di Adriano Madonna
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Parliamo di pesci e rispondiamo ai quesiti che ci siamo sempre posti: perché un pesce d’acqua salata non può vivere in acqua dolce e viceversa? I pesci hanno cinque sensi come noi? Qual è la loro temperatura corporea? Immergiamoci, dunque, nella scienza affascinante dell’ittiologia.
Quante volte, da bambini (ma anche da adulti), abbiamo chiesto perché un pesce d’acqua dolce non riesca a vivere in acqua salata e viceversa? Abbiamo avuto le risposte più strane e più insoddisfacenti: “Perché non riesce a respirare, perché l’acqua più densa lo uccide…”. La risposta giusta è ben altra, ma, per arrivarci, dobbiamo rifarci a un fenomeno fisico-chimico che si chiama osmosi. L’osmosi spiega che se una membrana semipermeabile separa due soluzioni con diverse concentrazioni saline, l’acqua della soluzione meno concentrata (soluzione ipotonica) attraversa la membrana e va a diluire la soluzione più concentrata (soluzione ipertonica), fino a che le due soluzioni abbiano raggiunto la stessa concentrazione (soluzioni isotoniche). Dopo aver precisato che la membrana semipermeabile (o selettivamente permeabile) è appunto una membrana attraverso cui possono passare solo molecole fino a una certa dimensione, identifichiamo nella membrana semipermeabile la pelle e i tessuti dei pesci. Che cosa accade, dunque, se mettiamo in acqua dolce un pesce di mare? Per il suddetto fenomeno dell’osmosi, l’acqua in cui abbiamo immerso il pesce, avendo una concentrazione inferiore a quella dei suoi liquidi organici, attraverserà la membrana per diluire la soluzione più concentrata. Il risultato sarà che il pesce si gonfierà e morirà. Al contrario, ponendo un pesce di acqua dolce in acqua salata, l’acqua presente nei suoi liquidi vitali tenderà a fuoriuscire, “richiamata” dalla soluzione più concentrata, e il risultato sarà la disidratazione del pesce e la sua morte.
L’osmosi è un fenomeno che regola la stragrande maggioranza dei processi fisiologici animali e vegetali. Tanto per dirne un paio: i liquidi salgono dalla terra fino alla chioma delle piante per osmosi; le nostre cellule e quelle degli organismi viventi in genere espletano numerosissime funzioni grazie all’osmosi. Ma anche nella più semplice quotidianità troviamo presenza di processi osmotici, come, ad esempio, la conservazione delle acciughe in salamoia e il fenomeno è sempre lo stesso: la concentrazione salina della salamoia è enormemente superiore a quella dei liquidi interni delle acciughe, quindi il forte “richiamo” di acqua verso l’esterno le disidraterà, consentendone la conservazione.
Stenoalini ed eurialini
Ritorniamo ai pesci: in linea di massima, essi sono definiti stenoalini, proprio perché vivono in acque con una concentrazione salina uguale a quella dei loro liquidi vitali, ma si deve precisare che ci sono pesci fortemente stenoalini e pesci, che, invece, riescono a sopportare concentrazioni saline diverse e sono definiti eurialini.
Questa tolleranza a concentrazioni saline differenti si deve a particolari meccanismi di cui molti pesci (la maggior parte) sono dotati. Quando, dunque, un pesce passa in un ambiente ipertonico (parliamo sempre di differenze non troppo forti, altrimenti gli effetti dell’osmosi non potrebbero essere controllati), incamera acqua attraverso il canale alimentare, per controbilanciare quella che perde per osmosi, e, contemporaneamente, elimina l’eccesso di sali attraverso le branchie, mentre i reni producono poca urina.
In ambiente ipotonico, invece, le branchie resistono al passaggio d’acqua in entrata e, nello stesso tempo, il pesce emette molta urina. Il deficit salino a cui andrebbe incontro viene scongiurato dal sali ottenuti con il cibo oppure attraverso le mucose della bocca e delle branchie.
Tra i pesci eurialini più comuni vi sono il muggine (il cefalo), in grado di tollerare e bilanciare differenze saline anche forti, tant’è che lo troviamo con facilità in acque salmastre così come in mare, e poi, ancora, la spigola, infatti i pescatori sanno che là dove ci sono sbocchi d’acqua dolce in mare, è facile che si trovino questi pesci.
Un esempio eclatante è quello dello squalo Carcharinus leucas, che imbocca la foce del fiume Gange e risale il sacro fiume per chilometri, assumendo il nome di Carcharinus gangeticus. Risalendo, invece, lo Zambesi, assume il nome di Carcharinus zambesi, così come viene chiamato Carcharinus nicaraguensis quando raggiunge il lago Nicaragua. In ogni caso, comunque, si tratta sempre del Carcharinus leucas.
Essere eurialini rappresenta per i pesci la possibilità di spostarsi in mari diversi, con salinità diverse: ad esempio, la tropicalizzazione del Mediterraneo con l’esodo di specie dal Mar Rosso al Mediterraneo non avrebbe mai avuto luogo se tante specie di pesci non fossero in grado di correggere gli effetti dell’osmosi grazie ai loro meccanismi fisiologici: consideriamo, infatti, che nel Mediterraneo la salinità è circa del 35 per mille, con alcune zone dove si può arrivare al 38 per mille, mentre in Mar Rosso si arriva e si supera una concentrazione salina del 40 per mille.
Secondo la teoria dell’evoluzione, i primi pesci che raggiungono mari diversi, se riescono a sopravvivere per aver prodotto caratteristiche vitali, sono destinati a perfezionarsi nelle generazioni successive, per adattarsi in maniera ottimale al nuovo ambiente.
Anche i pesci migratori che stagionalmente viaggiano intorno al mondo non potrebbero spingersi in acque con parametri salini diversi se non fossero eurialini, infatti le acque verso i poli sono meno concentrate, perché lo scioglimento dei ghiacci le diluisce, mentre quelle dei mari chiusi, come il Mediterraneo e il Mar Rosso, sono più concentrate in ragione dell’alta temperatura dell’aria e, quindi, dell’evaporazione.
La temperatura dei pesci
La nostra temperatura corporea è di circa 37 gradi, e quella dei pesci? La maggior parte dei pesci è a sangue freddo: infatti la temperatura corporea è più o meno uguale alla temperatura ambiente (organismi ectotermi).
La circolazione sanguigna avviene in massima parte attraverso l’aorta dorsale e le vene cardinali, che passano nella parte centrale del corpo, lungo l’asse longitudinale. Vi sono, però, anche alcuni pesci a sangue caldo, la cui temperatura è maggiore di quella ambiente ed è generata da una intensa attività muscolare. I pesci a sangue caldo sono in particolare i pesci migratori, che posseggono una cospicua quantità di sangue e c’è un motivo: un pesce che effettua con continuità viaggi di migliaia di chilometri a velocità di crociera anche sostenute, deve avere necessariamente un apparato muscolare in grado di supportare i mezzi propulsivi. Un sistema così sofisticato e imponente non potrebbe funzionare se non fosse ampiamente irrorato. Nei pesci, i muscoli sono costituiti da fibre rosse e fibre bianche: le fibre rosse decorrono lungo i lati del corpo e sono attive durante il nuoto a qualunque velocità. Ad esempio, i tonni, le ricciole, le lampughe e tutti quei pesci che nuotano a lungo, hanno muscoli ricchi di fibre rosse, che, con la loro attività, producono calore e questo si diffonde a tutto il corpo. Le fibre muscolari bianche, invece, sono fatte per scatti improvvisi, per tratti di nuoto veloce, come quando una ricciola deve piombare addosso a un cefalo per fagocitarlo.
(Schema circolatorio nei pesci)
Per dirla con una espressione nota, le fibre bianche servono per “l’accelerazione e la ripresa”.
Se avrete l’accortezza di togliere con delicatezza la pelle a un pesce lesso, noterete, lungo i fianchi, le fibre bianche e le fibre rosse: queste ultime, di colore scuro, hanno la forma di una “M”.
Come nuotano
Parlando dei grandi pelagici, sorge spontanea una domanda: “Come nuotano i pesci?” Diciamo subito che quanto più un pesce è rigido, tanto più è efficiente nel nuoto. Ad esempio, la murena, che è un pesce “morbido”, è lenta nel nuoto, poiché il suo corpo ha un andamento ondulante che oppone resistenza all’acqua. Di contro, una spigola, un muggine e, ancora meglio, un tonno, una ricciola, un pesce spada, sono caratterizzati da un corpo molto più rigido, che consente alle onde di contrazione muscolare di trasmettersi lungo il corpo fino alla pinna caudale, muovendola con grande efficienza e generando una forte propulsione, con alti spunti di accelerazione. I pesci più veloci, ma anche i più instancabili, sono il tonno e il pesce spada.
Il senso dell’equilibrio
In tutti gli organismi marini (non solo nei pesci) il senso dell’equilibrio è dato da particolari organi chiamati statorecettori.
In particolare, l’animale reagisce alla forza di gravità (geotassi) mediante le cosiddette statocisti, consistenti in cavità comunicanti con l’esterno in cui sono contenuti dei copuscoli detti statoliti, che, per effetto della forza di gravità, scendono verso il basso e stimolano delle cellule che tappezzano le pareti delle statocisti. Quando l’animale si muove, gli statoliti si spostano e, attraverso le cellule che toccano, forniscono l’informazione sulla posizione assunta dall’animale, che può essere corretta riportando gli statoliti alla posizione d’origine. Nei pesci, gli statorecettori si trovano nelle strutture del capo.
Olfatto e gusto
In genere, gli animali avvertono la presenza di varie sostanze perché alcune cellule, in loro presenza, accusano una sorta di “irritabilità del protoplasma”. Tutti gli animali acquatici, pesci compresi, sono dotati di organi speciali chiamati chemiorecettori, in grado di provocare le loro reazioni in presenza di cibo. Con lo stesso sistema, l’animale percepisce un predone in avvicinamento e se ne tiene alla larga. Ricordiamo che molti pesci, quando vengono attaccati e morsi, liberano in acqua, dalla cute ferita, alcune sostanze, le famose “sostanze d’allarme”, che vengono percepite dagli altri componenti del branco come un segnale della presenza del predatore.
Dobbiamo comunque distinguere tra chemiorecettori gustativi e chemiorecettori olfattivi: i primi sono sensibili a sostanze molto concentrate, come il cibo, mentre i chemiorecettori olfattivi, più sofisticati, riescono a percepire sostanze diffuse nell’acqua con concentrazioni molto basse. Un esempio limite è dato da alcune specie di squali, che riescono a registrare la presenza di sangue in acqua nella proporzione di una parte di sangue disciolta in più di cento milioni di parti d’acqua.
Nei pesci, siano essi a scheletro osseo (osteitti), come il cefalo e la spigola, siano essi a scheletro cartilagineo (condroitti), come gli squali e le razze, i chemiorecettori olfattivi sono situati nelle fosse nasali, mentre quelli gustativi si trovano nella bocca, sulle pinne, sulle labbra e in altre zone corporee.
Per questo motivo, un pesce riesce a valutare la bontà di una preda non solo “assaggiandola”, ma addirittura sfiorandola. Queste cellule gustative sono costituite da meccanismi nei quali sono presenti addirittura dei peli sensitivi molto sensibili. Attraverso organi di tal fatta, molti pesci sono in grado di percepire addirittura il grado di salinità e di acidità dell’acqua.
[Come sono fatti. (1) – continua]
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Dott. Adriano Madonna, Biologo Marino, Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Università degli Studi di Napoli Federico II