di Alessandro Romano
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“Piazza d’Armi”, l’attuale Piazza Pisacane
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Le isole Ponziane. La proprietà privata.
L’invasione francese del 1799 causò i primi guasti al tessuto economico e sociale meridionale così laboriosamente realizzato dai Borbone e dalla popolazione. La fazione giacobina e, quindi, democratica della Rivoluzione Francese aveva lasciato da tempo il passo a quella borghese e liberale, erede della frangia girondina.
È, infatti, nello spirito di questa seconda ideologia che nacque l’effimera Repubblica Partenopea i cui fautori, mettendo all’asta i beni demaniali posseduti dai coloni in enfiteusi (come a Ponza e a Ventotene), di fatto gettarono le basi al capitalismo agrario anche nel Regno di Napoli, fino a quel momento rimasto immune, come abbiamo visto, grazie alla terza via del Tanucci.
Fu in questo frangente che a Ponza ed a Ventotene si ebbe la formazione delle prime proprietà private, con la conseguente concentrazione nelle mai dei più ricchi, subdoli accaparratori delle aste, dei migliori terreni.
Pertanto, così come i grossi latifondi presero forma nel continente francesizzato e capitalizzato, anche nelle Isole Ponziane grosse estensioni di terreno si concentrano nelle mani delle famiglie Feola, Scotti, Mazzella, Sandolo, Guarini, Conti, Santomauro, Bosco. Infatti, oltre a comprare i propri usi civici, queste famiglie si coalizzarono per acquistare anche i beni di chi non era in grado di sostenere il costo delle aste.
Il motto ideato dal Tanucci e voluto prima da Carlo e poi da Ferdinando IV “un po’ a tutti e non tutto a pochi” era stato fatalmente compromesso da chi, invocando i principi di libertà contro la tirannia, si era intanto accaparrato beni e capitali ai danni delle classi meno abbienti.
Abbandonando ogni mistificazione ideologica, è da questa prospettiva politica che va osservata l’indifferenza ponzese di fronte alla tragedia di Luigi Verneau, reo di aver capeggiato la rivoluzione liberale di Ponza contro il paternalismo borbonico.
Luigi Vernau
Ecco spiegato anche il perché, di quando dopo la loro cacciata da Napoli, nel 1806, i francesi ritornarono per la seconda volta, i ponzesi gli tennero incredibilmente fronte a cannonate, impedendo loro lo sbarco nell’isola per ben tre anni. Ed ecco ancora il perché, invece di cedere all’assedio divenuto oramai insostenibile, pur di sottrarsi ai napoleonidi, nel novembre dello 1809 i ponzesi preferirono partire in massa, abbandonando Ponza per raggiungere il re Borbone scappato in Sicilia.
Giuseppe Tricoli. La struttura sociale nel 1855
Quando nel 1816, scacciati nuovamente i francesi, gli isolani ritornarono a Ponza per effetto della “Restaurazione”, la comunità isolana non era più la stessa.
Il tessuto economico-sociale era stato gravemente stravolto, gli equilibri politici compromessi e molte terre abbandonate dai fuggiaschi erano oramai di proprietà di chi era rimasto. Insomma molti di coloro che erano rientrati avevano perso ogni bene immobile, case comprese.
I danni causati alla comunità isolana erano, quindi, irreversibili.
Infatti, i Borbone, “dopo aver fatto giustizia dei traditori del popolo”, al fine di disinnescare le forti tensioni sociali messe in atto dai cospiratori liberal-massoni, decisero lo “status quo”, confermando la “privatizzazione” dei beni pubblici e lasciando le terre a chi ne aveva acquisita la proprietà durante la dominazione francese.
G. Tricoli: altri dati (distribuzione dei capi di bestiame)
Conclusioni.
L’esperimento protosocialista di Ponza a causa dei gravi guasti arrecati dal liberismo agrario era così finito.
Un inadeguato sistema misto restò in vigore fino al 1860 quando, con l’arrivo dei liberali piemontesi, i residuali usi civici rimasti ancora in possesso dei coloni ponzesi furono anch’essi messi all’asta diventando beni privati. E furono sfruttamento, miseria ed emigrazione.
Fece eccezione Zannone le cui aste andarono sistematicamente deserte.
Infatti, ad oggi, l’isola parco è un raro esempio di demanio comunale quale “relitto amministrativo borbonico” di un passato ancora tutto da scoprire e capire.
Fonti
ASN – Rep. 125 – Farnese 1533 – 1613 (ASN: Archivio di Stato di Napoli)
ASN – Rep. 225 – Commissione Feudale 1702 – 1819. Inv. 447.
ASN – Rep. 271– Ammin. Gen. Cassa demanio pubbl. Affran. censi dopo rest. 1816-1851
ASN – Rep. 229 – Casse Allodiali, III serie.
ASN – Giunta degli allodiali del re dal 1734 al 1808 (dal fascio 0 al 1.463)
ASN – Rep. 352 – Monte Frumentario 1772 – 1806
ASN – Rep. 564-565 Archivio Borbone 1713 – 1877
ASN – Affari Feudali – da Busta 2 a Busta 24
ASN – Rep. 229 – Casse Allodiali, III serie
ASN – Archivio Riservato del re dal 1794 al 1823
Arch. priv. Borbone – Atti e decreti – 1734 – 1822.
Arch. priv. Borbone – Ferdinando I – Diario – 1816 – 1825
Bibliografia
Pietro Giannone, Istoria Civile del Regno di Napoli, Napoli 1723
J.H. Hexter, L’Utopia di Moro, Guida Editore, Pompei 1975.
Aurelio Lepre, Il mezzogiorno dal feudalesimo al capitalismo, Società Editrice Napoletana, 1979.
Michelangelo Schipa, Nel Regno di Ferdinando IV Borbone, Vallecchi Editore, 1938.
Agostino Bagnato, San Leucio. Una colonia borbonica tra utopia e assolutismo, AGRA, 1998.
Vittorio Gleijeses, Il Regno dei Borbone a Napoli, Edizioni del Giglio, 1981.
Domenico Capecelatro Gaudioso, Una capitale un Re un Popolo, A. Gallina Ed., Napoli 1980.
Giuseppe Tricoli, Monografia per le Isole del Gruppo Ponziano, Napoli 1859.
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[L’esperimento di Ponza e Ventotene nella riforma socio-amministrativa dei Borbone (3). Fine]
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Saverio Della Gatta. La battaglia tra navi anglo-borboniche e repubblicane nel canale di Procida (veduta da Miliscola).
L’opera raffigura l’episodio della battaglia svoltasi il 2 aprile del 1799 nel canale di Procida tra i repubblicani comandati da Francesco Caracciolo ed una squadra di barche cannoniere, guidata da Troubridge, luogotenente di Nelson, sbarcata nel golfo di Napoli in aiuto della flotta borbonica nel tentativo di sconfiggere i ribelli nelle isole di Ischia, Procida e Capri. Uno dei protagonisti dello scontro fu appunto il Caracciolo che, dopo essere tornato da Palermo dove aveva accompagnato i sovrani in esilio, nominato comandante supremo delle forze navali della repubblica napoletana, sfida invano gli inglesi. Il 29 giugno, dopo quindici giorni dalla fine della Repubblica, Caracciolo venne impiccato ad un albero della sua nave ed infine gettato in mare.