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La valorosa Téméraire (The Fighting Temeraire) è un dipinto a olio su tela (circa 120 x 90 cm) di William Turner, databile intorno al 1838-1839, conservato alla National Gallery di Londra.
È un dipinto che trasmette la tristezza e la nostalgia delle cose che finiscono. Tra noi che abbiamo conosciuto i tramonti a Chiaia di Luna è facile intendersi.
Sullo sfondo, a destra, si intravedono gli edifici grigi della città e l’acqua é quella del fiume di Londra; ma il tramonto è reso in modo magistrale. E quasi divide il quadro in due: l’atmosfera – il mood, l’umore dominante – nella parte destra; l’enunciazione dei fatti (altri colori e altra tecnica a sinistra).
Il cielo e i toni del rosso sono resi con tocchi densi di colore (applicato sia a pennello che con la piccola spatola flessibile dei pittori). Il risultato, per il cielo e l’immagine riflessa sull’acqua, va apprezzato a una certa distanza; con una tecnica diversa Turner ottiene la stesso effetto ‘sfolgorante’ dei ‘puntinisti’ (le luminose ‘Senne’ di Seurat!).
Nella rappresentazione della nave e del suo sartiame la tecnica è invece minuziosa e precisa; fino al ribollire dell’acqua sulla scia del rimorchiatore.
Il dipinto raffigura l’ultimo viaggio della nave, trainata da un rimorchiatore lungo il Tamigi per essere demolita.
È un tramonto, di quelli soffusi ‘alla Turner’. Il tramonto di tante cose.
Del giorno.
Della nave Temeraire – ‘figthing’, valorosa, combattente, la definisce Turner – una nave da guerra da 98 cannoni, varata nel 1798 e vittoriosa alla battaglia di Trafalgar (del 1805); quella che aveva difeso dal fuoco francese la nave bandiera HMS Victory di Lord Nelson; la nave che i suoi marinai chiamavano affettuosamente “Saucy Temeraire“ (sbarazzina, monella), piuttosto che fighting, come fa l’artista nel titolo del suo dipinto.
È anche il tramonto di un’epoca, quella gloriosa della navigazione a vela, soppiantata dal vapore. La simbologia è nel contrasto tra la vecchia nave da guerra, – imbiancata, come incanutita: l’evocazione pallida di un fantasma, con leggeri tocchi dorati (sulla prua) che ne ricordano l’eroico passato – e lo scuro rimorchiatore, protervo e fumoso, che la precede e la domina; né la nave più inalbera la gloriosa bandiera dell’Union Jack, ma la bandiera bianca della resa [leggi qui e qui sul sito, l’epopea della navigazione a vela, in: “Uomini e navi. Il tempo della vela” di Gianni Paglieri].
È infine e insieme, il simbolo della declinante potenza navale inglese.
Le cose finiscono, prima o poi. Oppure, forse “…tentano soltanto di accadere, tastano il fondo della realtà per sapere se le sostiene. E subito si ritraggono temendo di perdere la propria integrità in una realizzazione difettosa… e poi, nella nostra biografia, restano quelle macchie bianche, stimmate odorose, quelle perdute orme argentee di piedi nudi angelici, disseminate a gran passi lungo i nostri giorni e le nostre notti…” [Da: Bruno Schulz – “Le botteghe color cannella”; Einaudi, 2001].