volte imposti dall’incalzare degli eventi, ma sostanzialmente orientati, insieme all’azione amministrativa, più alla gestione del quotidiano che ad un ampio disegno prospettico.
Spetta a tutte le forze politiche, alle organizzazioni di categoria, alle associazioni che si occupano di problemi e di attività sociali, alle realtà ecclesiali nel loro ruolo pastorale, ai soggetti culturali presenti sul territorio, stimolare con forza il dibattito su questi temi al fine di pervenire ad un disegno comune ed unanimemente condiviso, presentando un aggiornato progetto politico proiettato nel futuro, visto che, sotto molti aspetti, sembra già di essere nel futuro, nel senso che il presente stesso è in continuo divenire e la società pone continue sfide dinamiche.
Molti anni fa, nel corso della visita pastorale dell’Arcivescovo Farano alle scuole di Ponza, un ragazzo della scuola media disse che noi ponzesi siamo isolani e isolati; probabilmente, voleva dire anche che ognuno di noi è un’isola nell’isola.
Questo fatto mi è sempre rimasto particolarmente impresso perché da esso ho dedotto l’enorme difficoltà locale a creare un afflato unitario quale base tanto necessaria ed indispensabile per il conseguimento della soluzione dei problemi della nostra comunità.
Sembra che quello di pensare alle nostre private cose, ritenendo che tocchi ad altri di occuparsi del prossimo e dei suoi problemi, sia una nostra specifica peculiarità che crea una disgregazione congenita della nostra società.
Anche quando facciamo politica abbiamo, non di rado, l’occhio obliquo che guarda più alle nostre ambizioni, ai nostri interessi personali, della nostra famiglia, dei nostri amici.
Ma i nostri problemi che sono di particolare specie e gravità, potranno essere affrontati in maniera proficua e veramente risolutiva con la compattezza, la solidarietà, l’unità della popolazione, la valorizzazione delle competenze e dell’esperienze presenti in campo; anche dibattendoli, se vogliamo, aspramente, a patto però che la critica non sia, come spesso avviene, asfittica, calunniosa, dispettosa, distruttiva.
Solo così si potrà pervenire, finalmente, ad un programma, patrimonio della coscienza civica, attraverso la cui realizzazione si possa sperare in un futuro di progresso materiale, ma anche impostare le condizioni che possono permettere all’uomo di esprimere appieno la propria spiritualità, così che questo inizio del terzo millennio diventi il principio di un nuovo futuro di serenità e prosperità per tutti noi.
Dall’instaurazione di un nuovo dialogo, tutti dovremmo buttarci alle spalle le vecchie contrapposizioni per operare serenamente riflessioni pertinenti e doverose e, sulle convinzioni maturate, metterci a lavorare sodo, perché il tempo è tiranno e le scelte per il futuro, non più procrastinabili, ci obbligano ad essere formiche e non cicale.
[Contributo su Politica e Spopolamento. (2) – Fine]