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Qualche giorno fa ho volentieri rivisto un film che mi è piaciuto molto, sia per i messaggi insiti in esso, sia per le immagini, la fotografia, l’epicità, la tecnica che oserei dire, perfetta.
Trattasi di “Vita di Pi” tratto da un libro (tra l’altro giudicato non-filmabile) d’idee filosofiche, religiose e letterarie, scritto da Yann Martel con la regia di Ang Lee (2012).
E’ la storia di Pi (1) che ogni giorno si cura di tigri, zebre e altri animali dello zoo del padre. Animato da un forte senso religioso, matura in lui la convinzione che tra la natura e l’uomo ci sia comunione, concetto che il padre non condivide.
Per una serie di eventi, Pi si ritroverà naufrago solitario alla deriva nell’oceano insieme a una tigre e lotteranno per la sopravvivenza.
Sfiniti, riusciranno a coesistere fino all’approdo in un’isola, dove la tigre ritrova il suo habitat e dove Pi, a malincuore, ammetterà a se stesso, che il padre aveva ragione; la tigre, infatti, non si gira per guardarlo prima di entrare nel folto degli alberi e Pi si rende conto di essersi illuso nel pensare d’averla umanizzata.
Le immagini (straordinaria e suggestiva quella della scialuppa sotto un cielo stellato…) regalano la luce giusta e i colori le rendono calde e intime e passano, immediate, dagli occhi al cuore. Non mancano: il simbolismo, i richiami ad altri film e opere letterarie, le metafore e i messaggi celati, la conoscenza e sperimentazione di valori positivi e negativi dell’essere umano, la solitudine e infine la decisione, supportata da una grande fede, di tornare nel mondo delle emozioni e delle relazioni con gli altri perché senza di questi, la solitudine è insopportabile.
Guarda qui il trailer italiano del film
Amo ascoltare la musica quando sbrigo le faccende domestiche e tra le varie canzoni, stamattina in due di quelle trasmesse, c’era la parola “equilibrio”.
Immediata è stata, in me, l’associazione di questa parola al film di cui sopra e quelle zattere costruite da Pi (la prima costituita da galleggianti e remi e la seconda, da tronchi) sono state le prime immagini che subito mi son tornate in mente e non è per nessuna natura razionale (che non mi appartiene) che ritenga importante questo elemento pratico nel film, quanto piuttosto del mezzo attraverso il quale Pi ha ritrovato il suo equilibrio e la speranza.
Certamente la zattera è presente nella letteratura antica e moderna, dall’Odissea di Omero, ai romanzi di Verne e Salgari, fino ai disperati naufraghi della nave francese “La Meduse”, cui si è ispirato il celebre dipinto di J.L.T. Gericault riguardanti una delle più impressionanti tragedie del mare che della zattera, ci ha fornito un’idea di un mezzo di salvataggio poco affidabile.
La zattera della Medusa (Le Radeau de la Méduse) è un dipinto a olio su tela (491 x 716 cm) di Jean Louis Théodore Géricault, realizzato nel 1818-19 (Parigi, Museo del Louvre)
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Nota (1) – Nel film viene spiegata l’origine del curioso nome del ragazzo: Piscine Molitor Patel, detto Pi.
L’amico più caro del padre, esperto nuotatore e considerato come uno zio dal ragazzo, suggerisce di chiamare il piccolo con lo stesso nome della piscina pubblica di Parigi, a suo avviso la migliore piscina delle molte in cui abbia nuotato.
Per contrastare la derisione dei compagni di scuola, Pi inventa una complicata disquisizione sul Pi greco e viene così accettato come “il ragazzo del Pi greco”.
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[Noi… Equilibristi instabili (1). Continua]