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L’articolo di Emanuela Siciliani e Domenico Musco “La nostra visita ad Auschwitz-Birkenau” – leggi qui e qui – corredato da foto che molto dicono, ed il commento di Polina, hanno messo in evidenza l’orribile vicenda umana dell’olocausto.
Questa riflessione sulla Shoah è concomitante con la morte di Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine. Per coloro che ne avevano solo sentito parlare in maniera generica, credo che l’eco dei commenti inerenti, la reazione dei romani e degli abitanti di Albano ai funerali del nazista, siano stati elementi utili per capire meglio.
Pare che non lo volesse nessuno, ad esclusione dei figli e parenti, e dopo lungo tergiversare, scontri e polemiche, solo dopo vari giorni si è raggiunto un accordo sul luogo (segreto) della sepoltura.
Ricordare fatti gravi e terribili è sempre utile per mantenere alta la guardia davanti a quelle le debolezze dell’umanità che possono degenerare, ma non basta: il ricordo è maggiormente utile se incide sul presente.
Siamo sicuri che l’orrore dell’olocausto non si ripeta più? Da qui parte la mia riflessione.
La responsabilità individuale sta alla base delle azioni umane. Questo concetto chiave per interpretare i fatti quotidiani, in realtà ha la sua massima applicazione anche nei fatti storici. Le condizioni di costrizione in cui si trova a vivere un popolo non hanno impedito agli individui consapevoli di contrapporsi ad azioni ignobili, da Robin Hood ai Giusti ricordati in Israele, scegliendo di agire in nome della responsabilità personale.
La banalità del male di Hanna Arendt (1963) fa capire molto bene come la rincorsa nazista all’eccidio degli ebrei abbia trovato terreno fertile nella deresponsabilizzazione della gente comune, tedesca e non, inchiodandola proprio alla possibilità di scelta personale che ha rinnegato.
Io credo che l’olocausto debba restare nella memoria umana, come testimonianza della capacità dell’uomo di produrre orrori quando rinnega i valori inclusivi per esaltare una parte di umanità contro l’altra.
Ma deve essere ricordato anche come la grande occasione mancata per gli indifferenti, per quelli che non vedevano, per quelli che ritenevano di non avere nulla da spartire con quella storia (leggi qui); occasione mancata per essere veramente esseri umani, cioè persone in grado di pensare liberamente e scegliere secondo i valori che supportano la vita e non la sofferenza e la morte.
Ma ricordare l’olocausto significa anche che oggi noi dobbiamo sentire il peso della responsabilità delle nostre scelte, dobbiamo evitare di essere indifferenti, dobbiamo attrezzarci per capire dove stiamo andando in modo da evitare in tempo che nella nostra società ci siano scivoloni che ci possono portare a situazioni disumane.
Lo stiamo facendo?
In Italia esistono leggi che escludono i deboli, i diversi, gli stranieri, si sentono cori razzisti nelle curve degli stadi, si sentono canti fascisti anche nelle strade di Ponza (in estate), c’è un revisionismo strisciante che viene accolto come oro colato in nome della libertà di pensiero, c’è un’adesione al pensiero unico del benessere personale, c’è un calo tremendo di cultura, di capacità di comprendere quanto viene detto pubblicamente, e così via.
Nel frastuono della nostra società, siamo distratti da tante cose banali e quando, per caso, ci arrivano immagini come quelle del naufragio di tanti giovani che sono morti nel tentativo disperato di trovare la vita, restiamo stupefatti e a stento ci chiediamo perché sia successo.
Davanti all’olocausto e davanti alla strage di migranti ci dovremmo chiedere dov’è stato e dov’è l’errore, e se per l’olocausto i tanti libri di storia ci hanno dato indicazioni, per i migranti dobbiamo cercarle noi, seguendo giorno per giorno quel che avviene nella nostra società attraverso le decisioni politiche che vengono prese.
Quindi le domande da porci per gli orrori di oggi, sono: dove stavo io? Cosa non ho visto? Cosa ho accettato senza batter ciglio perché non riguardava me?
La nostra responsabilità individuale non può essere aggirata dal non sapere. Noi siamo responsabili anche del bagaglio delle nostre conoscenze, nel senso che, se vogliamo, possiamo informarci, e se non lo facciamo, vista la facilità con cui circolano le notizie, è perché non abbiamo voluto. Allora è inutile trincerarsi dietro il “non sapevo” come giustificazione di mancata assunzione di responsabilità.
Se per l’olocausto la domanda più semplice e banale è: “Come facevano quelli vicino ai campi di sterminio a non accorgersi di quello che succedeva?”, per le stragi odierne, che non sono solo quelle dei migranti, ma anche quelle delle continue guerre nelle diverse parti del mondo, quelle dei detenuti morti violentemente, quelle delle donne uccise perché considerate oggetti di proprietà maschile, quelle dei bambini ridotti in schiavitù, o anche i suicidi dei disoccupati e così via, per quelle di oggi la prima domanda è: “Cosa posso fare io?”
E’ ovvio che il singolo non può intervenire in prima persona in questioni di carattere così ampio, ma la sua responsabilità si esplica nel controbattere nel quotidiano chi assume comportamenti ed esprime idee che portano a quelle stragi, e nella partecipazione alle scelte politiche che tendono ad evitarle, anche nel momento del voto.
E’ la coscienza civica che può arginare gli orrori: alla sua crescita, specie fra i giovani, bisogna mirare.
vincenzo
20 Ottobre 2013 at 09:54
Cara Rosanna cerco di commentare il tuo articolo in modo indiretto.
LA COSCIENZA LA MISURA DEL BENE E DEL MALE?
Il papa in questi giorni ha affermato: “Ascoltare ed obbedire alla propria coscienza, significa decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male”
La coscienza come strumento di misura per avere la percezione di stare nel mondo, con gli altri esseri viventi in un determinato modo?
“La coscienza è un’astrazione, nel senso che rappresenta l’aspetto autocritico dell’animo umano. In questo senso, al di là di ogni dio o dottrina teologica, quando alla sera mi corico con la testa sul cuscino, è quella alla quale rispondo. Se in pace con lei, significa che lo sono con me stesso e nei confronti degli altri”.
Ma stare in pace con la propria coscienza significa fare sicuramente del bene?
Questo discorso della coscienza come misura, vale dappertutto? …in Cina, in Corea del Nord, come negli Usa, in Siria oppure in Italia, a Ponza?
C’è una coscienza comune a cui tutti gli uomini della terra possono ricorrere per capire se stanno agendo per il bene o per il male?
E il bene comune corrisponde al bene individuale?
Questa del papa è una frase che fa pensare, ma poi nella pratica un uomo non può agire in base alla propria coscienza ma agisce in una società conformandosi a comportamenti e forme di convivenza dettate dalla tradizione ma soprattutto imposte dalla legge.
Per esempio anche il rispetto dei 10 comandamenti costituisce un ben definito percorso che agisce sulla coscienza individuale e indica la scelta del bene e del male per i cattolici.
Dove sta la libertà individuale nella scelta delle azioni quotidiane?
Noi nasciamo dal primo vagito condizionati, siamo di fatto condizionati nell’agire quotidiano, la nostra psicologia si riempie ogni giorno di nozioni dirette e indirette che producono comportamenti che sono sì individuali ma si possono adattare (creando integrazione) o non adattare (creando il disagio) nelle società, nelle comunità di uomini.
Il bene e il male, sono aspetti che riguardano sicuramente la coscienza di ognuno di noi ma per avere la giusta misura dei nostri comportamenti questi devono essere giudicati: esaltati o condannati dalla legge terrena e/o divina. C’è quindi un giudice che misura il peso della nostra coscienza.
Il libero arbitrio credo proprio che non ci sia: è solo un’illusione quella della libertà di poter scegliere nell’agire quotidiano, perché siamo esseri condizionati e condizionabili
Come l’auto-analisi dei nostri comportamenti relativa alla coscienza individuale è pura illusione.
Il soldato esegue degli ordini, il professore nel bocciare o promuovere, il giudice nell’applicare e interpretare la legge, il comandante nella scelta se partire o non partire, come il medico se somministrare un medicinale o non.
In ogni momento l’uomo sceglie delle azioni da fare, in un determinato momento, in un determinato contesto sociale oppure storico, ma quell’uomo vive una certa fase di una evoluzione personale, in una certa fase di evoluzione sociale ed economica. La scelta che farà in quel momento sarà dettata da tanti impulsi per cui anche la stessa coscienza si modella e si adatta al sistema evolutivo.
La storia della vita sulla terra è una storia di violenza, di sopraffazione dell’individuo sull’altro, è un competere, è selezione naturale di individui, di idee, di civiltà.
Se c’è una coscienza l’individuo la evidenzia alla fine del suo percorso, quando fa il bilancio, quando sta al cospetto di eventi unici e definitivi, quali la malattia, una condanna, la morte che lo isola dal contesto, lo rende vulnerabile per cui realmente libero.
Ma nel momento che agisce quotidianamente è condizionato, per cui non libero e quindi non prende decisioni secondo coscienza, ma secondo opportunità dettate dal buon senso, dalla tradizione, dal consenso, dalla paura, dalla voglia di emergere, di evidenziarsi, di arricchirsi, di consumare, di diventare eroe o santo.
In questo contesto la sua personalità di uomo “libero” può sentirsi in pace con la sua coscienza, fa il suo dovere di padre, di marito, di lavoratore, ma nel suo vivere di relazione ci saranno aspetti della sua vita, socialmente onesta, rispettosa di leggi e principi che lo rendono complice di misfatti piccoli o grandi insiti nella natura sociale umana.
rosanna
21 Ottobre 2013 at 09:22
Caro Vincenzo
il tuo spostamento del discorso mi invita a fare qualche brevissima puntualizzazione. La brevità è sempre un pregio per il lettore.
La responsabilità personale è l’insieme di consapevolezza di sé e del contesto in cui si vive, di convinzione della validità delle proprie scelte e loro messa in atto.
La coscienza è il luogo virtuale in cui si depositano i valori, in maniera consapevole e non, che sono alla base dei nostri comportamenti.
E’ ovvio che la coscienza si forma nel contesto in cui vive una persona perché si introiettano i valori riconosciuti come positivi dai propri simili. Ma accanto alla “coscienza” nell’uomo c’è anche la ragione ed è questa che ha la possibilità di scardinare le certezze di un sistema.
Se non fosse così, non avremmo avuto Giordano Bruno, Gesù di Nazareth, Pericle, Ipazia e tante altre persone, note e ignote che nel corso dei secoli hanno affermato valori diversi da quelli della società di appartenenza ritenuti negativi e, molti di loro hanno dovuto combattere per essi fino al sacrificio della propria vita.
Senza la ragione staremmo probabilmente ancora al cannibalismo ancestrale che non serviva a sfamare, bensì a impossessarsi del valore del nemico sconfitto per diventare più forte, quindi, collegato al valore della forza.
La responsabilità personale entra in campo sia quando vuoi confermare i valori che informano la tua società sia quando li vuoi criticare e li rinneghi.
Come vedi sono due piani differenti che si possono incrociare o meno a seconda se, quando l’intelletto si mette in azione, decidi di seguire quello che ti suggerisce o meno.
vincenzo
21 Ottobre 2013 at 16:29
“Senza la ragione staremmo probabilmente ancora al cannibalismo ancestrale che non serviva a sfamare, bensì a impossessarsi del valore del nemico sconfitto per diventare più forte, quindi, collegato al valore della forza”
Permettimi ancora di dissentire: i campi di concentramento, fascisti, comunisti, nazisti, sono nati dopo l’illuminismo l’esaltazione della ragione come unica luce per una umanità migliore.
Dalla selezione di questi ideologismi materialistici avvenuta a seguito di guerre, quindi dettate dai vincitori è nato l’iperliberismo, il prototipo ultimo della società che stiamo vivendo. Siamo riusciti a produrre i parlamenti, le democrazie e il suffragio universale; quando queste funzionano – dove funzionano -, si basano sul potere della maggioranza e il compromesso a volte con le minoranze. Ma adesso siamo riusciti anche a svuotare queste istituzioni del loro peso sulla vita della gente sotto la spinta egoista di pulsioni animali quali il benessere personale di pochi.
rosanna
21 Ottobre 2013 at 21:26
La “ragione” di cui parlo non è quella esaltata dal razionalismo, ma quella che dà la “razionalità” all’individuo, cioè quella che consente di capire e sapere..
vincenzo
22 Ottobre 2013 at 17:07
RAGIONE BASTA LA PAROLA?
Che cosa intendiamo per Ragione: facoltà, propria dell’uomo, di pensare, di collegare fra loro concetti e idee secondo rapporti logici; intelletto, senno, raziocinio
Parlare, pensare, agire secondo ragione: gli uomini che hanno sganciato la bomba atomica hanno agito secondo ragione o interesse? Ma poi hanno pensato e parlato secondo ragione e si sono spartiti il mondo.
Far prevalere la ragione sugli istinti, ma gli istinti hanno in parte plasmato la ragione.
Età della ragione, quella successiva all’infanzia, caratterizzata dalla capacità di ragionare autonomamente. Prendere la patente, prendersi una laurea, sposarsi, arricchirsi, andare in galera, votare… L’individuo fa queste cose per mille motivazioni e le fa come un gregge che si reca all’ovile.
Esporre le proprie ragioni: chi sa esporre meglio ha sicuramente ragione.
Non sentire ragioni, anche questo è possibile: ho delle convinzioni e non ascolto gli altri.
L’ho fatto a ragion veduta: presuntuoso e misterioso.
Le ragioni di un conflitto: e così ci sono guerre giuste e armi intelligenti. Si dà il premio Nobel all’associazione che combatte le armi chimiche come se le armi convenzionali non offendessero, non solo gli uomini ma il concetto di pace.
Avere le proprie ragioni per tacere o per parlare: e qui nascono i conferenzieri, i pentiti oppure i collusi o semplicemente i terrorizzati.
Non c’è ragione di arrabbiarsi: tranquillizzante ma questo è soggettivo.
Ragionare per un giusto motivo: che fa comodo sicuramente a qualcuno.
Ragiono senza motivi validi; a maggior ragione; di santa ragione; con forza e meritatamente: gliele ho date di santa ragione;
Passare dalla ragione al torto: è meravigliosa questa!
E POI CI SONO: Le ragioni della scienza, del cuore, della fede; ragion di stato, prevalenza degli interessi di stato su ogni altra considerazione, indipendentemente da valori etici
A chi di ragione o a chi di diritto, a chi spetta provvedere: riferirò l’accaduto a chi di ragione.
Io e te potremo stare una vita a ragionare e forse non trovare un punto d’accordo solo per il gusto di ragionare pur capendo e sapendo.