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La Befana vien di notte / con le scarpe tutte rotte…
…Era la famosa tiritera che noi ragazzini di altri tempi cantavamo in questi giorni.
La notte della Befana, la più bella per noi, alla quale pensavamo tutto l’anno perché era la notte nella quale ricevevamo un giocattolino, una caramellina in più e tanti palloncini colorati coi quali i nostri genitori addobbavano la cucina; lì c’era la cappa alla quale appendevamo le calze con annesso bigliettino di richieste e speranze.
Nella casa in Sardegna – devo precisare – non vi era il caminetto, mentre la cappa era sistemata sui fornelli della cucina a carbone. Successivmente anche quell’apertura fu fatta otturare da mamma Maria perché attraverso di essa una volta era penetrato in casa un piccolo pipistrello che la mamma vedeva come un topo con le ali; senza considerare che l’animale era utilissimo in quei tempi perché si nutriva di insetti ed in particolare di zanzare che allora spadroneggiavano nell’isola…
Tornando alla sera della Befana, noi ragazzini eravamo in apprensione per quella chiusura in quanto ci domandavamo da dove poteva entrare la cara vecchina, tanto sospirata. Ma i genitori ci dicevano: “Stanotte terremo la porta della cucina semiaperta e la Befana entrerà da lì”.
Cosi andavamo a letto anzitempo, (più o meno) rassicurati.
Certo la notte del giorno tanto atteso era piuttosto movimentata ed ogni tanto, svegliandoci da un sonno agitato, domandavamo alla mamma se potevamo alzarci per vedere le sorprese della Befana, e lei a raccomandarci di dormire ancora perché la vecchina non era ancora passata.
Apro una parentesi. In quei tempi ad Olbia non esistevano negozi di giocattoli solamente durante le festività natalizie si allestivano delle bancarelle in uno spiazzo davanti alla casa dove abitavamo; una piazza Navona in miniatura…
I giocattoli a quei tempi era molto semplici. Ricordo che il più interessante era un trenino di latta con la corda a manovella che circolava su una rotaia. Poi c’erano i cavallucci di cartapesta e le bamboline di stoppa; qualche bambola più importante, come quelle famose “in panno lenci”, erano però destinate ad ornare una poltrona o un divano del salotto di casa.
La mattina dell’Epifania non vi dico la gioia di noi ragazzini nel vedere la nostra calza piena di caramelle, qualche cioccolatino e pure – devo dire – un pezzettino di carbone che, ci spiegavano, era la punizione per qualche marachella compiuta durante l’anno.
Ma la più grande soddisfazione era il giocattolo che ricevevamo; nei miei riguardi la “Befana” peccava di scarsa fantasia perché un anno mi portava una pistola. Una volta quella “cento colpi”; un altro anno una a tappo che per caricarla aveva una molla così cattiva che mi procurava un callo alla mano destra.
Ricordo una volta che – forse per sbaglio – ebbi in regalo un organetto a bocca, dal quale riuscivo solo a tirare fuori suoni sgraziati.
Come fu, come non fu, l’organetto dopo qualche settimana di stridii e lamenti, scomparve… con grande soddisfazione di mio padre, amante del silenzio …o della buona musica!
Cara Befana, ormai in questi tempi sei quasi dimenticata, ma ti voglio bene e voglio ringraziarti per la tanta gioia che ci hai procurato.
Sei stata la dimostrazione della tenerezza e del tanto amore che i nostri cari hanno avuto per noi.
Buona Befana a tutti!
Immagine di copertina: La Befana 2011 al Circolo Anziani di S. Antioco
Sandro Russo
8 Gennaio 2014 at 12:29
Il giocattolo di Salvatore
Ho ripensato al pezzo che ci ha inviato Salvatore, e al suo trenino di latta, scorrendo gli articoli de “La Repubblica” il giorno della Befana.
Scrive Antono Gnoli a pag. 25, in un breve riquadro:
“Il gioco della memoria”
“Come impronta che non si cancella portiamo scritta in noi la nostalgia del giocattolo. Nell’infanzia, l’oggetto agognato, non aveva altra funzione che non fosse quella di rompere l’opacità quotidiana e aprirci al sogno. La fantasia rendeva luminescenti il soldatino, la trottola, il cavalluccio. Oggi la passione per il gioco brilla di una luce diversa: ipnotica. A volte servile. Più spesso nevrotica. Prepara i nativi digitali a un futuro più che da immaginare già immaginato.
Ci fu un tempo in cui ogni giocattolo, per quanto umile fosse, implicava una relazione mimetica. L’oggetto, inerte, nelle mani del bambino, diventava vita. L’immedesimazione era l’occasione per costruire un mondo a propria immagine e somiglianza.
Come capì perfettamente Walter Benjamin, il giocattolo era la dimensione più prossima all’arte. Fu Nietzsche ad accostare il gioco dell’artista a quello del fanciullo. Entrambi creano e distruggono in piena innocenza, fuori dal tempo storico o produttivo.
Ecco perché quando ancora ci imbattiamo in un vecchio giocattolo (un trenino di latta, un orso di pezza, un teatrino impolverato), ci accade di pensare all’irripetibilità di quei momenti. A ciò che siamo stati, nell’incanto di un’infanzia che avremmo desiderato prolungare all’infinito”.