di Alessandro Vitiello (Sandro)
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Per la puntata precedente digita: Teseo – nel riquadro CERCA NEL SITO, in Frontespizio
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Alle quattro del mattino un’altra onda forte arriva a inondare anche il locale a prua dove decine di marinai avevano trovato rifugio.
Vedersi arrivare addosso tutta quell’acqua li porta spontaneamente sopra coperta; piano piano però il rimorchiatore risale un po’ sopra le onde.
Con l’arrivo della luce del giorno il Trieste riesce a far arrivare una fune sulla prua del Teseo, con l’unico risultato che il barbiere del Teseo tentando di raggiungere il Trieste ma scompare tra le onde.
Dal Trieste tagliano la fune e come contraccolpo si allontana di alcune centinaia di metri, forse qualche miglio.
Intanto il comandante incomincia a lasciarsi andare: “Mi starebbe pure bene che il Trieste ci desse una botta mandandoci a fondo e che almeno uno di noi si salvasse per raccontare le nostre ragioni”.
Lui non sapeva che un marinaio si era già salvato: tra i diversi che si erano buttati in mare cercando di raggiungere la prima nave che aveva dato soccorso, solo uno era riuscito a salire a bordo. Avrebbe rimesso piede a terra tanti giorni dopo in Olanda.
Il Trieste ritorna sotto a gran velocità come se volesse saltare addosso al rimorchiatore.
Intanto la Acaralissa si avvicina e riesce a raccogliere alcuni, diversi, marinai che si erano buttati in mare sopra dei pezzi di tronco di legno, tolti dalle paratie del carbone.
Il comandante del Trieste capisce che i marinai del Teseo sono alla disperazione; si buttano in mare a decine sperando di raggiungere a nuoto le navi.
Si piazza a poche decine di metri dal Teseo, come ha già fatto la Acaralissa.
Intanto arriva un’altra grande nave merci.
Ormai sono tre grandi navi che circondano il Teseo e quasi tutti i marinai sono in acqua.
Cercano tra le onde di raggiungere le decine di funi che sono appese fuori dalle murate delle navi di soccorso.
Mio padre assiste come intontito a questo spettacolo tragico.
Un uomo che non sapeva nuotare si era legato sulla schiena una valigia di legno: non gli servirà a niente.
La testa va su e giù tra le onde trasportato insieme alla sua valigia. E’ morto.
Giuseppe Liguori da Gaeta, amico di mio padre invece ce la fa: lo si vede salire l’ultimo pezzo di una corda che lo porta sulla Acaralissa.
In realtà non è la corda giusta.
Quando è quasi sopra la murata viene portato via da un’onda.
Per fortuna va a sbattere contro il Trieste. In pochi istanti riesce a farsi tirare fuori dall’acqua e a mettersi in salvo.
Tutto questo viene osservato dalla poppa del Teseo ormai quasi affondato.
Il comandante da una gomitata a mio padre: “ Ma come? Un giovanotto come te non ha il coraggio di salvarsi?”.
Mio padre si sveglia da questa specie di torpore e con quattro salti è sulla prua del Teseo.
Ha sulle spalle il giubbotto di salvataggio che lo accompagna dal contatto con la prima nave. Il Trieste è così vicino che si potrebbe saltare, si pensa, a bordo.
Si butta in acqua e viene sommerso da un’enorme onda che lo tiene sotto per un tempo che non sembra finire mai.
Quando finalmente riesce a mettere la testa fuori dall’acqua e a ridare ossigeno ai polmoni, cerca di capire se è ancora vivo.
E’ vivo e il Trieste è proprio lì.
Ancora un’altra onda come quella di prima: lui la vede arrivare e respira a pieni polmoni sapendo che tutta quell’aria gli servirà.
Va sotto ancora per un tempo troppo lungo ma il suo pensiero è: “Dove sarò quando uscirò fuori?”.
Esce fuori ed è attaccato alla murata del Trieste ad una fune dove c’è troppa gente che urla cercando aiuto.
Quel bagno alle otto e mezza di mattina in pieno inverno gli ha ridato la forza e la lucidità per agire.
Davanti a lui, verso la prua del Trieste c’è una solida corda che arriva in acqua senza nessuno che la utilizzi.
Con poche bracciate la raggiunge, si attacca con la forza della disperazione e si accorge che sale su velocemente, perché dall’alto della murata due ufficiali del Trieste lo stavano letteralmente sollevando dal mare.
Un attimo di ulteriore terrore: “Quando arrivo sul bordo della murata, con questa velocità che mi tirano su, questi mi spaccano le mani”: E’ pronto al peggio, si prepara a resistere a questo dolore che gli arriverà, ma gli uomini che lo salvano sanno di non doverlo massacrare prima di metterlo a bordo e lasciano a lui la possibilità di superare questo piccolo ostacolo, senza farsi male.
Dopo un istante quattro forti braccia lo sollevano sul Trieste.
Gli tolgono subito di dosso il giubbetto di salvataggio, il corpetto bianco e, affidato a due marinai, viene portato al piano di sotto del Trieste.
Lo accoglie un enorme salone, molto elegante dove sono stati buttati a terra decine di materassi e dove c’è una montagna di vestiti asciutti a disposizione.
In un angolo buttato su un materasso un maresciallo del Teseo continua recitare una litania: “Voi urlate ma il Teseo rimarrà a galla ancora per almeno due giorni”.
Ripete questa frase come un disco incantato.
Dalla porta entra un marinaio del Trieste che comunica: “Il Teseo è affondato”.
Sono le nove del mattino del 13 dicembre del ’31, il giorno di Santa Lucia.
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[L’affondamento del Teseo. (2). Continua]