di Vincenzo (Enzo) Di Fazio
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Qualche giorno fa ci ha lasciato Giuseppe Mazzella, da tutti conosciuto come Peppe ‘i Sigarette. Delle doti umane e delle capacità marinaresche di questa persona eccezionale hanno già detto su questo sito Franco Schiano (leggi qui), Anna Laura Tocco (leggi qui) e Silverio Lamonica (leggi qui)
Personalmente ho un bellissimo ricordo di Peppe e del suo rinomato bastimento legato ad un episodio che voglio raccontare.
(Il papà Vincenzino al varo – cantieri di Baia anno 1945 – dagli archivi di Navi e Armatori)
Erano gli anni 60, forse il 1962 o ’63. A quell’epoca studiavo a Sessa Aurunca in collegio (il Convitto Nazionale Agostino Nifo che ha ospitato tanti studenti ponzesi), e si tornava a casa di norma solo per le feste pasquali e per quelle natalizie.
Capitava ogni tanto, però, per dei favori che ci concedeva il calendario, di poter beneficiare di tre/quattro giorni anche al di fuori delle ricorrenze canoniche.
L’occasione ci fu data quell’anno da un “ponte”, forse l’anniversario della liberazione del 25 aprile o la festa del lavoro del 1° maggio, non ricordo bene; ricordo, comunque, che era bel tempo e le giornate già da qualche mese si nutrivano sempre più di luce.
A quei tempi i collegamenti con Ponza erano affidati alla SPAN e la nave era l’Isola di Ponza che partiva tutti i pomeriggi dalla banchina Vespucci.
Per raggiungere Formia da Sessa Aurunca si prendeva la corriera, un mezzo di trasporto che ho cominciato ad odiare proprio negli anni del collegio per quel modo traballante di andare lungo le curve del tragitto e per l’odore acre della nafta che avvertivi appena vi salivi sopra e lasciavi solo quando scendevi. Per me erano un tormento quei viaggi al punto di vergognarmi, da ragazzo “navigato” qual ero che non aveva mai sofferto il mal di mare, dover ammettere che la corriera invece mi dava un gran fastidio.
Quel giorno la mia disistima nei confronti della corriera raggiunse l’apice perché fece avaria lungo il percorso ed arrivò a Formia con oltre un’ora di ritardo quando la nave per Ponza aveva appena lasciato gli ormeggi e cominciava ad allontanarsi dalla banchina.
Era con me Salvatore Migliaccio, anche lui convittore e compagno di “sventura”. A nulla valse la corsa verso il porto tesa quasi a voler far tornare indietro la nave. Arrivammo giù che “l’Isola di Ponza” stava già lambendo il braccio destro del molo con la prua pronta a prendere il largo.
Fummo presi da un senso di tristezza mista a rabbia. Ci sentivamo respinti in quella costrizione di dover tornare indietro. Potevamo, sì, sostare all’albergo Marino di piazza Santa Teresa, locanda-rifugio di tutti i ponzesi, e partire l’indomani, ma perdere un giorno per noi che avevamo così poche possibilità di andare a casa era veramente una iattura.
Stavamo appunto incamminandoci verso l’albergo quando ci sentimmo chiamare da una voce “ponzese”.
Era Peppe, appena sceso dal “papà Vincenzino”, il bastimento a due alberi attraccato di fianco alla banchina, unica imbarcazione presente in quel momento nel porto oltre ad alcuni mezzi della guardia di finanza.
Conoscevamo Peppe e lui conosceva noi, soprattutto per via della conoscenza che aveva dei nostri padri.
Ci venne incontro sorridendo come faceva abitualmente con tutti e ci disse che, se volevamo, poteva portarci lui a Ponza. Il mare era calmo ed il viaggio sarebbe stato buono. Dovevamo solo arrangiarci prendendo posto sotto la prua ove erano attrezzate alla buona due cuccette. Il papà Vincenzino sarebbe, però, salpato, dopo aver completato le operazioni di carico, intorno a mezzanotte per arrivare alle cinque, cinque e mezzo a Ponza.
Ovviamente accettammo, sia perché si andava a casa, sia perché avremmo vissuto l’esperienza, unica e forse irripetibile, di fare un viaggio in bastimento.
I bastimenti in quegli anni rappresentavano una presenza costante nelle acque di Ponza venendo utilizzati per trasportare, oltre che derrate alimentari, anche materiali da costruzione, come la pozzolana, la calce ed i mattoni molto richiesti per le nuove costruzioni e le ristrutturazioni che lo sviluppo turistico in atto incentivava.
Bastimenti erano anche presso i cantieri della spiaggia di Santa Maria come ci ricordano alcune belle cartoline dell’epoca.
Bastimenti in miniatura, li vedevo costruire – rimanendone affascinato – dal capitano Raffaele Sandolo (l’autore dell’affresco situato nella volta dell’altare maggiore della Chiesa SS. Trintà di Ponza) quando, scendendo dagli Scotti, passavo per il suo laboratorio di Via Scarpellini.
I bastimenti erano le imbarcazioni che preferivo disegnare.
Da piccolo li vedevo simili ai galeoni con cui sognavo avventurarmi mentre leggevo le “Storie di pirati” di Daniel Defoe…
Quella notte ci avrei viaggiato.
Salimmo a bordo utilizzando come passerella un tavolone di legno grezzo che collegava la banchina alla murata e che, prima di partire, i marinai avrebbero issato a bordo. Le stive erano piene di merci e le fiancate dello scafo fuoriuscivano dall’acqua solo di qualche palmo.
Se il mare non fosse stato piatto sarebbe stato sicuramente necessario tenere a bada ansia ed apprensione.
Peppe ci guidò un po’ per il bastimento. Ci mostrò il motore e la cabina con la plancia di comando dove erano sistemati il grande timone e la colonnina con la bussola ad acqua. Tutto ci apparve costruito all’insegna dell’essenzialità con lo spazio utilizzato soprattutto per ospitare le stive. Molto spartane le cuccette come la saletta dove ci si raccoglieva per consumare i pasti.
Ci accompagnò, poi, verso il posto dove avremmo potuto riposare durante il viaggio. Sotto il ponte di prua c’erano due cuccette simili a delle panche che nei lati appoggiati al fasciame seguivano, curve come erano, la conformazione dello scafo. Un piccolo bordo lungo tutto il perimetro tratteneva il materassino per evitare che con i movimenti dell’imbarcazione potesse scivolare a terra. C’erano abbastanza coperte con cui proteggersi dall’umidità notturna.
Ricordo quell’ambiente dominato da una certa confusione che la fioca luce di una lampada legata ad un gancio non aiutava a dirimere. Non ho un ricordo preciso delle cose che vi fossero, certamente delle corde ammassate, forse dei teli accatastati ed anche delle casse. Non c’era molto spazio per muoversi e tra gli odori che si percepivano prevalevano quelli del cordame e della stoppa incatramata con cui si erano saldate le fessure del fasciame.
Peppe nel darci la buonanotte ci disse di non preoccuparci se, lungo il viaggio, avessimo sentito qualche rumore sospetto…”doveva esserci un topolino di cui non erano ancora riusciti a liberarsi. Attratto dai carichi di farina e grano di qualche tempo prima, forse aspettava l’arrivo dei nuovi…”
La prendemmo come una battuta ma durante il percorso sentimmo veramente dei rumori simili al rosicchiare di un roditore e tanto bastò per tenerci svegli quasi tutta la notte.
A mezzanotte lasciammo il porto. La quiete notturna venne squassata dal vociare dei marinai che si davano i comandi. Il bastimento bene assestato con il suo carico scivolò tranquillo nella calma piatta…
Ci fecero compagnia un bel cielo stellato, il rumore cadenzato e martellante del motore e ovviamente… il pensiero del topolino.
Dalla nostra postazione scorgemmo i colori dell’alba attraverso le fessure della portella.
Arrivammo a Ponza intorno alle cinque e mezzo. L’aria era fresca ma non c’era un alito di vento. Il papà Vincenzino, come d’abitudine, si accostò di fianco alla banchina del molo. Scendemmo, accolti da un intenso profumo di ginestre, utilizzando la stessa grande tavola di legno che ci aveva consentito di salire a Formia.
Infreddoliti e un po’ storditi, ma felici, salutammo Peppe che stringendoci la mano disse: “Uagliù, quanne vulite, ‘u ssapite… i’ cca sto’.”
E per tante persone, nello scorrere degli anni, Peppe c’è veramente stato.
(*) Ecco i dati identificativi, ricavati dal sito www.naviearmatori.net, del “papà Vincenzino”
Goletta (veliero con motore ausiliario) costruita a Baia dal cantiere navale “Corina” nell’anno 1945
Dimensioni: mt. 29,71 x 6,62 x 2,86
Stazza lorda: 107,24 ton.
Stazza netta: 69,79 ton.
Armatore: Silverio Mazzella, Ponza
Migliaccio Salvatore
14 Febbraio 2014 at 15:33
Caro Enzo, ricordo anch’io la traversata notturna col Papà Vincenzino di tanti anni fa (50) resa possibile dalla generosa disponibilità del suo indimenticabile comandante ed armatore. Ricordo bene le cuccette spartane a prua e ‘o sorice che per tutta notte ci tenne desti senza che riuscissimo a catturarlo. Proprio per questo episodio che tu hai così ben descritto acquistai alcuni anni dopo da Pina al Brigantino un bel quadretto raffigurante proprio il bastimento nella rada. Lo conservo tuttora nella casa di Bergamo e ti invierò foto via mail. Una piccola cosa, certo, per conservare memoria di bastimenti e personaggi che hanno fatto da protagonisti un pezzo di storia isolana. E che Protagonisti!
Un saluto carissimo, Salvatore.
giovanni mazzella di regnella
16 Giugno 2014 at 17:29
Buon pomeriggio da Monte di Procida. Le scrivo perché ho letto il suo commento all’articolo ed ho notato che è in possesso di una immagine del Papà Vincenzino che per noi montesi rappresenta l’intera marineria del nostro territorio. Fra l’altro esso appartenne anche alla mia famiglia (Giuseppe Mazzella, omonimo di “Peppino Sigaretta” e suo figlio Orlando, deceduto qualche anno fa a Viareggio, ove si era trasferito per fare il Pilota del porto). Certamente Lei saprà che esso attualmente giace abbandonato su una banchina a Gaeta (potrebbe vedere qualche foto su NAVIEARMATORI.NET). Le chiedo cortesemente di avere copia della immagine in suo possesso per aggiornare la bozza per una futura pubblicazione della marineria montese che è in fase di allestimento dall’Associazione MARINERIA MONTESE della quale sono attualmente il Presidente. Voglia cortesemente inviare a [email protected] . Grazie anticipatamente
Giacomo Recco
17 Febbraio 2014 at 09:55
Caro Enzo, mi sono gustato il tuo racconto come centellinando un calice di nettare prelibatissimo. Il tuo modo di raccontare il vissuto è avvolgente e riesce a crearmi dei labirinti mentali pieni di curiosità ed interesse stimolando la mia mente ai ricordi lontani del primo dopoguerra quando nel porto faceva approdo il due alberi di Peppe Sigarette. Era una bella barca da carico e pertanto evidenziava la sua essenzialità sia strutturale che di conforto.Ma il suo timone era eccelso perchè in buone mani. Peppe ha avuto sempre l’aureola di un grande marinaio. Egli mi era molto familiare; usava il negozio di mio padre come il suo ufficio a Formia. Era il suo recapito per tutto e per tutti. A mio zio, che poi era suo compare, lasciava le ordinazioni di materiale da costruzione. Era un simpaticone, dotato di una cavalleresca spavalderia che ne faceva di lui una persona buona e disponibile.
la Redazione
26 Giugno 2014 at 07:39
Di seguito allo scambio di corrispondenza tra Giovanni Mazzella di Regnella da Monte di Procida, Salvatore Migliaccio da Bergamo e la Redazione siamo venuti in possesso dell’immagine della bella riproduzione del papà Vincenzino di cui ci aveva parlato Salvatore. La riportiamo in calce all’articolo aggiungendo che trattasi di un lavoro del pittore Libero Magnoni, tecnica mista su tavola, fatto probabilmente agli inizi degli anni ’90.