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Note su Madonna Beritola di Silverio Lamonica
Caro Silverio
Ho letto con interesse il tuo articolo sulla novella del Boccaccio in cui si parla di madonna Beritola e della nostra cara isola (leggi qui).
È pur vero che in quel tempo a Ponza vi erano cenobi benedettini, ma è anche vero che l’isola sicuramente non si presentava con gli aspetti “antropici” di oggi: non esistevano né porto borbonico né strutture che ne cambiavano sostanzialmente la conformazione naturale.
A tal proposito io oserei proporre a qualcuno di buona volontà di ricostruire (documenti alla mano) con il computer, l’aspetto dell’isola nel corso dei secoli, dai Romani ai nostri giorni: come si presentava e, a mano a mano, qual è stato l’impatto dell’uomo, a volte, purtroppo, molto violento.
Proporrei altresì di ricercare l’origine della toponomastica in senso stretto nella storia e/o ideando racconti e/o poesie in merito.
Riprendo il commento. La triste vicenda, certamente, sarà giunta all’orecchio dello scrittore mentre soggiornava nella città partenopea. Non credo, però, che la descrizione dell’isola, fatta dall’illustre fiorentino, sia frutto di pura fantasia. Sicuramente non l’ha vista ma, poiché il suo soggiorno presso la corte angioina non fu di breve durata, ne avrà sentito parlare anche da parte di altri naviganti.
Sono indotto, pertanto, a fare alcune considerazioni in merito.
Egli dice che la nave fu sbattuta da una tempesta sull’isola rifugiandosi in un riparo sicuro. Sappiamo che Ponza aveva ed ha vari approdi che si contrappongono alla direzione del vento e delle mareggiate. Forse la nave, a causa dei marosi provenienti da sud, si era rifugiata in una delle calette delle Forna. Se così fosse la donna e l’equipaggio sicuramente si sono trovati in una parte dell’Isola disabitata ma piena di boschi e soprattutto di sorgenti d’acqua (come è testimoniato fin dai tempi dei Romani e dalla toponomastica). La zona si presentava più impervia, ripida e solitaria rispetto a quella esposta a levante. Dice, infatti, il Boccaccio: “Madama Beritola, come gli altri, smontata in su l’isola e sopra quella un luogo solitario e rimoto trovato…”.
Non credo, poi, che i monaci, anche se cistercensi, siano arrivati a colonizzare quella parte dell’isola sia perché distante, sia perché poco remunerativa sia perché difettavano di coloni. Essi (quelli di S. Maria), probabilmente, si limitavano alla zona dell’odierno porto, spingendosi forse fino ai Conti anche perché l’acqua l’attingevano, con poco sforzo, da “u’ lav’ ’i Santa Maria” ed inoltre si potevano scavare dei pozzi per irrigare i campi (come ho già scritto, in una “pezza” a Santa Maria, quando ero bambino, esisteva ancora un pozzo da dove si raccoglieva l’acqua con il sistema arabo per sollevare il secchio – leggi qui).
A proposito: “u’ lav” rende ancora torbida l’acqua del porto durante le abbondanti piogge? O anche lui si è, come dire, “esaurito”?
Inoltre questa è la zona meglio esposta al sole e quindi meglio adatta all’agricoltura.
Ma, in buona sostanza, poche sono ed erano le zone che potevano essere messe a coltura ed inoltre anche a loro conveniva che la legna fosse abbondante per gli ovvi usi quotidiani. Penso, inoltre, che la popolazione residente non fosse numerosa sia perché erano tempi di pauperismo demografico (una città, pochissime in verità, di centomila abitanti era considerata grande), sia perché la lontananza dalla terraferma e l’arrivo dei pirati – pendente come la spada di Damocle – non favorivano insediamenti umani in terre allora così lontane.
Ammesso che i pirati si siano addentrati nella baia dove è situato l’odierno porto, sembra strano che abbiano soltanto catturato la nave della donna con i suoi figli e non abbiano anche saccheggiato il cenobio o almeno il circondario con prede ben più cospicue, oppure che nessun monaco o abitante abbia visto e segnalato una nave ormeggiata per alcuni giorni.
Un’ultima considerazione: ammesso che madonna Beritola fosse venuta a conoscenza, come penso, dell’esistenza dei cenobi, sicuramente si sarebbe ben guardata dal segnalare la sua presenza a causa delle note vicende politiche (apparteneva alla parte ostile al papa) e pertanto penso che abbia cercato rifugio nel posto più lontano possibile, nascondendosi nelle grotte e nei boschi che allora si presentavano impenetrabili e rigogliosi.
Sai bene, poi, che l’isola era piena di boschi fino al ’700, quando giunsero i colonizzatori, nostri antenati, che, emulando un famoso capo degli Unni, in breve non “fecero crescere più un filo d’erba”.
Pertanto sono convinto che Boccaccio abbia ben descritto l’isola almeno come si presentava allora nella quasi totalità.
Ti saluto caramente.
Pasquale.
Immagine di copertina – Anonimo: Isole di Pontio. Mappa acquerellata XVI sec. [Da Pontio. L’isola di Pilato, di Vincenzo Bonifacio; Vianello Ed.; 2010]
silverio lamonica1
4 Novembre 2013 at 15:21
Carissimo Pasquale, ti ringrazio per l’interesse dimostrato al mio articolo. Molto appropriata è la tua analisi. Sono d’accordo con te, Madonna Beritola dev’essere “sbarcata” a Le Forna – la tesi più verosimile.
Suggestiva è l’idea di ricostruire l’aspetto della nostra isola attraverso i secoli, utilizzando la documentazione disponibile: è una ricerca che richiede molto tempo, tanto impegnativa quanto interessante.
E’ un ulteriore invito ai docenti e agli alunni delle scuole di Ponza di approfondire un argomento così affascinante. Di cuore mi auguro che vorranno raccogliere “la sfida”. Ciao e grazie ancora
Silverio