di Vincenzo Di Fazio (Enzo)
.
Il mare non ha confini. Come l’aria.
Con l’aiuto del vento un aquilone può percorrere chilometri nel cielo sorvolando paesi e genti diverse.
Guidati dalla spinta del vento, delle correnti e delle onde un tronco, un relitto, galleggiando in mare, può attraversare oceani e raccontare della sua storia lontano miglia da dove è partito.
Il mare, come l’aria, raccoglie e mescola.
Nel suo andare accomuna ma respinge anche chi l’affronta pensandolo materia malleabile senza conoscerne le insidie e le barriere. Con la complicità di gente senza scrupoli.
Quello che sta accadendo in questi giorni nel canale di Sicilia, e che è già accaduto tante volte, è una tragedia umana che non può non toccarci e non coinvolgerci.
Provocandoci sentimenti di sconforto, di sdegno, di rabbia e di vergogna.
Quei morti un po’ ci appartengono per essere stati anche i nostri avi dei migranti, per aver conosciuto, attraverso le storie che ci hanno raccontato, le umiliazioni patite nel “centro di accoglienza e di esame” di Ellis Island o nelle miniere di carbone, per inseguire un sogno.
Quelle tragedie ci appartengono perché con Lampedusa condividiamo i limiti che ha sempre un’isola per via di quell’isolamento in cui spesso viene confinata, come arto amputato ad una terra ferma a volte ingrata.
Qualcuno di quei corpi non ritrovati, sotto la spinta del mare senza confini e delle correnti, potrebbe giungere fino a noi per ricordarci la condizione di quella gente, le loro sofferenze, le loro speranze, i loro bisogni ed ammonirci come e quanto sia andato indietro questo mondo se il diritto alla vita è diventato perfino materia di speculazione politica.
Ha scritto ieri Concita De Gregorio su “La Repubblica”
“La legge del mare è la legge di Dio. E’ la legge degli uomini prima che ogni legge sia mai stata scritta. Salvare un uomo in mare. Non c’è nemmeno da spiegarlo, mancano le parole. Provate solo ad immaginare che succeda a voi. Siete in barca , vedete qualcuno che sta annegando e che vi chiede aiuto. Un ragazzo, una donna che annega a pochi metri da voi. Sareste capaci di lasciarlo morire sotto i vostri occhi? Gli chiedereste – di qualunque religione, partito politico, di qualunque razza voi siate – da dove viene e a fare che cosa o gli gettereste prima un salvagente? Vi buttereste voi stessi, quasi certamente. Non è una regola, è istinto. E’ ineludibile afflato di umanità…”
“Non li lasceremo più morire”, è l’affermazione come forte impegno sentita in questi giorni tra gli scanni del Parlamento e, per fortuna, tra tanta gente. “Quell’impegno non deve essere una posizione politica ma la declinazione di un essere umano.”
***
Alle vicende dei migranti di ieri e di oggi Gianmaria Testa ha dedicato una bella canzone “Ritals” di cui riporto qui sotto il testo.
Le immagini del video che l’accompagna rappresentano un abbraccio intorno a quei popoli che attraversano il mondo spinti dalla speranza di realizzare un sogno e che non si fermano né davanti ad una espulsione né davanti ad un naufragio perché, come ricorda Erri De Luca in un suo pensiero tratto da “Chisciotte e gli invincibili”: …sono uomini, donne, bambini che spostandosi per il mondo spostano il mondo.
Ritals (*)
.
Eppure lo sapevamo anche noi
l’odore delle stive
l’amaro del partire.
Lo sapevamo anche noi
e una lingua da disimparare
e un’altra da imparare in fretta
prima della bicicletta.
Lo sapevamo anche noi
e la nebbia di fiato alla vetrine
e il tiepido del pane
e l’onta del rifiuto,
lo sapevamo anche noi
questo guardare muto.
E sapevamo la pazienza
di chi non si può fermare
e la santa carità
del santo regalare,
lo sapevamo anche noi
il colore dell’offesa
e un abitare magro e magro
che non diventa casa
e la nebbia di fiato alla vetrine
e il tiepido del pane
e l’onta del rifiuto,
lo sapevamo anche noi
questo guardare muto.
.
.
(*) Ritals, termine dell’argot popolare francese con il quale negli anni inizi ‘900 venivano chiamati in maniera ingiuriosa gli immigrati italiani.
Secondo alcune fonti esso deriva dal fatto che, nonostante anni di residenza Oltralpe, gli italiani non riuscivano a pronunciare correttamente la “r” francese (NdR)
polina ambrosino
12 Ottobre 2013 at 22:20
Esattamente cosi, Enzo! Solo che la tragedia e la sofferenza straripano dallo schermo, stanno davvero superando il limite. Occorre pattugliare con elicotteri e navi i mari circostanti le coste di provenienza ed impedire a questi barconi di partire, perchè non siamo attrezzati per ricevere tanti uomini ma soprattutto per impedire loro di morire in questo modo infame. La disperazione di questa gente va curata alla radice: invece di investire in armi assurde, si investa in altro: una volta si davano embarghi alle nazioni che minacciavano guerre: perchè non si minacciano embarghi alle nazioni che non si curano della loro gente e la lasciano partire con persone senza scrupoli che li lasciano morire cosi!? La colpa di queste morti è soprattutto dei governanti delle nazioni che assistono all’esodo della loro gente e alla loro fine senza scomporsi e noi occidentali, che siamo andati a scovare Saddam e Bin Laden in capo al mondo, non mettiamo all’angolo i capi delle nazioni da cui provengono questi poveracci!
Il mondo, non solo il mare, non ha confini, e le genti di tutto il mondo hanno il diritto di andare dove vogliono, certo, ma senza correre il rischio di morire affogate! Noi dobbiamo essere solidali e accoglierli al meglio, ma contemporaneamente, AGIRE CON FORZA CONTRO I LORO GOVERNI CHE NON SI CURANO DEI MALI DELLA LORO GENTE!
Gennaro Di Fazio
13 Ottobre 2013 at 02:30
La Storia ci ha sempre insegnato che gli esodi dei popoli non sono mai stati bloccati dalle repressioni. Io ritengo che ogni Uomo, nella speranza di trovare una nazione più libera e prosperosa, ha diritto di andare dove gli pare. Sarà poi la sensibilità dei paesi che li ricevono e della sua gente a determinare il loro futuro. Non credo che l’Italia, la Chiesa e l’Europa tutta non si possano permettere un aiuto ed una collocazione civile; noi siamo diventati solo una Nazione a basso profilo morale sotto tutti i punti di vista, tant’è che spesso non si riesce ad andare neanche oltre la banalità del quotidiano e del misero comportamento di paura su tutto, ormai dilagante ovunque, nelle istituzioni come tra singole persone, nei dirigenti politici così come tra gli intellettuali.
C’è stato un periodo, in parte purtroppo ancora oggi, che si inneggiava alla droga libera e di Stato, visto che il tossico non si ferma dinanzi a nulla; pertanto, si asseriva, facilitandolo a trovare la droga, si sarebbero evitate rapine, omicidi, tossinfezioni, arricchimenti delle organizzazioni dedite allo spaccio e quant’altro, dimenticandosi però che si induceva l’uomo a bruciare la sua parte più nobile: il cervello e la sua mente.
A questo punto, in similitudine a quanto affermato, mi viene la voglia di proporre: visto che la disperazione di questi uomini è così forte da essere disposti a morire pur di portare avanti una loro speranza, andiamoli a prenderli noi con navi sicure e distribuiamoli, secondo un criterio più umano e civile e con l’aiuto dell’ONU e delle tante altre istituzioni umanitarie, in località dove si possano integrare e poi lavorare. Al di là delle inutili ed atroci morti che si eviterebbero, bloccheremmo sicuramente anche le economie delle organizzazioni criminali e senza scrupoli che fanno da tramite a questo indegno commercio umano.
Non so se quanto asserito è solo una provocazione, se c’è fattibilità o è semplicemente una mia reazione emotiva; tuttavia io sono convinto che noi viviamo in un universo formate da tante realtà di cui molte non sono percepite dai nostri sensi; tra queste è possibile che ve ne sia qualcuna che regola le attività umane in relazione anche ai comportamenti morali dei singoli e dell’intera società. Se leggiamo attentamente la storia, spesso vediamo che proprio dai diseredati e dagli “ultimi” l’umanità ha tratto grandi benefici a vari livelli.
È solo nel risveglio morale che l’Uomo attinge la forza per migliorarsi. Un mondo basato solo sulle economie o peggio solo sulla finanza, prima o poi ci manda sul lastrico tutti, così come è successo da qualche decennio a questa parte senza che se ne veda la luce, anzi, come spiegato anche da Vincenzo Pagano nel suo articolo su questo stesso sito “Scenari per il prossimo futuro dell’eurozona”, “il peggio deve ancora venire”.
P.S.
Grazie ad Enzo Di Fazio per il sensibile e commovente articolo.
Gennaro Di Fazio
vincenzo
13 Ottobre 2013 at 09:43
“Eppure lo sapevamo anche noi
l’odore delle stive
l’amaro del partire”.
Caro Enzo lo sapevamo e lo sappiamo, in quell’isola, in quel mare, ci sono italiani che stanno subendo questa emergenza umanitaria e che fanno con i loro mezzi il possibile.
Certo quando una persona ha fame ha bisogno di un pezzo di pane subito, ma quando iniziamo ad insegnargli a procurarsi da soli il cibo a questi popoli?
Gennaro dice: “andiamo a prenderli noi con navi sicure e distribuiamoli, secondo un criterio più umano e civile e con l’aiuto dell’ONU e delle tante altre istituzioni umanitarie, in località dove si possano integrare e poi lavorare”.
Ma chi l’ONU? Le altre Istituzioni umanitarie? Ma da quando stanno in giro queste grandi istituzioni e che cosa hanno fatto se non essere funzionali al sistema di governo liberista mondiale, legato agli interessi di pochi. Queste istituzioni si sono inventati i prestiti che vengono dati alle persone sbagliate, a governi, a dittatori amici e non ai popoli.
Ecco che i nostri discorsi di individui, vittime, anche nei vari stati europei, vogliono essere buonisti, solidaristi, nei confronti di quegli altri che dicono, ospitalità civile o respingimenti, ma i nostri, buonisti, sono fondamentalmente ipocriti, parole di circostanza.
Nelle nostre città di notte si vede una umanità allo sbando, dove i poveri di tutto il mondo si trovano nella loro miseria incivile, intollerabile.
Ed ecco, che per non essere tacciati per ipocriti, possiamo dare un pezzo di pane perché ce l’abbiamo ancora nel forno, ma non parliamo di accoglienza consapevole perché non possiamo permettercelo.
Enzo Di Giovanni
14 Ottobre 2013 at 12:09
Non possiamo permettercelo perché è più comodo il contrario.
Un po’ come il dibattito sull’indulto di questi giorni: se ne fa come al solito una questione morale, comunque la si pensi, quando il problema è semplicemente che le carceri scoppiano, visto che accolgono circa il doppio dei detenuti previsti, con servizi che ovviamente a tutto tendono tranne che a quello che dovrebbe essere il principio cardine della carcerazione: il reinserimento sociale.
Oppure pensiamo alle scuole: sulla carta ci sono i piani di offerta formativi, insegnanti di sostegno, psicologi, ecc. Sul campo non ci sono nemmeno i soldi per comprare i gessetti.
Per bypassare il problema migranti ci siamo inventati la vergognosa Bossi-Fini con tanto di corollario etico leghista a colpi di “dovremmo usare i cannoni”; è passato il concetto di responsabilità penale per chi soccorre i naufraghi; non siamo stati in grado di legiferare in merito al diritto d’asilo, che è il motivo che coinvolge attualmente almeno il 90 % delle persone in fuga.
A proposito: non chiamiamoli “migranti”: i migranti sono quelli che scelgono di cambiare vita per migliorarsi, non chi accetta i rischi di una traversata terribile semplicemente perché le probabilità di sopravvivere sono comunque superiori rispetto a quelle che si avrebbero restando.
Abbiamo abbassato ogni oltre limite di decenza l’asticella della moralità: non potrebbe essere altrimenti in un paese il cui la “furbizia” è un valore e non un difetto.
Gianni Amelio fece anni fa (nel 1994) quel film fortemente simbolico, bello fin già dal titolo (LAMERICA). Il concetto di fondo era che i migranti di allora venivano catturati da quel mondo patinato televisivo che immaginavano essere reale. Poveri illusi: nella loro ingenuità sognavano che quei lustrini, quella leggerezza del vivere trasudasse in ogni vicolo, in ogni pietra del suolo italico. Ingenui, ma comprensibilmente: venivano dai terribili regimi totalitari dell’est europeo.
Con questo facile teorema per decenni ci siamo cullati nella nostra presunta superiorità morale ed economica. Nella nostra DEMOCRAZIA.
Oggi è fin troppo facile svelare la realtà, che è, come in un melodramma, penosamente, ridicolmente opposta: c’è molta più verità e concretezza nei volti di chi attraverso rischi calcolati cerca un’occasione di vita, senza facili illusioni, piuttosto che in una società anestetizzata come la nostra in cui il massimo dell’attenzione civile è nei talk show. Proprio ieri su Rai 1 si discuteva se a Berlusconi è più consono far scontare la sua pena facendogli pulire i cessi in una comunità di recupero, o piuttosto i domiciliari ad Arcore.
“Lamerica” ci si è rivoltata contro: siamo noi che per non vedere la melma in cui siamo immersi, preferiamo la percezione di vivere in un universo parallelo in compagnia dei vari Briatore, Corona, Lele Mora, e furbetti del quartierino vari.
A tanto ci hanno condotto decenni e decenni di cattiva politica, e di parallelo smantellamento della società civile.
sandro vitiello
14 Ottobre 2013 at 12:25
Peccato che questo sito non abbia un tasto “mi piace”.
Enzo ha scritto un pezzo che condivido pienamente.